Ho deciso di viaggiare in bici. Ho scelto l’Elfstedentocht. Qualora te lo fossi perso, leggi questo articolo per saperne di più.
Sono partito lunedì 1 agosto alle 11 da Leeuwarden. Martedì 2 agosto alle 17:55 ero di ritorno, dopo 210 chilometri attraversando 11 città. Appena arrivato ho mandato un messaggio a mia moglie: “Sono a Leeuwarden. Ce l’ho fatta…”.
Non riuscivo quasi a crederci. L’emozione mi ha preso lo stomaco e la gola bagnandomi gli occhi di lacrime piene di felicità, orgoglio e malinconia.
Viaggiare in bici: il mio perchè
Il 5 maggio di quest’anno mamma è andata via. L’abbiamo vista arrendersi al dolore e alla malattia in soli 5 mesi dalla diagnosi. Mia madre. La donna che mi ha messo al mondo. È chiaro che non sono né il primo né l’ultimo uomo a dover salutare la propria madre. Potremmo addirittura intavolare la dubbia discussione se sia meglio una morte improvvisa o una morte da malattia. Siete davvero sicuri che una delle due possa attenuare il dolore?
Non è un caso che queste domande le pongano spesso persone che non hanno perso un caro. Sapete perché? Perché in fondo non importa! Ció che conta è il fatto che la persona amata semplicemente non c’è più. Non sarà più possibile parlarci, toccarla. Il suono della sua voce diventerà un ricordo. Le sue abitudini diventeranno un appiglio per tenerla nella propria vita. Come se si volesse pagare un tributo al Tempo, dimostrando che le azioni della persona che è andata via hanno lasciato un segno indelebile nella vita di un’altra persona che quel Tempo ancora ce l’ha.
La mancanza non è recuperabile. In questi tre mesi ho capito che devo imparare a vivere nella mancanza. Perchè per quanto la invochi, non potrò rivedere mamma in questa vita. Dovrò ancora aspettare.
Mentre sono annebbiato da questa foschia appiccicosa e pesante, succede il miracolo della Vita. Sento una spinta cristallina e pura provenire da qualche parte dentro di me. Un sole gentile ma potente mi illumina dentro. Un sorriso benevolo squarcia la realtà in cui credo di trovarmi, mostrandomi la Verità. Il sacrificio di mamma diventa a quel punto una lezione. Il Tempo, così scontato, sottovalutato e ignorato, diventa immediatamente un Dono. Un vero e proprio Dono, reso ancora più prezioso dal fatto che io non l’ho mai richiesto. Mi è stato appunto donato.
Seduto accanto a mia madre nei suoi ultimi giorni, ho sentito che l’unico modo possibile per onorare questo Tempo è riempirlo di Amore. Amore per me stesso e per gli altri. Le ho promesso che avrei fatto tante cose. Che avrei continuato a stupirmi, a conoscere, a condividere. A riempire il Tempo che mi rimane di cose belle, per poterle condividere con lei quando sarà il momento di incontrarla di nuovo.
Lei ora è dall’altro lato delle cose belle. Lei fa parte delle forze che le pongono in essere. A noi è dato di apprezzarle solo secondo le leggi della nostra realtà. I più sensibili però lo sentono che c’è di più dietro un paesaggio, un tramonto, un sorriso di un bambino, una tempesta o lo sguardo della persona amata.
Io lo sento mamma, io ti sento. Per questo ho deciso di andarti a cercare nei posti più disparati.
Elfstedentocht – Giorno 1
Dopo svariate ricerche, dubbi e ripensamenti, ho deciso di partire da Leeuwarden.
Il piano originale era prendere il treno da Deventer alle 8:16, per arrivare (dopo un cambio a Zwolle) alle 10:15.
Sveglia alle 06:30, colazione con porridge e caffè. Guardo fuori dalla finestra e…piove. Iniziare un viaggio del genere fradici, dovendo stare 2 ore sul treno, non rientrava tra le possibilità. Ho deciso di prendere il treno successivo, alle 8:46.
Ho equipaggiato la bici con due borse, una sotto il sellino e una al manubrio. Avevo 23 litri totali di spazio. Questo è ciò che ho portato:
Il primo viaggio in bici: che cosa ho portato
- Tuta da ginnastica (da indossare una volta arrivato)
- 1 maglia
- 1 paio di scarpe da ginnastica
- 2 cambi intimi
- 1 jersey
- 1 jersey pesante
- Deodorante, spazzolino
- Asciugamano in micro fibra
- Portafogli
- Barrette energetiche e integratori
- Multitool
- Airpods
- Drone
- GoPro
- iPhone
- Navigatore GPS
- Caricabatterie
- Diario
Nei giorni precedenti alla partenza avevo già provato a caricare la bici con tutto quanto qui sopra. Avevo un buon bilanciamento, senza un peso eccessivo.
Preparazione del viaggio: la partenza per Leeuwarden
Si fanno le 8:20, mi decido a partire. Saluto mia moglie e la nostra bassotta Truus e parto. Dopo mesi, settimane e giorni passate a sognare questo mio primo viaggio in solitaria. Carolien mi accompagna e mi incoraggia.
Il click del pedale da corsa segna l’inizio di tutto.
Arrivo alla stazione di Deventer alle 8:35 e mi reco direttamente al binario 4, dove puntuale arriva il treno per Zwolle. Una volta arrivato, mi sposto al binario 7, dove prenderò la coincidenza per Leeuwarden. In questa tratta viaggio insieme ad un altro ciclista e iniziamo a chiacchierare. Si va dallo scopo dei nostri viaggi, alla musica classica. All’arrivo lo aiuto a scaricare la sua bici. Ha una elettrica che con bagagli pesa intorno ai 32 chilogrammi. Tre volte la mia. Ci salutiamo e esco dalla stazione.
Per prima cosa entro da Albert Heijn e prendo un caffé nella tazza che porto sempre con me, un brownie ed un cornetto. Mi siedo su una panchina fuori e mi gusto il caffé, mentre realizzo che sto per iniziare l’avventura sognata per tanto tempo. Mi sento un po’ nervoso, ma soprattutto molto motivato. A quel punto non avevo più spazio per ansie, paure o problemi. Volevo semplicemente partire.
Lavo la tazza ad una fontanella, dove riempio anche le due borracce. Prendo tempo e mi gusto l’adrenalina che sale.
Salgo in sella, accendo il GPS e mando un messaggio a mia moglie: “Sto partendo!”
Leeuwarden-Sneek-Ijlst-Sloten
L’emozione si trasforma in decisione, mentre lascio Leeuwarden per dirigermi verso Sneek. Ci sono più o meno 25 km di distanza. Avendo ancora 200 chilometri da fare, decido di non esagerare con la velocità. Fortunatamente il vento è a favore, per raggiungere i 27km/h non devo fare troppa fatica. La temperatura si aggira attorno ai 19 gradi.
Arrivo a Sneek, ai piedi del famoso Waterpoort. Rimango un po’ deluso dalle dimensioni.
Da foto e video me l’ero immaginato più grande. La città è molto trafficata, soprattutto via acqua. C’è un ponte mobile di fianco al Waterpoort che si apre spessissimo. Il traffico su strada sembra risentirne, ma tutti sembrano esserci abituati. Per me, vedere ponti mobili e contare più barche che automobili è una novità assoluta. In questa realtà, è tutto semplicemente normale.
Trovo un posto sicuro e faccio alzare il mio drone. Le immagini dall’alto sono molto suggestive. Riesco a raggiungere la prima delle 11 fontane, situata nel canale dietro il Waterpoort.
Ognuna delle 11 città dell’Elfstedentocht ha una fontana realizzata da un’artista. Ho deciso di filmarle tutte. Segui questo link per avere maggiori informazioni.
Decido di continuare per Ijlst, uno dei paesi più piccoli dell’Elfstedentocht. Arrivo alle 13. Dopo averne filmato la fontana, decido di pranzare. Appena finito, punto per Sloten. Penso di avere abbastanza energia per affrontare la tratta senza pause.
Durante il tragitto mi imbatto in un acquadotto.
Probabilmente mi era già capitato prima, ma rimango sorpreso dal realizzare che in quel momento stessi passando sotto…un canale. Guardo il soffitto della galleria e penso che lì sopra in quel momento stanno navigando delle barche.
Arrivo a Sloten, piccola ma affascinante. Sono le 14:35. Il cielo è completamente aperto, i colori sono fantastici. Vado alla ricerca della fontana e mi rimetto in rotta per Stavoren.
In bici verso Stavoren
Per la prima volta procedo verso est. Il vento non è più a favore e si sente. Pedalo un’ora e mezza per arrivare a questa fantastica città affacciata sul mare. Ho sempre avuto un debole per i posti di mare e Stavoren non mi ha deluso affatto, anzi. Quasi attirato dal canto delle sirene, mi dirigo al faro. Il vento la fa da padrone, ma mi faccio coraggio e alzo il drone. Questo gesto mi ripaga con immagini che porterò per tanto tempo stampate nel cuore e nella mente.
Inizio a sentirmi un po’ stanco. Tempo di una torta di mele con caffé. Me li gusto in un locale sul mare, mentre osservo le persone intorno a me. Mi perdo nell’immaginarne la vita, il carattere, le abitudini. Le paure o il cibo preferito.
Il pernottamento del primo giorno è a Bolsward ed io dovevo attraversare ancora 2 città prima di arrivarci. Proseguo lungo il mare, tra colori e odori indimenticabili.
Viaggiare in bici mi da un senso di libertà che non avevo mai provato prima. Percorrere lunghe distanze con la sola forza delle mie gambe ha un sapore totalmente diverso.
Hindeloopen e Workum sono due paesini piccoli ma pittoreschi. Mi viene da pensare che forse la vita lì sarebbe più a misura d’uomo. Chissà se è solo una mia proiezione.
Telefono a Robert, la sera andrò a dormire a casa sua. Ho sistemato il pernottamento grazie a questa associazione Vrienden op de fiets, in cui privati mettono a disposizione una camera, doccia e colazione per la cifra fissa di 22,50€.
Alle 18:45 arrivo alla tappa finale del primo giorno, Bolsward. Mi dirigo subito verso la fontana, che mi si presenta davanti insieme ad una chiesa che mi ero ripromesso di visitare. Una chiesa particolare, che ha il tetto di vetro. De Broerekerk venne costruita nel XIII secolo come parte di un monastero. Questo venne abbandonato e demolito nel XVI secolo. Alzo il drone e riprendo la facciata in verticale, per poi passare a un fly-over sul tetto e una ripresa laterale.
Dallo schermo del telefono vedo che dalle parti dell’abside c’è qualcosa, ma non riesco a capire cosa. Soddisfatto delle riprese, riporto a terra il drone. Una donna esce dalla chiesa e si guarda attorno. Viene verso di me e mi chiede se fossi stato dentro la chiesa. Qualcuno ha lasciato una maglia e dei libri dentro. Le rispondo che ero appena arrivato e che no, quelle cose non erano mie. Curioso le chiedo se fosse possibile entrare. “Assolutamente si, ti consiglio vivamente di farlo!” “Posso portare la bici dentro?” “Certo, devi solo accertarti di chiudere la porta, per questioni legate all’aerazione dell’ambiente.”
Decido quindi di entrare. La porta a vetri non rivela molto dell’interno, complice anche il riflesso del sole. Appena all’interno arriva lo stupore. Rimango quasi letteralmente a bocca aperta. L’oggetto che vedevo dal drone ora si para imponente davanti ai miei occhi: un modello in scala del pianeta terra, così come visibile dalla luna. Si tratta di Gaia, un’opera itinerante dell’artista inglese Luke Jerram.
Rimango per qualche minuto in contemplazione di questa opera d’arte, ostaggio di tutti i pensieri e le sensazioni che questa suscita.
Dopo 3000 calorie, ritengo di potermi concedere una cena degna di questo nome. Scelgo un bel piatto di carne, con patate e verdure come contorno. Bevo due birre, rasserenato dall’aver raggiunto la prima tappa negli orari stabiliti.
Dopo aver pagato il conto raggiungo la casa dove dormirò. Robert e Gerda sono gentilissimi e mi accolgono molto amichevolmente. Prendiamo un caffè in giardino e usiamo quel tempo per conoscerci. Sono persone molto attive, Robert è appassionato di ciclismo e navigazione, mentre Gerda lavora dell’istruzione. Parliamo di tante cose, ci scambiamo punti di vista. Io entro ancora di più nell’ordine d’idee di persone cresciute letteralmente sull’acqua. Basti pensare che il loro giardino ha un molo dove è possibile attraccare.
Finito il caffè mi viene mostrata la stanza. I loro figli non vivono più a casa, per cui ora hanno spazio a disposizione. Robert mi accompagna in mansarda, una grande stanza con letto, tavolino e televisione tutta per me. Ci accordiamo per la colazione (8:30) e ci salutiamo per la notte. Io vado a farmi una tanto desiderata doccia, poi chiamo mia moglie. Le racconto tutto ciò che ho visto e fatto. Prima di andare a letto mi prendo del tempo per annotare i miei pensieri sul mio diario.
La giornata è stata densa di emozioni e chilometri (104). Mi ritengo soddisfatto mentre raggiungo il letto.