Novembre 17, 2022 morenomaugliani

Com’è nata la batteria?

Storia ed evoluzione del nostro strumento

traps kit met snare drum, bekkens, tom en pedaal

Com’è nata la batteria? Molte persone sanno descrivere e riconoscere un set di batteria, ma poche sanno come siamo arrivati al set così come lo conosciamo oggi.

Ripercorriamo insieme le fasi salienti della formazione del nostro splendido strumento.

Com’è nata la batteria: Origine ed evoluzione

La nascita e lo sviluppo della batteria è indissolubilmente legato alla storia ed evoluzione del Jazz.

Il centro nevralgico della nascita ed evoluzione del Jazz è la città di New Orleans. Fondata il 1° novembre 1718 dai coloni francesi, divenne dopo 4 anni la capitale della Louisiana Francese. Nel 1763 fu ceduta alla Spagna, sotto il cui dominio crebbe di importanza grazie allo sviluppo dell’industria dello zucchero e soprattutto grazie ad un accordo siglato con gli Stati Uniti che garantiva agli americani l’utilizzo del porto della città. Nel 1803 venne definitivamente venduta agli Stati Uniti. Fu teatro della Guerra di Secessione fino al 1865, anno in cui finì. La fine della guerra coincise con un aumento vertiginoso dell’immigrazione, favorendo la nascita di un ambiente cosmopolita. Aumentò la presenza di italiani, irlandesi, tedeschi, francesi ed inglesi, oltre alle comunità di ex schiavi africani. 

La Musica è profondamente radicata in questo contesto, come riportato da Eileen Southern: 

‹‹Nei canti degli scaricatori, dei rematori, in quelli che accompagnano la battitura del riso o la mondatura del granturco, la melodia era sempre sostenuta da effetti di percussione, coordinati con i movimenti del corpo impegnato nel lavoro. I suoni della percussione erano probabilmente ispirati da rumori bene evidenziati, come quelli del magio, del machete o del correggiato, o da altri più sottili, come quelli dei remi che si immergono nell’acqua, e per il cantante costituivano una parte importante dell’esecuzione. Lo schiavo accompagnava il suo canto tambureggiando su un asse; il suonatore di banjo batteva il tempo con il piede suonando e cantando›› 

Per la prima volta dopo la fine della Guerra di Secessione, l’amministrazione di New Orleans emise un’ordinanza concedendo una parte della città come punto di aggregazione sociale dove persone di ogni etnia potevano esprimersi con musiche, canti e balli. Congo Square diviene il luogo di incontro di tutte le culture presenti in città. 

Questo elemento subentra in una situazione già fertile musicalmente. Retaggio dei costumi francesi, le strade di New Orleans ospitano le Brass Bands, le famose fanfare da parata, a cui si affiancavano le Spasm Bands, formate da Neri che suonavano strumenti costruiti con materiali di fortuna (banjo costruiti con scatole di formaggio, contrabbassi ottenuti con parti di botti…). 

La convivenza di queste realtà è così fotografata da Eileen Southern: 

‹‹Da un lato la musica degli schiavi liberati e dei “creoli di colore”, istruiti musicalmente e ben formati, che suonavano a tutti i balli e a tutte le sfilate di ogni strato sociale, e che interpretavano con talento la musica classica europea […]. E dal lato opposto c’era la musica africana degli schiavi negri in Congo Square, istintiva e molto ritmata, che dopo l’abolizione [1848] delle danze in questa piazza scese nelle taverne, nei cabaret e negli altri luoghi malfamati della città. Le due correnti si fusero dopo la Guerra di Secessione [1865]››

Lo studioso Frank Tenòt nel suo lavoro “Le style New Orleans en Jazz” scrive: 

‹‹Così su un fondamento ritmico sorto dalle orge dei tamburi dell’antica Congo Square, si sono amalgamati i materiali più diversi: marce militari, quadriglie, polche scozzesi, mazurche, canzoni latino-­‐‑americane, canti religiosi, arie operistiche, ballate celtiche, filastrocche dei mercanti ambulanti […]. 

L’apporto bianco (occidentale) fu quello della strumentazione, dell’infrastruttura ritmica e del material tematico. L’apporto nero (africano) consiste nell’interpretazione, nel lavoro “vocalizzato” dei timbri e dei suoni, nell’importanza della percussione e nell’adattamento delle variazioni modali pentatoniche alla scala occidentale tradizionale.››

L’emblema del contatto di questi sistemi è la musica conosciuta come Ragtime, uno stile principalmente pianistico che vede il rapporto tra la mano sinistra del piano portatrice di un tempo di marcia in 2/4 rappresentante la matrice europea, e la mano destra che costruisce su di essa melodie sincopate tipiche della cultura africana. 

Com’è nata la batteria: il pedale

Tutte le mutazioni sono il risultato dell’adattamento delle caratteristiche primarie ad un nuovo ambiente. Stesso discorso per la Batteria. Il passaggio da Fanfare da Parata a band che suonavano in locali obbligò i musicisti ad adattare strumenti ed organici alle nuove situazioni. Il suonatore di tamburo inizia a suonare contemporaneamente il Tamburo, la Grancassa ed il Piatto e riportando le parole di Georges Paczynski: 

‹‹Decidendo di suonare seduto, il suonatore di tamburo è diventato un Batterista››

Nasce la tecnica del Double Drumming, che permette al batterista di suonare la grancassa ed il rullante esclusivamente con le mani, limitando di conseguenza il suo raggio d’azione. Il repertorio era quello delle Marching Bands, quindi costruito sui tempi forti 1 e 3, con l’andamento che successivamente sarà definito “in 2”. La tecnologia non tardò a sopperire a questa mancanza. 

jazz orkest met alle bandleden

Robichaux orchestra

Edward “Dee Dee” Chandler (1870ca-­?) batterista della John Robichaux Orchestra è ritenuto il primo musicista ad includere un pedale nel suo set. Nella foto soprastante, in una foto dell’orchestra di Robichaux (con il violino, secondo da destra seduto) Dee Dee Chandler posa con il suo set in cui è riconoscibile un pedale. 

pedale sospeso su cassa di batteria con piatto

I primi esemplari di pedale per grancassa venivano chiamati “Overhanging pedals” [pedali sospesi]ottenuti con un battente sospeso sul bordo superiore della cassa ed azionato da un pedale a terra. Tuttavia la loro funzionalità non era apprezzata dai batteristi che spesso preferivano ricorrere al Double Drumming. 

Nel primo decennio del ‘900 una famiglia si propose come costruttrice di pedali per batteria, la Ludwig Drum Company. Lo strumento doveva essere leggero, maneggevole ma allo stesso tempo affidabile. Ludwig propone il suo modello segnando una tappa fondamentale nello sviluppo dello stile batteristico americano. L’asticella attaccata al battente permetteva di colpire un piatto attaccato al bordo laterale della cassa quando veniva colpita la pelle. 

Il pedale doveva essere di facile trasporto e come si riportato nella foto qui sotto, William Ludwig illustra la soluzione. 

Com’è nata la batteria: i toms 

Originari della Cina, questi tamburi venivano usati nelle rappresentazioni teatrali sotto la dinastia Ch’ing (1644-1911). Con la fine della Guerra d’Indipendenza americana molti migranti cinesi arrivarono a New Orleans, portando con loro i loro usi e costumi, fra i quali quelli musicali.

tom cinesi

Tom cinesi

batteria con woodblock, piatti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Insieme ai woodblocks e ai piatti (caratteristici ed in uso ancora oggi con il nome di “china”), entrarono a far parte del set base della fine del XIX secolo.

Com’è nata la batteria: l’hihat

Introdotto negli anni ’20, l’hi hat è il responsabile di un’altra rivoluzione del drumming. Fino ad allora il groove veniva portato sul rullante con la cassa che suonava tutti i quarti, e gli accenti principali venivano suonati su un piatto con la tecnica del “choke”, ossia colpendo con una bacchetta e smorzando il colpo subito dopo con l’altra mano. 

vecchio esemplare di hihat

vecchio esemplare di hihat

Low boy

L’antenato del moderno Hi Hat veniva chiamato “Snow Shoe”, racchetta da neve, per via della somiglianza con la stessa. Consisteva in due superfici di legno alle cui estremità venivano attaccati due piccoli piatti che venivano suonati spingendo il piede a terra. 

Emanazione diretta dello Snow Shoe fu il “Low Boy”, che prevedeva la stessa meccanica dell’odierno Hi Hat ma posta a 20 cm da terra ed utilizzato per suonare gli offbeat con il piede sinistro. Sempre più batteristi iniziarono ad avvertire l’esigenza di alleggerire l’accompagnamento; il Low Boy venne alzato divenendo quindi “Hi Hat”, dando la possibilità ai musicisti di suonare i piatti sia con il piede sinistro che con entrambe le bacchette. Le prime coppie di piatti utilizzati tanto per il low boy quanto per l’hi hat prevedevano un piatto da 10” come bottom ed un piatto più piccolo ma dotato di una campana in media di 5” come top, dando la conformazione di un vero e proprio cappello, da cui il nome Hat. 

pagina di rivista con disegno di un'asta hihat

Hihat

Com’è nata la batteria: i piatti

L’utilizzo dei piatti ha tracce antiche nella storia dell’Uomo. Il Bronzo, la più antica lega di metalli, è presente sin dal 5000 a.C. in Asia. Descrizioni di strumenti costruiti con questo materiale sono presenti nell’Antico Testamento, così come nella cultura Greca e Romana (Cerimonie di Bacco e Cibele). Il termine inglese Cymbal deriva proprio dal Greco kymbos con l’equivalente latino cymbalum che vuol dire “coppa, recipiente” data la forma concava dei primi esemplari.

Avedis Zildjian fuori dal suo negozio in America

Avedis Zildjian III

Oltre ai piatti cinesi già discussi, gli altri omologhi inclusi nel drumset erano di origine Turca. La Zildjian Cymbal Company of Istanbul nacque nel XVII secolo sotto l’Impero Ottomano. Avedis Zildjian I, in un tentativo di ottenere oro mescolando metalli semplici, ottenne una lega con grandissime proprietà sonore. L’utilizzo musicale non era neanche immaginato, tanto che la compagnia vendeva le sue produzioni all’esercito turco. Avedis Zildjian II cambiò la destinazione d’uso dei prodotti, aprendo al mercato della musica classica e dell’Opera, in vertiginosa crescita nel XIX secolo.

Nel XX secolo, Avedis Zildjian III importò la fabbrica in America ed i piatti Zildjian divennero una parte integrante del drumset. 

Com’è nata la batteria: equipaggiamento professionale

Alla luce di quanto esplicato, il Set ritenuto “professionale” agli inizi del XX secolo è riportato nella figura 22, dove sono visibili tutti gli strumenti sopracitati, eccezion fatta per l’Hi Hat, che come detto, subentrerà negli anni ’20. Gli strumenti attaccati al bordo superiore della grancassa vengono chiamati “Traps” e rappresentano un ampliamento del range sonoro a disposizione del batterista. L’exploit dei Traps si avrà con l’avvento del Cinema, quando film senza sonoro venivano musicati dal vivo. In questa circostanza il batterista era quasi obbligato ad avere a disposizione un’ampia scelta di strumenti accessori oltre al Drumset. Dagli anni ’20 in poi il processo si inverte portando ad una stabilizzazione di strumentazione formata da grancassa, rullante, hi hat, piatti ed i primi esemplari di tom con pelli accordabili, che sostituiranno in via definitiva quelli cinesi. I traps spariscono dal set e contestualmente a questo si identifica il Batterista come suonatore del set sopracitato. 

vecchio esemplare di batteria con grancassa, rullante, hihat, tom e piatti

Traps kit

Conclusioni

Un viaggio relativamente corto se pensiamo alla nascita e allo sviluppo del tamburo. Leggi questo articolo per sapere com’è nato il tamburo rullante (snare drum).