“Gli uomini lottano per la loro schiavitù come se fosse la loro liberazione.”
— Baruch Spinoza
Questa frase mi torna in mente ogni volta che leggo certe notizie. Ma qualche giorno fa, leggendo un articolo su De Groene Amsterdammer firmato da Thijs Lijster, ha risuonato come un grido.
Come si riconosce il Fascismo?
È una domanda che suona provocatoria, anacronistica persino. E invece è urgentissima.
Adorno ci aveva avvisati.
Theodor Adorno, nel 1967, scriveva:
“Se vogliamo comprendere il fascismo – e se vogliamo combatterlo dobbiamo prima comprenderlo – dobbiamo imparare a riconoscere la forma storica che assume ai giorni nostri.”
La forma è cambiata. L’essenza no. Il fascismo di oggi ha smesso i simboli ingombranti. Non chiede più di morire per la patria, ma pretende che la patria ci garantisca ogni piacere, ogni privilegio. È edonista, narcisista, vittimista.
La libertà come maschera.
Il suo volto nuovo si cela dietro slogan sulla “libertà”. Ma quale libertà?
Quella di, ad esempio:
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guidare a 130 km/h, anche se è dimostrato che ridurre a 100 salva vite e riduce emissioni (come qui nei Paesi Bassi);
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lanciare fuochi d’artificio a Capodanno, anche se gli ospedali sono in emergenza e i medici sconsigliano;
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discriminare, purché con “educazione”, perché “non si può più dire nulla”;
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non essere disturbati dai poveri, dai rifugiati, dai diversi, che turbano il nostro comfort.
E quando l’estremismo diventa normalità?
È successo. Sta succedendo.
Geert Wilders, leader dell’estrema destra olandese (che ha appena fatto cadere il governo), ha scritto su X dopo la caduta di Assad in Siria:
“Festeggiate la fine del Ramadan nel vostro Paese con le vostre famiglie. Non qui. Ciao.” Rivolto ai siriani rifugiati nei Paesi Bassi.
In alcuni centri di accoglienza sono comparsi piatti con la scritta:
“Qui lavoriamo al tuo rimpatrio.”
E negli Stati Uniti, mentre il senatore JD Vance fa la morale all’Europa sulla libertà d’espressione, si censurano libri scolastici e ricerche universitarie che parlano di clima, identità di genere, storia coloniale.
Tutto è sempre un “piccolo passo”. Ma ogni passo sposta il confine. E alla fine non sappiamo più dove sia.
Il mito della rinascita.
Il fascismo moderno – ci ricorda Roger Griffin – si riconosce da quattro elementi: nazionalismo, populismo, reazione e mito della rinascita.
È proprio questo il punto: la promessa di un grande ritorno. Di un prima che non è mai esistito. Un’epoca in cui tutto era più semplice, l’identità più chiara, il mondo più “nostro”.
Working towards the Führer.
Lo storico Ian Kershaw l’ha descritto bene. Nel Reich, Hitler non doveva dare ordini dettagliati. Bastava indicare la direzione. E i suoi seguaci, per zelo, facevano tutto il resto.
È questa la dinamica più inquietante:
non serve più una dittatura conclamata. Basta un clima. Un desiderio. Una retorica.
Il resto lo fanno le persone comuni, giorno dopo giorno. Normalizzando. Giustificando. Adeguandosi.
E quindi?
Non scrivo per allarmare. Ma per riconoscere.
Perché se c’è una cosa che ho imparato dai libri e dalle storie – anche da quella degli obiettori israeliani di cui ho scritto pochi giorni fa – è che la prima forma di resistenza è lo sguardo.
Guardare in faccia le cose. Chiamarle per nome. Non cedere all’abitudine.
Se vogliamo libertà vere, dobbiamo imparare a vedere anche quelle false.
E smettere di scambiare la comodità con la giustizia.
