Nel nostro schema delle poppate, l’ultimo biberon arriva alle 23. Negli ultimi giorni abbiamo notato che svegliare Alexander a quell’ora era sempre più difficile. In più, non finiva neanche la bottiglia.
Una nostra amica ha avuto lo stesso con suo figlio. Loro hanno preso la palla al balzo lasciandolo dormire. Compensavano la poppata in meno aumentando le porzioni delle altre. Da quel momento ha iniziato a dormire tutta la notte.
Mentre ce lo raccontava eravamo persi nel ricordo dei bei riposi notturni. La possibilità di riaverli ci ha acceso come degli zombie.
«Stasera proviamo» ci diciamo decisi.
«Datevi un paio di giorni per vedere se funziona» ci consiglia la nostra amica.
Le altre poppate vanno come di solito. Arriviamo a quella delle 19, l’ultima quindi. Pieni di speranza lo mettiamo nella sua culla.
Arrivano le 23 e Alexander dorme beato. Ci guardiamo felici, con il cuore in gola. Pregustiamo la gioia di una notte di riposo. Ci crediamo veramente.
Andiamo a metterci a letto.
La prima volta si sveglia a mezzanotte e un quarto. Da lì ogni mezz’ora, a volte quarantacinque minuti. Ci alziamo diligenti per rimettergli il ciuccio e farlo riaddormentare. Ci riusciamo fino alle 3, quando dobbiamo arrenderci e farlo mangiare.
La giornata successiva è stata un incubo. L’illusione brucia insieme alla delusione. Siamo nervosi e stanchi. Ci trasciniamo per tutto il giorno. Fortunatamente non dovevamo lavorare.
Scegliamo comunque di continuare la prova. Non potevamo interrompere a metà l’esperimento.
La seconda notte è stata, se possibile, peggio della prima. Arriva una fase in cui il bambino riesce a resistere tutta la notte senza mangiare.
Noi ci rimettiamo in paziente attesa.