Mi infastidisce terribilmente il sentirmi bloccato e non in grado di scrivere, soprattutto perché scrivere è la cosa che mi piace di più in assoluto.
Questa frustrazione non è un problema di scarsa disciplina, e non è nemmeno solo l’ombra del perfezionismo. È una questione di presenza. Qualsiasi cosa io stia facendo, ho sempre la spiacevole sensazione che dovrei star facendo un’altra cosa. E non importa se tutte queste sono attività che ho scelto e che vorrei fare: praticare Bach al pianoforte, allenarmi per un triathlon, studiare il greco antico, curare il mio secondo cervello.
Il problema, in sintesi, è che ho sostituito l’idea di fare le cose con il farle. L’Idea ha sostituito la Praxis.
La Velocità Impossibile dell’Idea
L’Idea vince sulla pratica perché, per sua stessa definizione, richiede zero tempo di esecuzione. Posso pensare di voler imparare a memoria un minuetto di Bach in un secondo. La Pratica richiede ore e fatica.
Questa dinamica non è un nostro difetto individuale, ma un sintomo dell’era in cui viviamo. Abbiamo un rapporto sbagliato con il tempo, derivante dalla nostra percezione accelerata:
1. Confusione Temporale: Abbiamo confuso il tempo della vita (finito, esperito soggettivamente) con il tempo del mondo (oggettivo, potenzialmente infinito). Ci siamo illusi di poter controllare tutto e di poter accelerare ogni processo.
2. L’Illusione dello Smartphone: Abbiamo ereditato l’aspettativa di una connessione istantanea e onnicomprensiva. Se posso connettermi al mondo in ogni momento, perché non dovrei poter portare a termine la mia lista di cose da fare con la stessa velocità?
3. Il Paradosso di Jevon: Come ha esplorato Oliver Burkeman, vivendo in una società accelerata, la nostra reazione è di aumentare la nostra velocità e la nostra efficienza. Ma si verifica il paradosso di Jevon: il tempo che guadagniamo non viene speso per riposare; lo riempiamo immediatamente con altre cose da fare. E quando queste non riusciamo a farle, le riempiamo con l’idea delle cose da fare. Ed ecco che arriviamo al blocco.
Il risultato è un sovraccarico emotivo: ci sentiamo sempre in debito di produttività, costretti a correre per giustificare la nostra esistenza. Se contasse come attività fisica, sarei Usain Bolt.
L’Atto di “Tagliare Fuori”
Questo è il punto cruciale che la nostra mente accelerata non vuole accettare: il mondo ha troppo di più da offrire di quanto sia possibile sperimentare in una singola vita.
Un altro paradosso è che anche se fossimo immortali, non potremmo comunque sperimentare tutte le scelte possibili. L’etimologia stessa della parola “decidere” (dal latino decidere) significa “tagliare via” o recidere. Quando prendiamo una decisione, per definizione, rinunciamo ad infinite altre.
Queste infinite rinunce sono incommensurabili—non possono essere misurate, confrontate o rimpiante. Eppure noi, ossessionati dall’ottimizzazione, pensiamo che possiamo calcolare la perdita e viviamo costantemente nel timore di sbagliare la scelta.
Platone usa un concetto simile parlando del nostro essere: se esiste un solo modo di essere, esistono infinite possibilità di non-essere. L’ansia moderna deriva dal voler essere tutto, negando l’atto essenziale del “tagliare fuori” che, in realtà, è ciò che dà forma alla nostra vita.
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La Soluzione: Riconquistare la Praxis con le Attività Ateliche
Per spezzare il dominio dell’Idea sulla Praxis dobbiamo fare una scelta radicale. Non si tratta di una nuova tecnica di gestione del tempo, ma di un cambiamento esistenziale che riporta lo scopo nel presente.
La soluzione sta nel prediligere e ricercare le attività ateliche, cioè quelle attività che hanno uno scopo in esse stesse e non nel prodotto finito (come le attività teliche).
Un’attività atelica è suonare il pianoforte solo per il piacere del suono; è camminare solo per il piacere del passo; è scrivere perché si ama il processo di trovare le parole giuste. Non sono giustificate dal futuro (il concerto, la gara, l’articolo pubblicato), ma solo dal presente.
Questa filosofia è in linea con l’idea di esistenza autentica di Heidegger (ne ho scritto sul mio Substack). Nel momento in cui ci dedichiamo a un’attività atelica, non siamo più mossi dal debito di produttività o dalla paura di perdere il tempo. Il fare diventa il proprio scopo, l’Idea scompare, e la nostra presenza si ristabilisce.
Scegli di essere lo scrittore che si gode la frase, invece di pensare all’articolo finito. Scegli di essere la persona che prende in mano un libro invece di pensare di leggerlo.
Scegli di essere.
Solo allora la paura di perdere il tempo si dissolve, e lo spazio che ci sembrava occupato dal blocco si riempie finalmente di presenza e pratica.
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