Luglio 1, 2023 morenomaugliani

Il giorno in cui ho conosciuto mia moglie

marito e moglie in abito da sposi fanno vedere gli anelli

Il sole entra dalla finestra del salone illuminando scatole e valigie disposte sul pavimento. Ho appena raccolto la mia vita degli ultimi dodici anni. Mi siedo sul divano rosso, sul quale ho dormito nelle ultime settimane. Do un tiro di sigaretta e mi guardo intorno. Quell’appartamento una volta così caldo mi risulta ormai estraneo. Non c’è più traccia dell’amore, dei sogni, delle passioni e dei sorrisi che avevo portato in quelle scatole e valigie due anni addietro.

Sento vibrare il telefono. Rispondo ancora perso nei miei pensieri.

«Ciao Moreno, sono Vincenzo. Hai da fare questa sera? Abbiamo la serata all’Enoteca Barberini ma il batterista si è ammalato. Se ti va puoi sostituirlo. Suoneremo in trio, solito repertorio, iniziamo alle 20:30. Che ne dici?»

Butto fuori il fumo. Sono le dieci di mattina di mercoledì 19 ottobre 2016. Sto preparando le valigie per lasciare l’appartamento dove ho vissuto con la mia ex. Quella sera avrei dormito per la prima volta in una stanza presa in affitto in un appartamento in condivisione con dei compagni della palestra di boxe.

“Forse mi farà bene distrarmi. Cosa farei se restassi a casa? penso.

«Ci vediamo lì alle 20!» rispondo.

Passo il pomeriggio a trasportare scatole e valigie nella mia nuova stanza. Preparo il letto e sistemo le cose in bagno.

19:58

Parcheggio la macchina in via San Nicola da Tolentino. Prendo piatti e rullante e mi incammino verso l’enoteca. È una bellissima serata, serena e fresca. Passo la fontana del Tritone e scendo in via degli Avignonesi, una parallela di via del Tritone. Vincenzo e Marco sono già lì fuori. Fumiamo una sigaretta mentre stabiliamo i brani da suonare.

«Montiamo velocemente gli strumenti. Alle 20:15 ceniamo e alle 20:30 iniziamo il primo set.» dice Vincenzo poggiando la sua chitarra sul palchetto.

L’enoteca ha due entrate, una su via del Tritone e l’altra su via degli Avignonesi. Il flusso di turisti è continuo. Guardo le loro facce e mi perdo ad immaginare le loro vite. Da dove vengono, che lavoro fanno. Qual è la loro marca di vestiti preferita. Cosa gli piace fare quando piove. Immagino la loro casa, il quartiere in cui vivono. Se hanno un bosco vicino casa.

È buffo come le vite immaginarie di perfetti sconosciuti mi sembrino sempre perfette. Non c’è traccia di dolore, non conoscono lutti o delusioni. Io invece ho nelle orecchie il suono della porta dell’appartamento che abbiamo appena lasciato con la mia ex. Quel “Buona fortuna” augurato sinceramente davanti all’ultimo caffè insieme al bar, prima di salire in macchina ognuno per la sua strada.

Sono le 20:30, il locale è quasi pieno. Solo due tavoli sono ancora liberi. Saliamo sul palchetto e iniziamo a suonare.

20:48

Suoniamo musica di intrattenimento. Un misto di successi pop internazionali e brani della tradizione italiana. Sentiamo grida di giubilo al riff di Get lucky e un coro appassionato su Volare. È divertente suonare e vedere il pubblico divertirsi con noi.

Poi succede.

La musica, il vociare, il rumore delle posate sui piatti. Tutto si allontana di qualche anno luce. Ne sento solo il riverbero. Ancora prima di accorgermi di cosa stesse succedendo, mi ritrovo a fissare una ragazza all’ingresso di via del Tritone. Non capisco il perché, non l’ho mai vista prima. Jeans chiari e una maglietta bianca mettono in risalto la pelle abbronzata. I capelli sono raccolti dietro la nuca.

Chiede qualcosa ad uno dei barmen al bancone, che annuisce e le fa cenno di accomodarsi. Una cameriera l’accompagna ad uno dei due tavoli rimasti liberi, alla destra del palchetto.

Sono turbato. Non capisco bene cosa mi stia succedendo. O forse lo capisco ma ho paura ad ammetterlo. “Non può essere” mi dico “non oggi”. Eppure non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Voglio sapere come si chiama. Voglio sentire il suono della sua voce. Voglio guardare quegli occhi che non smetto di cercare con lo sguardo.

Un pensiero si insinua fastidioso:

“Credi davvero che una ragazza così bella sia qui da sola? Sarà venuta a vedere il posto ed ora chiamerà il ragazzo per dirgli di raggiungerla”.

Come se mi avesse sentito, lei prende in mano il telefono. “Appunto”, penso. Poi cerca nella borsa e tira fuori il caricabatterie. Lo attacca alla presa sotto il tavolo. La cameriera si avvicina per prendere un’ordinazione. Dopo pochi minuti torna con un Aperol spritz. Lei beve un sorso guardandoci divertita. I nostri sguardi si incrociano per la prima volta. Tutto mi arriva di nuovo ovattato. Esistono solo i suoi occhi.

Mi giro verso i ragazzi:

«Se quella ragazza dovesse andare via, io vado via con lei. Devo assolutamente parlarle.»

I miei amici ridono, credendo fosse una battuta.

«Sono serio, non posso lasciarla andare via senza sapere il suo nome.»

«E se viene il ragazzo?»

«Non mi importa. Voglio parlarle lo stesso.»

Sento queste parole arrivare da un posto profondo, da qualche parte dentro di me. Nessuna stronzata da maschio alfa. Io avevo bisogno di parlarle.

Arrivano due donne. Scambiano due parole con lei e prendono posto allo stesso tavolo. Nessuna traccia di eventuali partners. Sembrano conoscersi, parlano con entusiasmo. Poco dopo ordinano una bottiglia di rosé.

Arriva il primo break. Ho quindici minuti di tempo per provare a rompere il ghiaccio. Non ho idea di come fare. Il gestore dell’enoteca non vuole che i musicisti facciano contatto con i clienti. Devo stare attento, ma non ho intenzione di farne un problema.

Esco fuori su via degli Avignonesi e mi accendo una sigaretta. Provo ad intercettare il suo sguardo per attirarla fuori. Le altre due ragazze se ne accorgono, ma non succede assolutamente niente. Il break finisce e dobbiamo ricominciare a suonare.

C’è una bella atmosfera. La scaletta è ben assestata, il pubblico interagisce sempre di più. Dopo un paio di pezzi tirati iniziamo I’m yours di Jason Mraz. Arrivati al ritornello sento un bel contorcano venire dal pubblico. Mi guardo intorno per cercare la voce di donna che avevo appena sentito.

Era lei.

Finalmente avevo una scusa per approcciare. Appena finito di suonare mi avvicino al tavolo:

«Potevi dircelo che eri una cantante, avresti potuto cantare un pezzo con noi!». Qualasiasi cosa pur di iniziare un dialogo.

«No, quale cantante! Mi piace semplicemente la musica. Mi piace giocare con le melodie e inventarne altre.»

Stiamo finalmente parlando. I miei amici si mettono a parlare con le altre due ragazze.

Ci spostiamo tutti insieme in un bar su Piazza Barberini. Kerry viene dall’Australia, Jess dagli Stati Uniti, Carolien dai Paesi Bassi. Viaggiano tutte e tre da sole. Jess e Kerry si sono conosciute nel pomeriggio e hanno deciso di andare a bere qualcosa di sera. Così sono arrivate all’enoteca dove hanno incontrato Carolien.

«Come mai Roma?» chiedo a Carolien.

«Avevo voglia di fare un viaggio da sola. Anzi, ad essere sinceri ne avevo bisogno. Ho da poco terminato una lunga relazione. Volevo vedere posti nuovi, volevo il sole. Roma mi è sembrata la meta perfetta. E quindi eccomi qua.»  mi risponde sorridendo.

Torno per un attimo a poche ore prima, con la macchina carica e la porta chiusa.

«Beh, hai fatto la scelta giusta. Qui c’è tantissimo da vedere e la temperatura ad ottobre è semplicemente perfetta. Non troppo caldo, né troppo freddo.» le dico tornando al presente.

«Verissimo. Solo oggi ho camminato 14 chilometri. Ho visto praticamente tutto il centro storico. Stasera ero di ritorno all’hotel. Stavo andando a prendere la metro quando ho visto che la batteria del cellulare aveva il 3% di carica. Ho pensato che sarebbe stato meglio fermarmi da qualche parte e ricaricarlo, prima di continuare.

Passando fuori all’enoteca vi ho sentiti suonare. Ho dato un’occhiata e chiesto al barman se ci fosse un tavolo con una presa di corrente vicino. Ne era rimasto uno, quello dove ero seduta.»

Continuiamo a parlare di tutto ciò che ci passa per la testa, come se ci conoscessimo da tanto e dovessimo raccontarci un sacco di cose. Il tempo sembra essersi fermato, ma l’orologio la pensa diversamente.

02:45

«Ora devo proprio andare. Voglio dormire un po’. Domani mattina ho ancora tempo per un giro al Colosseo. Nel pomeriggio ho il volo di ritorno.» dice Carolien alzandosi dal tavolo.

«Capisco. A quest’ora la metro è chiusa. Io ho la macchina parcheggiata dall’altro lato della piazza. Ti accompagno volentieri se vuoi.»

Ci incamminiamo verso la macchina continuando a chiacchierare. Il cielo gode della nostra felicità esponendo tutte le stelle più belle. Troppo in fretta arriviamo all’hotel di Carolien.

Era giunto il momento di salutarci. Non l’avrei rivista più. Lei mi ringrazia e fa per pagarmi la benzina.

«Non provarci» le dico «l’ho fatto molto volentieri. È stato bello chiacchierare ancora un altro po’.»

«Si è vero, ho passato una bellissima serata» mi dice. Colgo un po’ di esitazione a scendere dalla macchina.

«Se proprio vuoi ringraziarmi, perché non mi lasci un tuo contatto? Se domattina hai tempo potremmo prenderci un caffè». Ascolto queste parole come se fossero pronunciate da qualcun altro. Non sono mai stato intraprendente con le donne.

Carolien ci pensa un attimo e poi mi dice:

«Inviami un messaggio su Facebook messenger. Ho le richieste di amicizia bloccate sul profilo. Appena salgo in albergo accetto il tuo messaggio e ti do l’amicizia.»

Le porgo il mio telefono per farle inserire il suo nome e cognome. Scrivo un messaggio e lo invio. Ci auguriamo la buonanotte. Lei sale nella sua stanza, io guido verso la mia nuova stanza. Durante il tragitto non ho fatto altro che pensare a lei. Mi mancava già e questa sensazione mi spaventava e mi piaceva allo stesso tempo.

Il pensiero fastidioso arriva di nuovo:

“Pensi che ti invierà davvero la richiesta su Facebook? E se ti avesse detto così solo per potersela svignare il prima possibile?”

Una parte di me sentiva che non era così. Avevo visto la sua esitazione nello scendere dalla macchina.

03:29

Arrivo al mio nuovo indirizzo ed inizio a cercare parcheggio. Controllo e ricontrollo il telefono, in attesa di una notifica. Volevo solo quella.

Mezz’ora dopo ho girato 3 isolati. Guardo di nuovo il telefono. Una notifica risolverebbe tutto. O meglio, non avrei ancora trovato parcheggio, ma non me ne fregherebbe niente. Valuto l’idea di parcheggiare davanti ad un secchione dell’immondizia. Sono nervoso e scoraggiato.

Pling.

Afferro il telefono. Vedo l’icona di messenger. Poteva essere solo lei a quell’ora.

“Hey there, I’ll invite you in a sec” leggo. Il cuore sembra voler uscire per conto suo. Pochi minuti dopo, ricevo la richiesta su Facebook.

Il resto è storia.

La nostra storia.

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Scrivo queste parole il giorno del nostro secondo anniversario di matrimonio. Scrivo con nostro figlio in braccio. Lo guardo e mi sento esplodere di felicità ripensando a quella catena di casualità che il 16 ottobre 2016 hanno fatto incrociare le nostre strade.

“…And I’ll thank my lucky stars, for that night.”

Oggi come allora, come sempre, da sempre: ti amo amore mio.