L’intelligenza artificiale può ricordare tutto, ma tu?
Il problema della memoria nell’era digitale
Viviamo in un’epoca in cui consumiamo contenuti in modo frenetico. Sempre più brevi, sempre più frammentati. Qualcuno pensa e struttura le informazioni per noi, e alla fine rischiamo di perdere l’abitudine – o forse il diritto – di elaborare il nostro pensiero in modo autonomo.
Le AI immagazzinano miliardi di dati, ma ricordare non significa solo archiviare informazioni. Significa elaborarle, metterle in relazione, trovare nessi con ciò che già sappiamo. Il problema non è che abbiamo troppa poca informazione, ma che non sappiamo più cosa farne.
Per questo ho scoperto che tenere un commonplace book è una via d’uscita da questa trappola. Non un passatempo nostalgico, ma un modo per fermarsi, selezionare ciò che conta e farlo proprio.
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Cos’è un Commonplace Book e perché è sempre esistito
In sostanza, è un taccuino in cui si raccolgono pensieri, citazioni, concetti e osservazioni che risuonano con noi. Un archivio mentale su carta. Non è un’invenzione moderna: Aristotele parlava di topoi, luoghi comuni del pensiero, e nel Rinascimento lo zibaldone era già diffuso tra intellettuali e studiosi. John Locke sviluppò un metodo per organizzare le annotazioni, mentre pensatori come Marcus Aurelius, Virginia Woolf e Thomas Jefferson hanno lasciato testimonianze dei loro commonplace books.
Ma alla fine, il punto non è la storia o la tecnica, è il perché. Perché vale la pena tenere uno di questi taccuini?
Il Mio Metodo: Perché tengo tre taccuini
Non c’è un unico modo per farlo. Io, ad esempio, ne tengo tre:
- Morning Pages – Ogni mattina scrivo tre pagine a mano, senza filtro. È un esercizio per liberare la mente, sciogliere i pensieri e iniziare la giornata con più chiarezza. (Ne ho parlato qui)
- Taccuino di Tolstoj – Anoto citazioni da Pensieri per ogni giorno e ci rifletto su. Scrivere a mano mi costringe a rallentare, e questo mi aiuta a interiorizzare meglio i concetti. Col tempo ho scoperto che la scrittura mi permette di collegare idee tra loro, anche tra fonti diverse.
- Raccolta di Citazioni e Poesie – Qui raccolgo testi che voglio ricordare, parole che sento importanti. Rileggerli a distanza di tempo mi dà una prospettiva diversa e, a volte, mi aiuta a trovare risposte senza doverle cercare altrove. In più, è un’ottima alternativa al doom scrolling.
Oltre la scrittura: il legame con il deep reading e il deep listening
Col tempo mi sono accorto che il mio commonplace book non riguarda solo la scrittura, ma anche il modo in cui leggo e ascolto.
- Reading Journal su “Guerra e Pace” – Sto facendo un deep reading del romanzo, prendendo note, collegando idee, cercando riferimenti. Anziché leggere in modo passivo, mi sto prendendo il tempo di esplorare ogni sfumatura. (Ne ho parlato qui)
- Listening Journal sulla musica classica – Lo stesso accade con la musica: quando ascolto, scrivo le mie impressioni, le connessioni con ciò che già conosco, l’effetto che ha su di me. (Leggi di più sul Deep Listening)
È un modo per rendere più consapevole la mia esperienza, per dare spessore a qualcosa che altrimenti scivolerebbe via.
Perché lo faccio
A prima vista, questo articolo potrebbe sembrare in contrasto con quello che ho scritto su come utilizzo l’AI per studiare e imparare meglio. In realtà, più studio e comprendo l’AI e il suo impatto sulla società, più mi rendo conto di quanto sia fondamentale avere basi solide: la scrittura a mano, il ragionamento critico, il pensiero profondo, la riflessione filosofica. Tutto ciò che i computer non potranno mai replicare della nostra umanità.
Questo equilibrio tra tecnologia e tradizione è quello che voglio coltivare. Non per essere più produttivo. Non per diventare un’enciclopedia vivente. Ma perché mi piace l’idea di costruire una mia enciclopedia personale, che nel tempo diventa una fotografia di ciò che penso, delle mie passioni, dei miei interessi. Un archivio della mia mente.
Tenersi lontani dal consumo passivo e selezionare ciò che merita spazio nella mia vita è diventato un piacere. Un piccolo rito quotidiano, fatto di carta, inchiostro e silenzio.
Come iniziare senza troppa teoria
Se qualcuno mi chiedesse come iniziare, direi semplicemente: prendi un taccuino e scrivi. Scrivi qualcosa che ti colpisce. Scrivi qualcosa che vuoi ricordare. Non serve un metodo perfetto, non serve un ordine preciso. Serve solo la voglia di dare spazio ai tuoi pensieri. Se poi il tempo lo trasforma in un archivio mentale ricco e stratificato, meglio così.
Conclusione: Scrivere è sempre stato un bisogno umano
Dagli ideogrammi sulle tavolette di argilla agli appunti digitali, l’uomo ha sempre cercato un modo per fissare il pensiero. Se valeva la pena farlo migliaia di anni fa, forse vale ancora oggi. Non perché sia utile in senso stretto, ma perché è nostro. Perché ci appartiene.
Viviamo in un’epoca in cui possiamo affidare la nostra memoria a dispositivi esterni, delegare l’organizzazione del sapere ad algoritmi e lasciare che siano altri a scegliere quali informazioni sono rilevanti. Eppure, proprio in questo contesto, il gesto di scrivere a mano, di selezionare e riflettere sulle parole, diventa ancora più potente. Non è solo un esercizio di stile o una nostalgia per il passato: è un atto di resistenza contro la superficialità, una dichiarazione di indipendenza dal flusso incontrollato di informazioni.
Quando prendiamo nota di qualcosa, non stiamo solo archiviando dati: stiamo costruendo significati. Ogni pagina di un commonplace book è un tassello del nostro pensiero, un segnale della nostra evoluzione intellettuale. Rileggere le proprie note dopo mesi o anni significa osservare il percorso della nostra mente, capire come siamo cambiati, quali idee hanno resistito e quali sono state abbandonate.
In un mondo in cui la conoscenza sembra sempre più automatizzata, scrivere per ricordare è un modo per riaffermare la nostra umanità. Non perché sia più efficiente, ma perché è profondamente nostro.
Scopri di più da Moreno Maugliani
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