Natale 2022 è stato senz’altro un Natale particolare.
Quando perdi una persona cara inizia il giro de le prime volte. Questo è stato il primo Natale da quando mamma è andata via. Sette mesi fa. Sette mesi che pesano come una vita intera. A volte ho la sensazione che sia passato molto più tempo. Un rumore sordo ma costante che accompagna le nostre vite dal 5 maggio di quest’anno. In questo articolo ho raccontato la nostra storia, dalla diagnosi all’epilogo.
Il dolore può essere un grande maestro. Bisogna avere forza d’animo e intelligenza per capire che l’unica cosa da fare è accettarlo ed accoglierlo, per capire cosa può insegnarci. Il prezzo da pagare è smisurato, ma altrettanto smisurata è l’evoluzione che può portare con sé.
La motivazione
Da quando mamma si è ammalata e tutto è successo cosí in fretta, ho capito tante cose. Questa esperienza ci ha esposto chiaramente alla fragilità della vita. Noi che ci sentiamo sempre più onnipotenti e immuni alle disgrazie e ai dolori.
Abbiamo sentito il bisogno di condividere il nostro dolore, nella speranza di aiutare chi come noi si trova o si troverà ad affrontare la malattia o la perdita. Perché l’abbiamo fatto? Perché abbiamo realizzato quanto sia sottile il filo che ci unisce e accomuna.
L’unica cosa che resta quando il tempo a nostra disposizione sarà finito, è ció che abbiamo donato, ció che abbiamo fatto per gli altri senza aspettarci nulla in cambio.
Questa realizzazione ha ribaltato completamente la mia vita. Per la prima volta ho capito quanta differenza possa fare un sorriso ad uno sconosciuto. Un complimento a chi prova a fare qualcosa. Un gesto gentile a chi è preda della rabbia o della tristezza. Mostrarsi vulnerabili, lasciando cadere una volta per tutte le stupide maschere che portiamo ogni giorno.
Cosa abbiamo fatto
Pur non essendo cattolico, trovo il periodo natalizio estremamente affascinante. Il senso (e bisogno) di rinascita si manifesta chiaramente, portandomi a riflettere su ciò che ho fatto durante l’anno e ciò che sento di voler/dover cambiare nell’anno che verrà.
Quest’anno non ho sentito niente. Letteralmente. Mi sono ritrovato al 23 dicembre sera pensando “domani è il 24 dicembre ed io non ho la minima impressione che sia Natale”. Mai successo prima. Se non fosse stato per mia moglie, non avremmo neanche un addobbo natalizio dentro casa.
Quest’anno non potevo quindi prendere. Avevo solo un desiderio profondo ed era quello di dare. Ho parlato con mia moglie della volontà di fare qualcosa per gli altri e insieme abbiamo trovato un’associazione qui a Deventer dove viviamo (Leger des Heils) che organizzava un cenone di Natale per persone povere, senzatetto o senza nessuno con cui poter passare questa serata.
Abbiamo preso contatto e dato la nostra disponibilità. Il 25 dicembre alle 16:00 ci saremmo riuniti per preparare la sala.
Il 25 dicembre
A. dei Leger des Heils ci spiega che un privato ha donato la sua tredicesima e ha messo a disposizione un catering per gli ospiti di questo Natale. Ho pensato subito “certo, magari avrà uno stipendio a 4 zeri, facile permetterselo.”
La giornata non è delle più invitanti. Piove e il vento si fa sentire. Alle 16 puntuali entriamo nella sede dove si svolgerà la cena. A. ci accoglie insieme a sua moglie R.. Ci presentiamo e iniziamo a preparare l’addobbo per la cena. Qualche minuto dopo arrivano altri 3 volontari. Intorno alle 16:30 arriva una telefonata: la persona che aveva fatto la donazione aveva appena caricato il suo furgone ed era in viaggio. Quando arriva, ecco la sorpresa: il donatore è un mio conoscente. Ci eravamo conosciuti in una sala prove e per qualche tempo ho affittato il suo spazio per fare lezione e studiare.
Non era esattamente l’immagine del donatore che avevo. Mi aspettavo una sorta di Bruce Wayne, che non si accorge neanche dei soldi che spende. Invece avevo davanti una persona normalissima, con uno stipendio normale. Per la prima delle tante volte in quella sera, mi sento stupido.
La sala è pronta e le pietanze sono sistemate. Il menú prevede:
- Pasta fredda con funghi misti
- Stufato di cervo
- Purè di castagne
- Patate al forno
- Patate arrosto
- Cavoletti di Bruxelles
- Grand dessert
Gli ospiti sono attesi dalle 17:30. Abbiamo una mezz’oretta per rilassarci e fare conoscenza.
A. ci parla del Leger des Heils, un’associazione fondata da William Booth nel 1865 nel Regno Unito col nome Salvation Army ed esportata in tutto il mondo.
La matrice dell’associazione è cristiana, ma viene spiegato subito che chiunque è benvenuto, senza domande, richieste o aspettative. Alex ci spiega di aver lavorato molto più spesso con volontari di fede musulmana che cristiana.
“Lo scopo” ci dice “è quello di tornare effettivamente in mezzo alla gente, in mezzo agli ultimi e agli invisibili. Accogliere chi ne ha bisogno senza porre domande e senza dare giudizi.”
A. racconta storie di persone normalissime che si sono trovati di colpo in un effetto domino che le ha letteralmente cacciate via dalla società. Gente passata da vivere in una casa a vivere nelle pensiline dell’autobus. Storie di dolore (lutti, divorzi) o scelte sbagliate (alcol, droghe) o semplice sfortuna. Siamo convinti che queste cose succedano solo a persone…diverse da noi. Niente di più sbagliato.
Con mia moglie rimaniamo profondamente colpiti. Queste cose si vedono nei film, o si sentono dalla bocca di chi vuole raccogliere consensi. Qui invece si fanno.
Gli ospiti
Si sente il campanello dal piano di sotto. Il primo ospite arriva. Sale le scale con il sedile motorizzato. Camminare non è facile. Una tuta, un giubbotto, un sorriso senza qualche dente e un cappello di Natale che sfoggia con orgoglio.
“Sono il primo? Oh allora me ne vado e torno dopo. Le persone più importanti si fanno sempre attendere”.
Dopo arriva un ragazzo vestito bene. Camicia, giacca, scarpe eleganti. Telefono e iWatch. “Un altro volontario” penso io, sbagliando. O probabilmente una persona che non aveva un altro posto dove passare questa serata, con troppi pensieri e debiti. Non lo so e non c’è bisogno di saperlo.
La prossima ad arrivare è una donna siriana con il compagno. I due conoscono gli ospiti e gli organizzatori. A. ci racconta del loro primo incontro: durante una visita a casa loro, tutta la famiglia si alza di colpo e si ripara dietro al divano in preda al panico. A. non capisce, poi realizza: un aereo era appena passato su di loro. La donna spiega che ogni volta che sentono un aereo, rimangono pietrificati nell’attesa delle esplosioni.
Il campanello interrompe il racconto. Una coppia anziana arriva dopo aver faticato con le scale. Un volontario chiede al signore se vuole sedere accanto alla moglie. “Ma quella non è mia moglie, è mia sorella!” ci dice a metà tra lo stupito e il divertito.
Arriva una madre con una figlia adolescente ed un uomo che non ho capito se sia il padre o lo zio della ragazza.
Il tempo non facilita l’afflusso. Se c’è brutto tempo e non hai una casa, avrai già trovato rifugio a quell’ora del pomeriggio. Lasciarlo per andare a mangiare può voler dire perdere il rifugio per la notte. A. ci spiega che raggiungere queste persone non è affatto facile come sembra. Non ci sono sempre telefoni o email da utilizzare. Si procede per passaparola.
Il senso di orgoglio di queste persone gioca anche un ruolo. Non appena hanno la sensazione di essere “forzati” ad accettare qualcosa, si allontanano facendo perdere le loro tracce.
La cena
Iniziamo a mangiare con musica di sottofondo e luci soffuse. Tutti parlano con tutti. Rimango intimamente colpito dalla presenza di quelle persone. Siedono davanti a me, mangiano e parlano e sono presenti interamente. Non vorrebbero essere da nessun’altra parte. Non pensano al prima o al poi, ma godono di quel momento interamente.
Io guardo dentro me stesso e penso a quand’è stata l’ultima volta che sono stato presente veramente. Mi chiedo dove sia avvenuto l’errore, quando abbia preso la strada parallela che mi ha portato ad una vita basata su principi semplicemente sballati e insensati.
Sento un bisogno impellente di smontare tutto e ricominciare da capo. E questa realizzazione avviene qui, in Rijkmanstraat 26 a Deventer intorno alle 18:10.
Mi vedo pieno di cose che non mi appartengono, cose di cui non ho bisogno. Cose che credo essere importanti perché il resto delle persone le ritiene tali. Il malessere che a volte provo, viene dal mio inconscio che prova a scrollarsi di dosso questi ammennicoli che mi ostino a portarmi appresso. Ora mi è chiaro, logico.
Sento il peso del telefono nella mia tasca. Ripercorro nella mia mente i gesti che mi portano sulle solite app, per vedere le vite fasulle di chi prova ad autoconvincersi di essere felice. Penso al tempo – unico bene prezioso – buttato dietro a contenuti che rischiano di appiattirmi il cervello, invece di usarlo per rendere onore ai milioni di anni di evoluzione che ci hanno portato ad avere un organo del genere.
Ripenso al primo anno dopo il trasloco. La paura di aver fatto la scelta sbagliata. Gli amici che iniziano a scomparire dietro a una telefonata, poi ad un messaggio, poi ad un like su un post. L’unica che cosa che conta è esserci. Il resto sono solo chiacchiere.
Una leggerezza diversa sembra essersi posata su di me. Una leggerezza che viene da una consapevolezza nuova.
Penso a nostro figlio che arriverà a maggio. Dal momento in cui lo conoscerò non ci saranno più scuse, non potrò più barare. Devo arrivare a quel momento al massimo della mia evoluzione, consapevole di ciò che veramente conta. E qui, in Rijkmanstraat 26 intorno alle 18:20, realizzo che ciò che veramente conta è esserci, essere veramente presenti, e dare senza aspettarsi nulla in cambio.
Gli ospiti hanno finito di mangiare e continuano a chiacchierare. Io mi alzo con gli altri per iniziare a sparecchiare e preparare per il dessert.
Gli ospiti vanno via
Pian piano gli ospiti salutano e vanno via. È avanzato molto cibo. Prepariamo delle porzioni da portar via per chi vuole. Penso al ritornello “è peccato buttare il cibo” mentre guardo negli occhi chi quel cibo non può metterlo in tavola ogni giorno. Mi sento piccolo piccolo.
Gli ospiti ci ringraziano sinceramente e ci sorridono – di nuovo quella capacità di essere presenti al 100%! – prima di andare via. Io ringrazio loro di cuore mentre provo a tenere a bada le emozioni che si scatenano nel mio cuore. Vorrei dirgli tutte le cose che ho realizzato questa sera. Vorrei dirgli che ho capito.
Provo a distrarmi lavando i piatti insieme a mia moglie.
Insieme agli altri volontari sistemiamo la sala e aiutiamo il donatore a ricaricare il furgone con i contenitori ormai vuoti.
Prima di andare via, ci sediamo insieme con A., R. e gli altri volontari. Una bellissima sensazione, un appagamento che ho provato solo quando sono stato in grado di dare senza aspettarmi nulla.
Penso a mia madre, penso al Natale dell’anno scorso. Penso all’amore che ci ha donato, senza mai chiedere o aspettarsi nulla in cambio.
Salutiamo tutti e camminiamo verso la macchina. Nel cuore la consapevolezza – e la speranza – di aver fatto qualcosa di bello.