Il 5 maggio del 2022 nostra madre Giovanna di Giuseppe si è arresa al Mesotelioma pleurico. In questo articolo racconterò l’inizio delle cure. Abbiamo deciso di condividere tutto ciò che ci è successo. Le emozioni, paure, illusioni, ansie, speranze. In questo articolo trovi il racconto del primo contatto con questa malattia. La speranza è di aiutare chi come noi si trova o purtroppo si troverà a convivere con una realta dura come il tumore. Se non trasformassimo il nostro Dolore in Amore, avremmo sofferto per niente. Questa è la nostra Storia. Aiutaci a condividerla. _________________________________________________________________________________ Dopo l’incontro con il professor Cardillo, era chiaro quali sarebbero stati i passi. Il percorso era sicuramente duro e spaventevole, ma eravamo tutti pronti, con la calma rassegnazione di chi in fondo non ha scelta. L’unica scelta è di combattere fino alla fine. Mamma è molto risoluta. Dice spesso “Io devo fare ancora un sacco di cose. Ora abbiamo questo problema, devo fare del mio meglio per risolverlo e riprendere la mia vita.” Noi riceviamo forza e riusciamo quindi a motivarla e tirarla su. Il problema di una malattia come il tumore, secondo la nostra esperienza, non sono i momenti in cui sei in compagnia, ma i momenti in cui sei solo. La disperazione è dietro l’angolo, la paura dell’ignoto. Sarà doloroso? Riuscirò davvero a farcela? Come sarà la chemio? Mi cadranno i capelli? Queste sono tutte domande che giravano nella testa di mamma e anche nelle nostre. Sin dall’inizio con Giada abbiamo favorito il dialogo e la comunicazione. I pensieri intrappolati nella testa di mamma dovevano uscire, per evitare di creare danni addizionali. Le proponiamo dei colloqui con una psicologa, proposta che lei accetta con sorprendente entusiasmo. Iniziano ad arrivare le medicine da prendere. La lista si allunga giorno dopo giorno sempre di più. Giada propone di integrare queste cure con sostanze naturali che aiutino il ripristino del sistema. Mamma ha il ferro basso, ma un’alta quantità di ferritina. I sintomi che ha sono stanchezza, tosse (una tosse secca e molto prolungata) e un senso di debolezza che non le permette di essere attiva come prima. Il tempo passato sdraiata a letto o seduta su una sedia inizia a superare di molto quello passato in piedi. Noi proviamo a motivarla, spronandola a fare delle passeggiate. Dopo una cinquantina di metri dobbiamo rientrare e mamma deve riposare. La preoccupazione, questa sorta di nube nera che oscura anche le giornate più belle, si ingrandisce ancora un po’. Dobbiamo essere saggi ed evitare i trucchetti della mente. Cedere alle fantasticherie che portano a dipingere scenari ancora più tragici della realtà risulta difficile a volte. Dobbiamo rimanere in costante contatto con la realtà. Nei momenti in cui mamma non ci vede, ci lasciamo andare. Ricordo nettamente quando arrivai a dicembre e vidi mamma per la prima volta dopo la diagnosi. I sintomi si erano già ingranditi. Lei era seduta a tavola e io le sorridevo, la tiravo su, giocavo e facevo proposte. Lei gentilmente mi lasciava fare. Poco dopo lei era in bagno per un attacco di tosse. Io la ascoltavo seduto sul divano. Di colpo ho iniziato a singhiozzare, mi sono lasciato andare in un pianto pieno di tristezza e spavento. La realizzazione che tutto ciò stava effettivamente succedendo a mia madre. Questo volevano dire le mie lacrime. Si, perché ciò che spesso succede è che ci si rifiuta di pensare che qualcosa del genere possa succedere a noi e ai nostri famigliari. Anche quando qualcosa del genere si avvicina alla nostra famiglia, subentra una sorta di strato protettivo che filtra la realtà, provando a convincerci che in fondo tutto si sistemerà per il meglio. È stato importante per me e i miei famigliari cercare e mantenere un equilibrio tra la positività e la realtà dei fatti. Non ci siamo fatti illusioni, o almeno abbiamo fatto del nostro meglio per evitarle.
Le giornate cambiano
Le giornate iniziano a diventare simili, se non uguali. Mamma non riesce a dormire la notte. Dorme un paio d’ore la sera, dopodiché si sveglia e deve sedersi, non riesce più a stare sdraiata. Al mattino è esausta. La spirale continua con la mancanza di appetito. Durante i pasti mamma mangia sempre meno. Dice di non avere appetito e che la sola idea di mangiare le dà la nausea. Noi proviamo in tutti i modi a incoraggiarla, ma ovviamente non è facile. Qui nasce uno dei sensi di colpa che ha accomunato me, mio padre, mia sorella e i miei zii: nel provare a spronarla a volte abbiamo usato dei toni più duri, con lo scopo di scuoterla un po’, di toccare il suo orgoglio per farla reagire. A volte ha funzionato, altre volte no. Ripensando a quei momenti, il dolore ci assale. Pensiamo che in fondo non siamo stati in grado di starle vicino come si deve. Che non abbiamo capito veramente quale fosse la situazione. Che avremmo potuto fare diversamente. Ci ho riflettuto tanto, così come i miei famigliari. Questo è e rimane un trucco della mente. Abbiamo sempre agito nel segno dell’Amore e soprattutto, siamo esseri umani. Siamo spaventati e addolorati anche noi. In quei momenti qualcuno che da una scrollata e sprona a tirare fuori il coraggio serve. Se tutti intorno al paziente si mettono solo a piangere e disperarsi, la situazione non migliora neanche qualora potesse. Abbiamo imparato ad essere più indulgenti con noi stessi.
Ossigeno-terapia
La respirazione di mamma è sempre più faticosa. Anche parlare le porta affanno. Dopo una visita con l’oncologa, le viene prescritta l’ossigeno terapia, 24 ore al giorno 2l/minuto. Una delle scene che non dimenticherò mai, è quando è arrivata la bombola a casa. Era il 25 dicembre, non un giorno qualunque. Mamma era sdraiata su un divano letto che avevamo sistemato nel salone. In maniera un po’ rudimentale, ma sicuramente funzionale, abbiamo rialzato lo schienale così che potesse stare sdraiata senza avere il senso di soffocamento che avvertiva sdraiandosi in camera da letto. Bussano alla porta, è un ragazzo sui quarant’anni che trasporta questa bombola. È molto grande, adatta alle terapie di 24 ore. Mamma si mette a sedere sul letto non appena sente bussare. Appena vede la bombola, inizia a piangere. Un pianto che non dimenticherò mai. Di colpo ho visto una bambina spaventata, che vede un segno tangibile di una realtà che fino a quel momento era rimasta relativamente astratta, lontana. Vederla piangere mi fa scontrare con un fattore che è stato molto difficile da accettare: l’impotenza. Mi sentivo pronto a qualsiasi cosa pur di sollevare mamma, pur di vederla stare bene. Volevo abbracciarla e rassicurarla. Piangere insieme e dirle che in fondo era tutto un brutto sogno. Poi torna la realtà. Io non posso fare un bel niente. Mio padre, mia sorella, mio zio e tutte le persone che sono vicine a mamma non possono fare niente. Ne abbiamo parlato spesso, avendo realizzato quasi estemporaneamente questa verità. La conclusione più logica e verso la quale tutti tendevamo era che si, non potevamo fare nulla di pratico per toglierle la malattia. Allo stesso tempo però potevamo (e dovevamo) fare del nostro meglio per aiutare mamma in tutto ciò che era in nostro controllo. Abbiamo stabilito di provare a non farci vedere tristi e impauriti da lei. Non ne avrebbe avuto bisogno. Spesso ci siamo trovati – insieme o in momenti diversi – con mamma che si lasciava andare alla rabbia o alla paura. Abbiamo sempre fatto del nostro meglio per farla sfogare, per farla continuare a comunicare con noi. Di colpo gli occhi di mamma, guardando la bombola appena portata, si fanno duri: “Questa sarà una cosa temporanea, mi serve ora, ma farò in modo che non mi serva più.” Io ascolto queste parole con estrema gratitudine e me ne sento rincuorato. Sento letteralmente la forza rifluire nelle vene. ‘Ok’ – penso – ‘questa può essere una battaglia persa, ma la guerra è ancora aperta’.
Natale 2021
Il 19 dicembre mia moglie, la nostra bassottina ed io voliamo in Italia. Rimaniamo fino al 29. Ci preparavamo ad un Natale molto particolare. Nei giorni precedenti al Natale mamma si sforza di riprendere la sua vita, ma le difficoltà aumentano purtroppo a vista d’occhio. Soprattutto la stanchezza. Si sente molto stanca e ha bisogno frequente di sdraiarsi e riposare. Lamenta dolori alla spalla sinistra. Il tumore era localizzato all’altezza del polmone sinistro. Tuttavia, nella nostra ignoranza e nell’impossibilità dei medici di stabilirlo con certezza, abbiamo interpretato questo dolore come prettamente muscolare. Dal momento della diagnosi, infatti, mamma dormiva quasi sempre poggiata sulla spalla sinistra. Il polmone ‘sano’, cioè libero dalla morsa della pleura era quello destro. Questo doveva essere lasciato il più possibile libero, visto che il polmone sinistro aveva una capacità ridotta. I giorni e le notti cominciano ad assomigliarsi sempre di più. Mamma riposa spesso durante il giorno e la notte non riesce a dormire. “Stanotte mi sono vista tutte le Olimpiadi” – dice. Ci raccontava di come la notte passasse lentissima, di quanto tempo avesse passato a osservare le cose più impensabili, come ad esempio delle piccole crepe sul muro. Ho iniziato a pensare a cosa volesse dire a livello mentale passare la notte svegli consapevoli di ciò che stava succedendo. Spesso ho temuto di impazzire pensandoci. Ho realizzato quanta forza serva per rimanere semplicemente lucidi e in contatto con la realtà. Cedere alla paura a volte sembra quasi inevitabile e in qualche modo liberatorio. Solo che vorrebbe dire peggiorare o peggio boicottare il processo di guarigione. Durante le giornate di Natale mamma è triste. Si dispiace del fatto che normalmente è lei che prepara tutto per tutti e invece quest’anno non riesce a fare nulla. Noi ci scherziamo su e le spieghiamo che invece è molto bello per noi poterci prendere cura di lei e di loro. Facciamo tutto con il cuore, godendoci ogni singolo minuto. Non so se ho avuto mai un Natale intenso come quello del 2021. Purtroppo non ho il dono della Fede, nonostante mi prenda cura del mio lato spirituale. Mi rendo conto di quanto un ente come la Chiesa, con la sua comunità e i suoi appuntamenti possa dare una struttura e un sostegno alle persone che affrontano da malati o da famigliari una situazione simile. Ho provato diverse volte a seguire una messa, ma finisco sempre per sentire un distacco dato proprio dalle formule che bisogna recitare. Eppure, io ho pregato (e prego) ogni giorno per mamma e per tutte le persone intorno a me. A dire il vero, prego sempre affinché possa essere in grado di restituire tutto l’Amore e l’affetto che ho ricevuto e ricevo nella mia Vita con chiunque incontrerò sulla mia strada.
La prima chemio
Passano Natale e Capodanno. Torno nei Paesi Bassi e cerco di fare un punto della situazione su come la mia vita stia irrimediabilmente cambiando. Il 31 di quel mese mamma ha la prima chemio. Ha una leggera anemia, quindi l’oncologa prescrive una chemio più “leggera”. Mamma ne era spaventata, ma si ripeteva e ci ripeteva “Non vedo l’ora di poter fare qualcosa. Fino ad oggi ho dovuto solo subire, finalmente posso contrattaccare.” Dover associare nella mia mente mamma e la chemioterapia è stato molto duro. Era un lunedì ed ero al lavoro. Ricordo di essere riuscito per il rotto della cuffia a trattenere le lacrime in diverse occasioni durante la giornata. Lavoravo e mi dicevo ‘Io ora sono qui con questi ragazzi, mentre mia madre è seduta da sola in una stanza d’ospedale con i medicinali della chemio che le vengono iniettati.’ L’idea di non poter essere lì con lei, in un momento che sicuramente per lei era spaventevole mi torturava. Ovviamente c’erano mio padre e mio zio, che come due angeli non l’hanno lasciata sola neanche per un singolo istante. La prima sessione dura 4 ore, perché prima e dopo l’iniezione della chemio vengono iniettati degli altri farmaci che sono propedeutici ai medicinali. Queste sono due foto che mi ha mandato mamma, evidenziando quali sono i farmaci della chemio e quali i propedeutici. Le telefono per sentire come va, con mia sorpresa la trovo lucida e attiva. Mi rincuoro un po’, la speranza di riaccende. I due giorni successivi alla chemio mamma si sente sorprendentemente bene. A volte riesce addirittura a fare a meno dell’ossigeno. Il terzo giorno invece si sente debole e non riesce quasi ad alzarsi dal letto. Non ha eccessivi effetti collaterali. Principalmente spossatezza. Qualche giorno dopo inizia a riprendersi e con lei risalgono le nostre speranze. La seconda sessione è programmata per il 21 febbraio. Io in quella settimana ho le ferie e insieme a mia moglie e alla nostra bassottina ripartiamo un giorno prima, di domenica. Il viaggio va bene ma troppo lungo, arriviamo la sera molto stanchi. Io fremevo all’idea di poter essere al fianco di mamma il giorno dopo, quindi insisto per poter andare insieme a zio. Andiamo a dormire alle 23:30, la sveglia ci sarebbe stata alle intorno alle 6, per poter partire alle 06:30. Sono una persona molto mattiniera, mi piace svegliarmi presto e sono subito attivo. Salgo all’appartamento e mi metto a letto. Mi sveglio di soprassalto con il citofono. Guardo l’orologio e impreco. Erano le 6:30 e la sveglia non ha funzionato, o probabilmente l’ho spenta senza accorgermene, vista la stanchezza. Papà si era già preparato ed erano in partenza. Inutilmente mi sono vestito e precipitato di sotto, solo per vederli partire. Non mi restava altro che rientrare a casa e rendermi utile riordinando tutto e organizzando il pranzo. Mi sentivo deluso e affranto. Ho telefonato a mamma chiedendole di perdonarmi. Le ho spiegato che non mi succedeva da anni e che ero mortificato. Lei ovviamente mi ha capito, ma la sensazione di delusione non andava via. Sono riuscito ad attenuarla solo rendendomi utile il più possibile. La seconda chemio va più o meno come la prima. Mamma sembra avere timidi miglioramenti. I giorni continuano più o meno tutti uguali. Mamma ha molto meno appetito, fa fatica a mangiare. Poco prima dei pasti dice di avere fame, ma poi riesce a mangiare solo qualche boccone. Noi cerchiamo di adoperarci per farla mangiare di più. L’emoglobina scende, l’anemia inizia a diventare un problema. Il senso di stanchezza e debolezza che lei lamenta, vengono anche da questa.
Come mi sento
In quel periodo ho iniziato a rendermi conto che per ovvi motivi mi stavo lasciando andare, prendendomi meno cura del mio corpo. Ho realizzato che per quanto io lo maltratti, il mio corpo fa del suo meglio da 36 anni per tenermi in vita. Ne avrò solo uno, mai un altro. Non sarà sempre possibile aggiustarlo se qualcosa non funzionerà come si deve. Questa realizzazione era già nell’aria ed è stata rafforzata dalla situazione di mamma. Temevo l’idea di cedere a delle scorciatoie. Ricordo che alla sera, preso da mille pensieri e preoccupazioni, bevevo volentieri un whiskey, oppure un bicchiere di vino, o qualche birra. Non mi facevo problemi a prendere un altro pezzo di torta o a mangiare una fetta in più di pane. L’illusione che l’alcool o il cibo potessero alleviare la percezione dei problemi alzava la voce su di me. Ovviamente tutte le conseguenze del caso non hanno tardato a presentarsi. Ero ingrassato, mi sentivo gonfio ed ero molto più velocemente di malumore. Dovevo fare qualcosa, perché il burrone era li a pochi metri. Scrivere mi ha aiutato molto, insieme allo yoga e alla meditazione mattutina. Dopo aver chiarito e inquadrato il problema, ho deciso di buttarmi sullo sport. Ero intrigato dal Triathlon. Rappresentava una sfida che per quanto sembrasse dura, non si avvicinava minimamente alla sfida che combatteva mamma. Spesso pensavo ‘Se mamma può affrontare ciò che sta affrontando, io posso sicuramente allenarmi e portare a termine un triathlon.’ Questo ha rappresentato per me una motivazione infinita, tanto da riuscire ad allenarmi almeno 4 volte a settimana nonostante le lunghe giornate di lavoro. Lo sport, insieme al lavoro, mi ha aiutato tantissimo a rimanere in contatto con la realtà. La mia condizione fisica è migliorata, l’alcol non mi attirava più. Il cibo era di nuovo benzina e nutrimento.
TAC di controllo
Il 9 marzo mamma ha la TAC di controllo. Quanto è stato difficile gestire il tempo e l’attesa. Dover imparare a farlo è stata l’ennesima lezione imparata da questa esperienza. Siamo illusi dall’avere tutto sotto controllo. Spesso riusciamo ad avere tutto subito, esattamente quando lo vogliamo. In quel caso invece no. Dovevamo aspettare. E non potevamo fare niente. Niente. Ciò che in quei momenti ci riusciva molto bene invece, era preoccuparci. Mi sono torturato ore ed ore. Ricordo solo che a due giorni dalla TAC, sono finalmente riuscito a lasciare andare le preoccupazioni e l’ansia. L’esame sarebbe stato da lì a due giorni, quindi tanto valeva mettersi l’anima in pace ed aspettare. E pregare. I risultati arrivano. Non ci sono metastasi (più tardi impareremo che le metastasi non sono tipiche di questo tumore). Cervello, fegato e linfonodi sono puliti. La massa rimane ancora circoscritta al polmone sinistro. Una parte è diminuita ma un’altra parte è aumentata. Io mi trovavo al centro di Deventer quando sono arrivati i risultati. Ho chiamato mia sorella per parlarne. Mi sentivo molto deluso. Ingenuamente, proprio come un bambino che vede il genitore come un super eroe che supera tutto, speravo che questo trattamento potesse risolvere il problema. La delusione veniva proprio dal realizzare questa ingenuità. Un ennesimo scontro con la realtà dei fatti. Il team che ha in cura mamma si riunisce per discutere i risultati. Propongono un nuovo ciclo di chemio. Le sessioni saranno 3, una ogni 7 giorni. Dopo di che ci saranno 20 giorni di pausa, per iniziare un nuovo ciclo come quello appena descritto. Tutto è deciso. Faticosamente ci abituiamo all’idea. La malattia di mamma era seria. La strada sarebbe stata ancora lunga e tortuosa.
Aiutaci ad aiutare
Nel corso della malattia di nostra madre, abbiamo realizzato quanto sia importante aiutare. Il dolore e la sofferenza che proviamo sarebbero inutili se non facessimo qualcosa per trasformarli.
Abbiamo preso contatti con il professor Filippo Lococo, dell’ospedale gemelli di Roma, per avviare una raccolta fondi. Il suo team svolge ricerca attiva con risultati molto promettenti (leggi questo articolo per saperne di più).
Qui sotto trovi il link per aiutarci ad aiutare. Con pochi semplici click puoi fare una donazione (non c’è un minimo e può essere anonima!).