Oggi siamo stati per la prima volta a casa da soli. Carolien è andata con una sua cara amica al Volkspark Festival ad Enschede. È partita subito dopo pranzo. Tornerà a casa stanotte tardi.
Non rinunciare alla vita “normale” è una delle promesse che io e Carolien ci siamo fatti. Non vogliamo assolutamente diventare una di quelle coppie che disdice tutti gli appuntamenti o rifiuta di fare cose che prima della gravidanza avrebbe fatto con piacere.
L’idea del genitore che sta a casa, fa da mangiare, fa il bucato e va a letto alle 21 è anacronistica, oltre che fallata. I genitori continuano ad avere una propria vita anche dopo l’arrivo di un figlio. Questo è un dato di fatto che va accettato senza dubbio alcuno.
Inizio dalla fine: è stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.
La vita con un neonato di quasi otto settimane è costruita su blocchi di tre ore. In teoria, questo è l’intervallo di tempo in cui dovrebbe prendere il biberon. In pratica ci sono così tante variabili, che le tre ore rimangono un’indicazione.
Oggi è stata una giornata molto calda qui nei Paesi Bassi, con picchi di 34 gradi. In questi casi (era già successo due settimane fa), Alexander chiede il biberon ben prima delle 3 ore. Facciamo due conti: inizia a bere alle 14. Impiega almeno 30 minuti, spesso 45, per finire 120ml. A volte ha bisogno di ulteriori 30ml. Una volta finito bisogna far uscire l’aria in eccesso. Dopodiché provare ad addormentarsi. Sono le 15:30 quando lo metti giù. Alle 16 si ricomincia. Hai avuto 30 minuti per lavare il biberon, preparare le cose per la prossima poppata, eventualmente andare in bagno e sistemare qualcosa in casa.
Senza quasi accorgertene ti ritrovi seduto col biberon in mano. “Ma come è possibile che succeda tutto così velocemente?” Mi sono posto molte volte questa domanda, irritandomi non poco. Credevo che il tempo volasse solo di notte.
Mi ero riproposto di finire delle ricerche per un articolo che sto preparando e di scrivere questo blog prima delle 23. Non sono riuscito a fare nessuna delle due cose e questo mi stava mettendo di cattivo umore. Avevo la fastidiosa sensazione di dover rincorrere il tempo. Il caldo serviva solo a peggiorare le cose.
Di colpo mi sono ricordato di un pensiero che ho avuto qualche giorno fa. In questa fase della nostra vita, il paradigma è rovesciato. È completamente basato sui bisogni di nostro figlio. Aspettarsi di poter controllare i suoi bisogni è quanto di più sbagliato si possa fare. Per noi ma soprattutto per lui.
Allora ho mollato la presa. Ho messo da parte il Mac, messo via l’iPad. Non disturbare sul telefono. Ho acceso la tv e guardato un bel documentario con Alexander in braccio. Mentre passeggiavo per farlo addormentare, abbiamo ascoltato l’audiolibro di Wuthering Heights. Abbiamo chiacchierato tanto tra un cambio di pannolino e l’altro. Ci siamo fatti più volte il giro della casa. Verso le 20 l’ho messo nel marsupio e siamo usciti insieme con Truus. Una bella camminata senza AirPods, in completo contatto con l’ambiente circostante, col momento presente.
È stato come cambiare frequenza alla radio. Di colpo tutto mi sembrava ovvio, logico. Ho iniziato veramente ad ascoltare mio figlio e fare del mio meglio per dargli ciò di cui aveva bisogno in quell’esatto momento. I suoi pianti, che prima mi sembravano immotivati e irritanti visto che avevo fatto tutto secondo le regole, ora mi risultavano comprensibilissimi.
Niente più orologi da guardare. Ma tempo da condividere.
Carolien mi ha mandato dei messaggi e delle foto. Si sta divertendo. Io mi sento felicissimo nel vederla felice. Non vedo l’ora che torni a casa per riabbracciarla e farmi raccontare come è stato il festival.
È stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.