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La nascita di mia figlia

La notte in cui sei nata

C’era una luna bellissima quando sei nata, amore mio. Come se fosse un messaggio, un memento, l’abbiamo ammirata al ritorno a casa. Era così grande, così maestosa che mi sono sentito piccolo, ma grande d’amore e gratitudine. Non potevo toglierle gli occhi di dosso.

Sei arrivata il 25 ottobre alle 22:03 nella stanza 8 dell’ospedale di Deventer. Una notte serena, rigida ma non ancora fredda come ci aspettavamo.

I primi segnali

Tutto è iniziato nel pomeriggio, intorno alle 18. Mamma ha cominciato a dire che sentiva dei movimenti diversi. Sensazioni che non riconosceva rispetto alle ultime settimane. Io mi sono messo subito sull’attenti, visto come è andata con tuo fratello Alexander.

Stavamo cenando e abbiamo subito iniziato a pensare cosa sarebbe stato meglio fare con tuo fratello. Abbiamo chiamato Marlijn per discuterne. Lei si era offerta di aiutarci tenendo Alexander quando saresti arrivata. Visto l’approcciare della sera, volevamo capire cosa fosse meglio fare, visto che i dolori di mamma non davano cenno di fermarsi.

Abbiamo chiamato anche l’ostetrica per chiedere consiglio. Ci ha detto di provare a cronometrare quelle che a tutti gli effetti stavano diventando contrazioni. Avremmo dovuto ricontattarla quando sarebbero arrivate ogni 5 minuti. Non ci è voluto molto prima che succedesse.

Per evitare levatacce per Marlijn, Lucas e Alexander, abbiamo deciso di portare tuo fratello direttamente a casa loro per la notte. Alle 19:30 l’ho preparato per la notte e invece di salire le scale sono uscito fuori con lui in braccio. Avresti dovuto vedere la sua espressione di stupore nel non capire, cosa stesse succedendo. Lucas ci ha ricevuti e siamo andati direttamente nella camera da letto che avevano preparato per lui.

Dopo un po’ di coccole l’ho messo giù e sono andato via. Non volevo rimanere troppo lontano da tua madre. Sono andato via che piangeva un po’, ma avevo piena fiducia in Lucas, sapevo che l’avrebbe gestita al meglio e così è stato. Dopo essere rientrato ho ricevuto un suo messaggio, Alex si era addormentato.

Nel frattempo mamma aveva sentito l’ostetrica che era in arrivo. Le contrazioni erano aumentate molto velocemente di intensità e volume. Quando è arrivata è andata a visitare mamma. Io ho preso le nostre valigie e le ho caricate in macchina. Poi sono rientrato per portare fuori Truus. Non sapevo quanto saremmo stati via. Ho chiesto permesso all’ostetrica e sono andato. Si stava facendo sera, io camminavo con la nostra bassottina perso nella confusione di quei momenti.

Da lì a poco ti avremmo conosciuto. Saresti arrivata, dopo 9 mesi di attesa. 40 settimane e 4 giorni per l’esattezza.

Il giro è stato molto veloce. Al ritorno l’ostetrica ci ha chiesto di prepararci ad andare all’ospedale. Se il desiderio era farti nascere in acqua, dovevamo arrivare in tempo per poter preparare tutto. L’ostetrica aveva già riservato la stanza e la piscina. Come sempre in quei momenti, sono stato preso da una lucidità impeccabile. La macchina era già pronta con i bagagli. Sono andata a prenderla e ho parcheggiato davanti alla porta di casa con lo sportello del passeggero aperto pronto per accogliere mamma.

In viaggio verso l’ospedale

Si era fatto buio nel frattempo. Durante il viaggio verso l’ospedale quando è arrivato tuo fratello io chiamai tuo nonno. Questa volta tua madre ha chiamato tua zia Anita. È stato un bene che l’abbia fatto. Non ci sono mai stati così tanti semafori rossi negli ultimi mesi. Si è potuta distrarre anche se a volte dovevo parlare io al suo posto, vista l’intensità delle contrazioni.

Arrivati all’ospedale ho parcheggiato davanti alla porta girevole e sono corso a prendere una sedia a rotelle. Erano le 21:20. L’ostetrica che guidava davanti a noi si è offerta di portare mamma in reparto, mentre io prendevo le valigie. Sono stato così veloce che sono arrivato in reparto a piedi mentre loro uscivano dall’ascensore.

Siamo andati in stanza. Era calda e accogliente. Un groppo in gola mi ha fatto visita pensando che quello sarebbe stato il luogo in cui ti avremmo conosciuta. Ma non c’era tempo da perdere. Bisognava riempire la piscina e organizzare il resto.

Ho aiutato tua madre a mettersi comoda mentre l’ostetrica con mani esperte azionava il meccanismo per pompare l’acqua nella piscina alla giusta temperatura.

Le contrazioni aumentavano ancora. Ogni ondata era più forte della precedente. Mamma è entrata quando la piscina era mezza piena. Erano le 21:38. Come se avessero avuto il via libera, le contrazioni sono aumentate ancora. Io ho preso qualcosa che somigliava a un tavolinetto e l’ho spostato dietro la piscina, così da poter abbracciare tua madre e darle sostegno.

Il momento della tua nascita

Mi sono sentito così piccolo, così profondamente grato per poter vivere quel momento di magia. Si perché è di questo che si è trattato, Maxime. Ho visto il corpo di tua madre cambiare e prepararsi a farti arrivare. Ho visto per la seconda volta la forza della Natura, il miracolo che solo la Donna può fare.

Mentre la baciavo e le asciugavo la fronte, ho sentito nel mio cuore che le sarei stato grato per sempre per avermi reso padre per due volte. Non può esserci legame più forte di quanto ho percepito in quel momento. Ho ripensato a come ci siamo conosciuti.

Ho rivisto momenti della nostra storia insieme. Non i momenti romantici che ti aspetteresti. Ho ripensato ad una sera d’autunno di qualche anno fa, quando siamo usciti alle 19 e siamo andati a comprarci un iPad. I negozi chiudevano alle 20. Abbiamo passato il resto della serata felici come due bambini il giorno di Natale. L’ho rivista a Colonia, quando ha guidato per due ore e mezza con la nostra bassotta per venirmi a prendere al ritorno dall’Italia.

Momenti qualunque Maxime. Momenti di Vita, quella vera, che da 8 anni ho il privilegio di condividere con tua madre.

Alle 21:55 sono iniziate le contrazioni finali. Tua madre ha gestito la cosa come un lottatore esperto. Dopo aver incassato le contrazioni con forza esemplare, ha semplicemente deciso che era abbastanza, era ora di farti venire al mondo. Di nuovo quello sguardo nei suoi occhi, di nuovo quel cambio repentino di energia. La stanza si è riempita di magia, potevo quasi vederla.

Tua madre si è preparata, ha stretto le maniglie della piscina, io l’ho stretta a me. Erano le 22:02. “Ottimo lavoro, Carolien” dice l’ostetrica, “continua così”. E tua madre lo fa.

Ancora una spinta e ti vedo arrivare.

“Accompagnala” dice l’ostetrica avvicinandosi. Tua madre ti accoglie, si rilassa e ti poggia sul suo ventre. Sono le 22:03. Tu con i tuoi occhioni neri ti guardi intorno, sorpresa ma non troppo. Hai pianto brevemente poi ti messa a guardarti intorno, come a cercare di capire cosa fosse successo.

Ho stretto tua madre e l’ho baciata commosso. Il mio cuore stava per esplodere.

Ci siamo presi del tempo per goderci quel momento. Come imparerai, è proprio il retrogusto amaro dell’unicità del tempo che passa a renderlo magico. Quando ti trovi davanti ad una felicità così grande sei pronto ad abbracciare anche l’idea che tutto finirà un giorno. Ti abbiamo aspettata tanto e quel momento era appena arrivato e scappato via. Non ci restava che rallentare il tempo, chiedergli di aspettare un po’.

A te non dispiaceva affatto. Mamma ti faceva nuotare un po’. Per mantenerti al caldo l’ostetrica ha bagnato un asciugamano e te l’ha poggiato addosso.

I nostri primi momenti insieme

Alle 22:47 ti ho presa in braccio per la prima volta. Mamma doveva uscire dalla piscina e tu dovevi essere asciugata e visitata dall’ostetrica. Mi sono seduto sulla poltrona senza maglietta. Ti avrei presa in braccio e tenuta sul mio petto per riscaldarti.

Amore mio, sapessi trovare le parole per rafforzare questa metafora del mio amore per te, lo farei.

Appena poggiata sul mio petto ti sei calmata e ti ho sentita rilassare. Ti sei rannicchiata tutta, mentre io, così come feci con tuo fratello, ho iniziato subito a sussurrarti parole segrete all’orecchio. Ve le ho stampate sul cuore, le troverete un giorno, ne sono sicuro.

Che emozione particolare è stata quella di stringerti, di sentirti su di me. Fino a poco fa potevamo solo immaginarti. Ora ti vedevo rannicchiata guardarti intorno con i tuoi occhi grandi.

Mentre l’ostetrica aiutava mamma e io ero perso nei tuoi occhi grandi, siamo entrambi stati distratti da due puntini neri che sembravano avvicinarsi ogni volta che gli rivolgevamo lo sguardo. Sono arrivati fino a sopra il letto di mamma. Erano…due coccinelle. Prima che lo realizzassi la mia gola si è chiusa e gli occhi si sono gonfiati di lacrime. “Figurati se le nonne si sarebbero perse questo momento” ho pensato.

L’ostetrica ti ha visitata e misurata. 3036gr e 50 cm di lunghezza.

Tu lo scoprirai crescendo, ma te lo anticipo io: tua madre è una Forza della Natura. Due ore e mezza dopo il parto era già in piedi. Le infermiere d’accordo con l’ostetrica hanno detto che potevamo andare a casa, era tutto perfetto. Ha mangiato un panino, si è fatta una doccia ed ha iniziato a prepararsi per lasciare l’ospedale.

Io ho fatto un paio di volte avanti e indietro per prendere il seggiolino e portare via le valigie.

E così, alle 01:30 guidavamo nella notte verso casa. Io, te e tua madre.

È stato allora che abbiamo visto quella luna splendida. Se ne stava là, in mezzo al cielo e noi non potevamo fare a meno di guardarla.

Il 25 ottobre è stato il primo giorno della Luna Cinerea. In questa fase, una falce della luna è direttamente visibile. Anche il resto del disco è visibile, ma è di un colore grigio chiaro, che richiama la cenere. Per questo si chiama così. Ciò è possibile grazie al riflesso della luce del sole sulla Terra.

Mi piace immaginare così la nostra vita insieme: tu Luna crescente, all’inizio avrai bisogno del nostro supporto per essere completa. Noi non faremo altro che rifletterti la luce dell’amore che a nostra volta abbiamo ricevuto e riceviamo.

Tu crescerai, fino a diventare Luna Piena. Noi ci ritireremo per lasciarti splendere, per tornare poi a completarti nella tua vita da adulta, in qualsiasi forma possibile.

Chissà, forse allora sarai in grado di leggere le parole che ti ho scritto sul cuore quando ti ho accolta sul mio petto.

Benvenuta tra noi Amore mio.

Con amore,

Papà

primo compleanno

Il primo compleanno di nostro figlio

Oggi festeggiamo il tuo primo compleanno.

Da qualche parte ho letto che lo scrittore vive due volte. Prima vive la sua vita normale, quella in cui si sveglia al mattino, si cambia per andare al lavoro, va a fare spesa, guarda la tv. Poi c’è la seconda, quella che rivive quando si siede e inizia a scrivere ciò che gli è accaduto.

C’è qualcosa di magico e di profondamente sublime nel poter leggere i segni dell’esistenza di qualcuno. Il gesto d’amore più profondo che possa immaginare. Scrivendo delle nostre vite riusciamo a incastrare il Tempo su un foglio di carta. Lo rendiamo accessibile ogni volta torniamo a rileggerlo.

La cosa forse ancora più magica è che nel rileggere, riempiremo gli spazi tra le parole con le esperienze fatte fino a quel momento. E così come non è possibile respirare due volte la stessa aria, non rileggeremo mai le stesse parole con le stesse emozioni.

“Ci prepariamo per passare la prima notte insieme. La prima notte della tua vita.

La prima notte della nostra nuova vita.”

Così scrivevo l’anno scorso nella Cronaca di Alexander.

Nel frattempo sono passati dodici mesi dalle 21:20 del 14 maggio 2023. Allora ti ho visto per la prima volta. Alle 21:33 ho tagliato il tuo cordone ombelicale donandoti di fatto al mondo. Ti ho sussurrato “Amore mio, benvenuto”.

In questo anno ho imparato tantissime cose: riesco a preparare un biberon in 26 secondi netti. I pannolini non hanno più segreti. Posso dormire poco e rimanere civile. Posso rassettare i giocattoli in men che non si dica e posso raccoglierli un numero esponenziale di volte quando vengono gettati fuori dal box o dal seggiolone.

Ma resto umile.

Ma la cosa più importante di tutte, ciò che veramente ha cambiato la mia vita, è il mio modo di rapportarmi al Tempo.

Vederti crescere mi ha fatto comprendere in fondo il mio posto nella storia, il mio posto nel mondo. Io sono una parte del Tutto, un piccolo nodo del tessuto che creiamo tutti insieme. Non sono né più né meno importante di un altro nodo.

Ma proprio come tutti gli altri nodi, sono indispensabile per continuare la trama.

Ho riflettuto molto sul concetto delle Tavolozza dell’Essere. È un concetto molto bello. L’idea di base è che ognuno di noi nasce con una tavolozza a disposizione, dove i colori rappresentano le esperienze, i pensieri e le informazioni disponibili in quell’epoca. Sarà la combinazione di questi elementi a dare forma e colore alle nostre vite.

Ma se è vero che nasciamo avendo a disposizione solo i colori già “scoperti”, è anche vero che possiamo crearne degli altri. E quando inizieremo ad usarli, li mostreremo alle persone vicino a noi. Forse a qualcuno piaceranno e deciderà di includerli nella sua tavolozza. E così via allargando il cerchio.

Ecco, Io è da un anno che lavoro ad un nuovo colore.

Lo faccio pensando all’opera che sto creando con tua madre. Alla magia a cui assistiamo ogni giorno. Mescolo la sensazione di prenderti in braccio per la prima volta con le tue mani che stringono le mie dita mentre ti sostengo nei tuoi primi passi. Diluisco con la commozione di quei momenti. Scurisco con un po’ di malinconia. Mi dispiace ma sei una cosa così bella che il solo pensiero di doverla lasciare un giorno riesce comunque a fare breccia. Addolcisco con quel tuo sorriso così puro che è quasi doloroso. Una punta di profondità con il bisogno di conoscere, imparare, migliorarmi. Te lo devo.

Amalgamo tutto con lo sguardo innamorato di tua madre e l’amore delle persone intorno a noi. Di Tutte le persone intorno a noi.

Ecco qui Amore mio, questo è il mio colore. Usalo come meglio credi.

Buon compleanno.

elaborazione del lutto e crescita personale

Due anni senza mia madre: Lezioni e trasformazioni

Oggi, 5 maggio 2024, sono passati due anni dalla dipartita di mia madre. Due anni in cui ho provato ad elaborare il lutto.

Si può superare un lutto? Come si guarisce dal dolore per la perdita di un genitore?

Il primo anno dalla perdita di mia madre l’ho passato cercando come un forsennato la risposta a queste domande. Ho riflettuto su temi importanti nell’elaborazione del lutto, come quello dell’accettazione e il “trovare la presenza nell’assenza”. Ero sulla buona strada, ma ancora troppo lontano dal traguardo.

Allora ho ricominciato a cercare. Ho cercato nello sport, nella meditazione, nello studio, nell’Arte. È stato un processo lungo, tanto lento dal farmi credere che non ci fosse progresso.

Le risposte alle due domande iniziavano ad arrivare, ma non osavo accettarle.

Si può superare un lutto?

No.

Come si guarisce dal dolore per la perdita di un genitore?

Non si guarisce.

Mi sentivo come un matematico che ricontrolla più e più volte la formula applicata arrivando comunque al risultato inaspettato.

Per la regola inversa però, se il risultato inaspettato è comunque giusto, ci deve essere un’errore nell’applicazione della formula.

Ho spostato la mia attenzione sulle domande che mi ponevo, ed è lì che ho trovato ciò che cercavo.

Mi rendo conto che molti dei ragionamenti che esporrò saranno al limite della filosofia, a volte della metafisica. Non sono un esperto in nessuno dei due campi. Ciò che riporterò qui è il percorso che ho fatto nell’ultimo anno.

La speranza è che ciò possa essere d’aiuto o magari di ispirazione per chi come me si è trovato o troverà ad affrontare la perdita di una persona cara.

Il concetto di perdita

Ho realizzato solo qualche mese dopo l’accaduto la violenza del lasciare la stanza dove un genitore ha appena smesso di vivere. Quel momento ha rappresentato per me una cesura con il passato. Avevo appena visto mia madre andare via. Questa volta per sempre. Non l’avrei mai più rivista. Non avrei più sentito la sua voce, non avrei più potuto toccarla. Qualcuno che neanche conoscevo in quel momento la stava letteralmente portando via. Come potevo essere lo stesso?

Eppure, seppure perso nel dolore, ho sempre prestato molta attenzione alle parole. Con le parole formiamo la nostra percezione del mondo. È importante scegliere quelle giuste.

In questi due anni, ad esempio, non sono mai riuscito a dire “mia madre è morta”. Ho un senso di malessere nello scrivere o pronunciare questa frase. Non per la paura atavica che la morte evoca, ma per il fatto che nella mia testa una cosa morta è qualcosa che non c’è più. Una cosa scomparsa. Una cosa è scomparsa quando non ce n’è più traccia.

Dire che non ci sia più traccia di mia madre in me e nelle persone intorno a me sarebbe un errore. 

Elaborare l’accettazione durante il primo anno, mi ha dato la forza necessaria per concentrarmi sulla “presenza nell’assenza” come auspicavo un anno fa. Allora era puro ragionamento, oggi sta diventando sempre di più pratica quotidiana.

Come tornare alla vita (non “di prima”)

Tutte le persone che subiscono un trauma desiderano tornare alla vita prima che la tragedia accadesse. Eppure questa proposizione – il tornare alla “vita di prima” – è fallace.

Per definizione non si può tornare alla vita di prima. Per il semplice fatto che non esiste più. Il Tempo non è un’entità statica e sempre uguale. Al contrario, si rigenera costantemente in un processo infinito che dá origine a quello che noi esperiamo come Presente. Il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora. Sono entrambi proiezioni mentali. Nonostante ciò ci intossichiamo nell’illusione di poterli controllare.

Potresti obiettare che il passato continui ad esistere dentro di noi, visto che puoi richiamare alla mente un ricordo. È sicuramente vero, ma qui si annida un’altra fallacia: se ti chiedessi cosa hai fatto alle 15:42 del 2 gennaio del 2014 probabilmente non sapresti rispondere.

Possiamo dire che quel passato non esista, visto che non lo ricordi? Ovviamente no.

Questa è la prova che confondiamo il processo di memorizzazione di eventi con il passato.

Nel processo di memorizzazione degli eventi (non parlo dell’apprendimento) le emozioni giocano un ruolo fondamentale. Ma il problema era lontano dall’essere risolto:

Se ricordo solo gli eventi rilevanti emotivamente, allora dov’è andato a finire tutto il resto del Tempo che non ricordo?

Rispondere a questa domanda ha richiesto il più grande salto di pensiero e di percezione che abbia fatto fino ad oggi. Alla base di tutto, c’era un problema di impostazione. Doveva esserci un altro livello di Essere e Tempo.

Ho sempre creduto che da qualche parte dentro di me ci fosse un regista, un Moreno in miniatura che tirasse le fila della mia mente e del mio corpo.

Allora sono andato a cercarlo. Lui aveva sicuramente le risposte.

L’ho cercato nel mio cervello, poi nella testa. Non trovando nessuno sono sceso al petto. Per quanto spaventato dai risultati della ricerca, non ho mai trovato nessuno.

È stato qui che ho riscritto il paradigma con cui guardo alla realtà:

Ciò che fino a prima identificavo come il “Moreno in miniatura” ha lasciato posto a quello spazio incontrollato che è la consapevolezza. Questa lavora esattamente come uno specchio. Riflette fedelmente ciò che accade al di fuori e nonostante essa. Ogni interpretazione di quanto registrato è appunto, un’interpretazione, un giudizio parziale e postumo. Questo può essere influenzato in positivo o in negativo e perde quindi la sua attendibilità.

Ricordo i brividi nel leggere queste parole di Pirandello ne Il fu Mattia Pascal:

“E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell’Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?”

L’arte è quella cosa che non sai cos’è, fino a quando ne hai bisogno.

Il paradosso del controllo del Tempo

Cambiare il modo di guardare alla realtà ha sbloccato altre realizzazioni. Il primo concetto che si è rivelato in tutta la sua chiarezza è stata questa assurda illusione di poter controllare il tempo.

Negli ultimi decenni abbiamo fatto di tutto per accorciare il tempo necessario a fare le cose. L’aereo, il forno a microonde, il cellulare, lo smartphone. Tutto deve essere sempre più veloce. Questa dinamica è conosciuta come il paradosso di Jevon: l’aumento di una risorsa – inteso come risoluzione del problema causato dalla scarsità di quella risorsa – porta ad un aumento della richiesta di quella risorsa, anziché alla soluzione del problema.

Nel nostro caso, invece che guadagnare Tempo, ne abbiamo perso letteralmente la cognizione.

Crediamo di poter gestire tutto, di organizzare tutto nel miglior modo possibile. Fino a quando la Vita, facendo il suo corso, sbaraglia tutto quanto senza neanche guardare. Allora inizia la denuncia di un destino triste e crudele.

Ecco, io non posso più far parte di quel coro. Non ci riesco più.

Invece di guardare il dito, io guardo alla Luna. Io sono un Essere nel Tempo. E quindi ne rispetto le leggi.

Ho lasciato la presa sul Passato e sul Futuro, concentrandomi il più possibile sul Presente. L’unico modo che ho per onorare il passato e preparare il futuro è costruire e questo è possibile solo un pezzo alla volta, nel qui e ora.

Costruire è una cosa seria e per farlo bene bisogna allontanarsi dai rumori di fondo.

Si, sicuramente non riuscirò a completare tutto ciò che inizierò. Lo faranno i miei figli e sarà giusto così.

Proprio come io ho fatto con ciò che mamma aveva iniziato.

Conclusioni

L’assenza di mia madre è assordante. Mi mancherà sempre e per sempre.

In questi due anni di lutto e di profonda riflessione, ho imparato che la perdita non è solo assenza, ma una trasformazione continua che ci sfida a guardare il mondo con occhi diversi. Non si tratta di superare il lutto o di guarire dal dolore, ma di imparare a convivere con esso e a trasformarlo in un’esperienza di crescita e consapevolezza.

Ogni giorno, onoro la memoria di mia madre non cercando di controllare il passato o il futuro, ma vivendo appieno nel presente e costruendo il mio cammino con gratitudine e consapevolezza. Non posso fermare il passare del Tempo, ma posso scegliere come rispondere ad esso.

Lo scopo di queste mie riflessioni è di aiutare o essere d’ispirazione per chi si trova ad affrontare la perdita di una persona cara. Ho sofferto tanto in questi due anni. Se non facessi qualcosa per aiutare gli altri, avrei sofferto invano.

Come seguire le proprie passioni

Come la batteria ha formato la mia vita

Seguire la Leggenda Personale

“Realizzare la propria Leggenda Personale è l’unico scopo – l’unico dovere – degli uomini. Tutto è una cosa sola. Quando desideri qualcosa, l’intero Universo cospira affinché tu possa realizzare quel desiderio” dice il Re di Salem a Santiago ne L’Alchimista di Paulo Coelho.

Sembra una frase fatta, adatta solo per i film o i libri.

Io invece ho la dimostrazione scientifica che questa frase è una verità assoluta.

Sin da bambino, quando desideravo fortemente una cosa, la cercavo con tutto me stesso. Mi immergevo completamente in ogni fonte disponibile. C’era una voce dentro di me, una voce senza tempo, che mi guidava passo passo e non mi permetteva di distrarmi.

Poi di colpo, come se un regista benevolo riconoscesse i miei sforzi genuini e volesse premiarli, quella cosa accadeva.

Ancora Coelho:

“È successa una cosa sorprendente,” disse. “Il mio amico ha comperato tutte le altre pecore. Ha detto che ha sempre sognato di fare il pastore, e che quello era un ottimo segnale.”

  “Accade sempre così,” disse il vecchio. “È qualcosa che si chiama Principio Favorevole. Se tu giocassi a carte per la prima volta, quasi certamente vinceresti. È la cosiddetta Fortuna del Principiante.”

  “Ma per quale motivo si verifica?”

  “Perché la vita vuole che tu persegua la tua Leggenda Personale.”

In questo articolo vi racconto la mia Leggenda Personale.

È andata così:

L’inizio del viaggio

Non dimenticherò mai la prima volta che ho suonato la batteria. Avevo 5 anni. Ogni volta che andavo a casa di mia nonna, saltavo sulla sedia della cucina e le chiedevo:

«Nonna mi monti la batteria?»

Con la pazienza che solo le nonne hanno, lei prendeva tutte le pentole e le metteva sul tavolino. I cucchiaini erano le mie bacchette preferite. Il bollilatte un perfetto rullante. Passavo pomeriggi interi ad esplorare le possibilità sonore. I coperchi suonavano diversamente a seconda di dove li colpivi. Se alzavi il bollilatte dopo averlo colpito col cucchiaino il suono cambiava!

Poco dopo ricevetti una batteria giocattolo e la mia vita professionale è iniziata. I pomeriggi ora li passavo nel salotto di casa con la batteria e un registratore giocattolo. Suonavo concerti interi in cui facevo il direttore d’orchestra, il batterista, il cantante e il pubblico. È tutto registrato su musicassetta.

Sembra l’inizio della storia di un enfant prodige, invece poco dopo ho mollato le bacchette  di plastica e mi sono completamente dimenticato della batteria.

Fino all’ultimo anno delle scuole superiori.

Un bisogno impellente di suonare aveva iniziato ad alzare la voce fino a costringermi a soddisfarlo. Fino ad allora non avevo mai toccato una vera batteria. Eppure ogni volta che ascoltavo un brano visualizzavo le mie mani muoversi esperte sul set.

Dovevo provare.

L’epifania

Un mio cugino lontano suonava in una band e mi ha invitato alle prove. Non ho staccato gli occhi dal batterista nemmeno per un momento.

Poi è successo.

La band prende una pausa e il batterista mi dice:

«Vuoi provare?»

Afferro le bacchette che mi porge senza esitare. Mi siedo dietro le pelli e la magia accade.

Una scarica di qualcosa simile all’elettricità. Ero come estraniato dalla realtà. Vedevo dall’esterno una sorta di tunnel luminoso che partiva dal bambino che suonava sulle pentole della nonna. Non ne potevo vedere la fine. Sapevo solo che quella sarebbe stata la strada da seguire.

Ho ubbidito.

I primi corsi di batteria

La scuola superiore offriva lezioni pomeridiane di batteria. Mi sono iscritto specificando che non avrei voluto prendere parte ai saggi di fine anno.

«Non preoccuparti, se non hai mai suonato la batteria probabilmente non sarai in grado di partecipare» mi disse l’insegnate di batteria.

Il problema fu che dopo 3 lezioni lo stesso insegnante mi disse:

«Non mi aspettavo che apprendessi così velocemente. C’è una band che cerca un batterista. Impareresti molto suonando con loro».

Non credevo alle mie orecchie. Non avevo mai preso in considerazione un’evenienza del genere. Eppure non c’era traccia dell’ansia provata al momento dell’iscrizione.

«Mi piacerebbe molto. Quando provano?»

«Il martedì pomeriggio. Ti faccio una lista dei brani che stanno studiando»

Il repertorio era decisamente rock: Black dog dei Led Zeppelin, Sympathy for the Devil dei Rolling Stones, Have a cigar nella versione dei Foo Fighters, Knocking on Heaven’s door nella versione dei Guns’n’Roses.

In questo periodo ho imparato a giocare con l’arrangiamento dei brani. Ho preso confidenza con le varie parti che compongono un brano rock, capendo gli effetti e le potenzialità delle dinamiche.

L’8 maggio del 2003 feci il mio primo concerto. Dietro al palco con gli altri ragazzi dei gruppi che si sarebbero esibiti riuscivo a malapena a restare seduto per 5 minuti. L’emozione era alle stelle, ma quando iniziammo a suonare sparì di colpo. Ero nel Flow, quella zona in cui il tempo sembra fermarsi e tutto sembra andare avanti di vita propria.

Ero parte del Tutto e sapevo istintivamente che era giusto così.

La prima grande scelta: l’iscrizione al Saint Louis College of Music

Dopo le scuole superiori mi sono iscritto all’Università di Roma Tor Vergata, facoltà Scienze dei Beni Culturali, indirizzo archeologico. La storia e l’archeologia sono tutt’ora due mie grandissime passioni. Ho frequentato i primi due anni facendo tutti gli esami. Avevo una buona media. Eppure il fuoco della passione non bruciava come mi sarei aspettato.

Per perseguire la mia passione, avrei dovuto fare degli studi seri. Senza troppi dubbi la scelta è caduta sul Saint Louis College of Music di Roma. C’era solo un problema, cioè che essendo una scuola privata era nettamente fuori dalle mie possibilità economiche. Era comunque una mia scelta e volevo prendermi tutte le responsabilità che ne derivavano. Non avrei chiesto soldi ai miei per pagarla. Avevo un lavoro part-time in un albergo di lusso al centro di Roma, ma non guadagnavo abbastanza. Avrei dovuto trovare un altro lavoro.

Nei giorni liberi distribuivo volantini in diversi quadranti della città di Roma. Più o meno nello stesso periodo, due colleghi dell’albergo avevano messo su una ditta di pulizie e mi chiesero di andare a lavorare per loro. Avrei lavorato al mattino presto, con una certa libertà di organizzazione del lavoro, per pulire le vetrine di alcuni negozi del centro commerciale Parco Leonardo di Fiumicino. Per iniziare presto, sarei dovuto partire all’alba da casa.

Studiare al Saint Louis per me era una sorta di privilegio. Il peso dei secchi pieni di acqua e sapone con cui lavoravo la mattina prima delle lezioni mi hanno fatto assaporare ogni singolo minuto passato lì dentro. Per la prima volta nella mia vita mi trovavo in un luogo con persone che come me avevano sentito la chiamata della Musica e avevano avuto il coraggio di seguirla.

Al momento dell’iscrizione mi chiesero se volessi fare dei test d’ingresso per assestare il mio livello. Ho risposto che non avevo intenzione di farli. Approcciavo un percorso nuovo e volevo farlo dall’inizio per evitare di dover correre dietro a standard che non sapevo di dover mantenere.

Dai tanti professori che ho avuto non ho appreso solo le nozioni. Li ho osservati come uno scienziato osserva un elemento al microscopio. Ne ho assorbito l’essenza, riconoscendo in loro lo stesso fuoco che ardeva in me.

Doppio lavoro e studio

Diverse volte mi sono trovato a combinare due lavori. Di tanto in tanto venivo ancora chiamato dall’hotel. Avevo dato la disponibilità per i turni di notte. Partivo alle 22 dal mio paese per andare a Roma. Facevo il turno dalle 23:30 alle 7. Con l’esperienza ho imparato a gestire le mansioni da svolgere così da lasciarmi un paio d’ore per riposare. Poi andavo al centro commerciale e lavoravo ancora un paio d’ore fino alle 10. Poi di corsa in macchina per andare a lezione.

Le 11:30 di solito era l’orario critico. Mi arrivava sempre la stanchezza e mi trovavo a chiudere gli occhi senza neanche accorgermene. Spesso mi svegliavo e mi guardavo intorno per vedere se il professore o i miei compagni si fossero accorti di qualcosa. Nessuno mi ha mai detto niente, non so se per delicatezza o perché effettivamente non se ne siano mai accorti.

Ho studiato tanto e con disciplina. Ho imparato a gestire il tempo, i (pochi) soldi e le energie. Mi sembrava logico l’avere un obiettivo e mirare esclusivamente a raggiungerlo. Non c’erano distrazioni, non c’erano dubbi, non c’erano problemi. C’era solo la voglia di fare.

I primi quattro anni mi hanno visto alle prese con il pianoforte complementare, sezione ritmica, solfeggio cantato, parlato e ritmico, armonia classica, ear training e tanta, tanta musica nuova.

L’esperienza del triennio Jazz

Con un tempismo perfetto, quando avevo appena finito il triennio multistilistico il Saint Louis ottenne il riconoscimento del diploma equivalente ad una Laurea di primo livello. Scelsi l’indirizzo Jazz.come realizzare la propria leggenda personale

Iniziò un periodo fatto di musica nuova. La realtà cambiò con essa. La scoperta del Jazz mi insegnò una grande lezione: quando diciamo che non ci piace qualcosa, in realtà intendiamo dire che non la capiamo.

Ho studiato e suonato tanti stili diversi con tante persone diverse. Il telefono squillava sempre più spesso. Parallelamente allo studio del Jazz ero attivo anche nella scena pop. Ho suonato con molti artisti della scena pop italiana, girando tutto il Paese. Iniziai ad allentare il lavoro al centro commerciale, provando a dare più spazio ad entrate provenienti dalla musica. Ho iniziato lavorare come insegnante di batteria privatamente e in un paio di scuole di Roma.

Laurea e opportunità

Per la tesi decisi di approfondire la storia del tamburo, ricercando le origini del linguaggio Jazz. Collocare tutte le informazioni apprese in quegli anni in un contesto storico-culturale ha cementato ancora di più la mia passione per questo strumento.Laurea al Saint Louis College of music in batteria

Mi sono laureato con lode il 1 ottobre del 2015, il giorno del mio trentesimo compleanno.

Qualche settimana prima, senza nessuna aspettativa, spedii una richiesta di partecipazione ad un bando che offriva la possibilità di fare tirocinio come insegnante in un conservatorio dell’Unione Europea. Scelsi la Danimarca, ho sempre avuto un debole per i paesi nordici.

Il passo successivo: Master in Jazz

Dopo la laurea al Saint Louis College of Music mi sono iscritto al Master in Batteria Jazz al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. I corsi sono iniziati intorno alla metà di ottobre e sarebbero durati due anni.

La transizione al lavoro: insegnante al Saint Louis College of Music

Allo stesso tempo sono stato chiamato dal Saint Louis College of Music. Ho iniziato a lavorare come sostituto del mio primo insegnante, per poi avere i miei primi allievi. L’orgoglio che ho provato il mio primo giorno di lavoro ha ripagato in un attimo tutti i sacrifici fatti fino a quel momento.

Ero partito letteralmente da zero in quella scuola. Ho lavorato duramente per potermela permettere ed ho studiato tanto, senza risparmiarmi. Ora mi trovavo ad essere uno degli insegnanti. Se me l’avessero detto all’inizio del mio percorso, non ci avrei mai creduto.

Per la prima volta potevo mantenermi lavorando esclusivamente con la musica. Ho lasciato il lavoro al centro commerciale. Ripenso sempre con tanta gratitudine a quel periodo.

Ero felice, fiero di ciò che avevo raggiunto. Dopo tanti sacrifici iniziavo a trovare un po’ di stabilità.

Fino a quando ricevetti una email che cambiò le carte in tavola: la domanda per il tirocinio che avevo effettuato senza aspettative era stata accettata.

Verso nuovi orizzonti: l’esperienza in Danimarca

Da metà gennaio ero atteso al Det Jyske Musikkonservatorium di Aalborg.

Fu un periodo di grande indecisione. Ero appena stato assunto dal Saint Louis e già dovevo chiedere un permesso di 6 mesi. Temevo che sarei stato rimpiazzato, che avrei “perso il treno”. Non sapevo cosa fare.

Al contrario, la voce dentro di me continuava a spingere per accettare la borsa di studio e fare l’esperienza in Danimarca. Da qualche parte nel profondo, emerse la consapevolezza che continuare ad investire su me stesso era l’unica cosa giusta da fare, sempre e comunque.

“Se ti fermi ora, rimarrai uno dei tanti” pensavo. O meglio, sentivo.

Sono partito il 13 gennaio. Davanti a me avevo 6 mesi in cui avrei potuto insegnare batteria e analisi ritmica agli studenti del conservatorio. La struttura era impressionante, moderna sotto tutti i punti di vista. Ogni studente aveva un pass con cui poteva accedere al conservatorio 24 ore su 24 sette giorni su sette.

Ho proposto un programma basato sulla tecnica dei rudimenti e l’indipendenza jazz. Ho conosciuto tanti musicisti bravissimi e mi sono scontrato per la prima volta con un approccio didattico diverso dal nostro. L’accademismo e le nozioni qui lasciavano il posto allo sviluppo della creatività e dell’individualità. Mi rimase impressa una frase del mio team leader: “Se arriva il prossimo John Lennon dovrei non ammetterlo perché non passa l’esame di ear training?”

Ho sempre avuto un debole per le situazioni che mi lasciano spiazzato. È proprio lì, quando vedo tutte le “certezze” sgretolarsi che sento la forza della crescita e dello sviluppo. Così ho imparato ad averne sempre meno, di certezze. Il confine tra pilastro e zavorra è troppo labile.

Per la prima volta nella mia vita mi trovavo ad insegnare in una lingua diversa dalla mia. Padroneggiare l’astrazione a volte necessaria durante le spiegazioni ha portato il mio inglese ad un ottimo livello.

Ero immerso in una realtà culturale completamente diversa. Altri usi, altre abitudini. Il clima imponeva un altro stile di vita che ho abbracciato da subito.

Questa esperienza ha giocato un ruolo fondamentale nella mia formazione come musicista e come didatta.

Sono tornato in Italia il 19 maggio del 2016.

Incontri ed Erasmus: cambia tutto

Per via del tirocinio ho accumulato un ritardo negli esami del primo anno accademico. Era chiaro che la laurea magistrale sarebbe arrivata con un anno di ritardo.

Non tutte le lezioni sono state interessanti. C’è stata una materia che mi ha segnato, nonostante l’attrito iniziale: Analisi delle Forme Classiche. Non posso dire che le lezioni fossero all’avanguardia a livello di metodologia e coinvolgimento degli alunni. Dopo la reticenza iniziale, ho cercato di capire ciò che potevo imparare e la mia ricettività è cambiata.

Durante queste lezioni è stato piantato il seme che sarebbe sbocciato qualche anno dopo, portandomi ad innamorarmi della musica classica.

L’incontro che ha cambiato tutto

“La vita è quella cosa che succede mentre sei impegnato a fare altro” diceva Lennon.

Beh, mentre io ero impegnato a (ri)costruire la mia vita personale, lavorativa e musicale, c’è stato un evento che ha rappresentato un bivio decisivo nella mia vita: in una serie di coincidenze quasi magiche, il 19 ottobre del 2016 ho conosciuto mia moglie.

La mattina del 19 ottobre ho ricevuto una chiamata da un mio amico. Mi chiedeva se fossi libero la sera per sostituire il batterista del trio che si era ammalato. Ho accettato e ad un certo punto della serata l’ho vista entrare ed ho capito subito che la mia vita stava per cambiare.

Abbiamo parlato tanto, ci siamo rivisti la mattina successiva per un caffè davanti al Colosseo prima che lei ripartisse.

Perché c’era un piccolo dettaglio: viveva nei Paesi Bassi.

Come proseguire?

Dopo il primo anno di relazione a distanza, ho iniziato a pensare ad un modo per poter stare più insieme. Avrei dovuto fare un anno da fuoricorso al conservatorio e di certo non saltavo di gioia all’idea.

È stato allora che ho avuto l’idea: perché non andare a studiare all’estero? Avrei potuto fare richiesta per la borsa di studio Erasmus e provare ad entrare in uno dei conservatori olandesi. In questo modo avrei potuto continuare (e concludere) gli studi, vivendo insieme con Carolien.

Ho fatto domanda al Codarts di Rotterdam e al Prins Claus di Groningen. Dopo qualche settimana ottenni risposta da Groningen. Ero stato accettato come studente Erasmus per il New York Jazz master.

New York Jazz Master e…proposta di matrimonio

Il concetto del New York Jazz master è che ogni settimana un musicista attivo della scena newyorkese sarebbe venuto a fare lezione come special guest. All’organico di base si aggiungeva ogni settimana una special Guest della scena musicale newyorkese.

Ho avuto due insegnanti di batteria, uno per semestre. Ho iniziato con Joost van Schaaik. Personalità molto forte. Innamorato del jazz e molto disciplinato sullo strumento. Come da tutti i miei veri insegnanti, da lui ho appreso tanto dall’osservarlo, oltre che dal praticare sullo strumento.

Studiare con lui è stato decisivo per la maturazione della mia tecnica. Ho potuto sviluppare un approccio più leggero, pensando ad ogni colpo come la preparazione del successivo.

Il secondo semestre ho studiato con Steve Altenberg. Definirlo batterista sarebbe riduttivo, viste le sue abilità sul piano. Con lui ho imparato ad ascoltare e creare con la batteria. Insieme abbiamo lavorato anche allo sviluppo di idee armoniche, per capire meglio come interagire al meglio una volta dietro le pelli.

Se in Danimarca vivevo in un contesto europeo, a Groningen ho vissuto in un contesto mondiale. Nella mia classe c’erano studenti dal Brasile, Cina, Corea del Sud, oltre che Spagna e Lituania.

Non esagero nel dire che questa esperienza di studio sia stata decisiva nel mio sviluppo stilistico e musicale. Ho seguito un corso di imprenditorialità dove ho imparato le basi del personal branding per vedermi come imprenditore a tutto tondo, anziché semplice “batterista”. Ho iniziato a puntare più su me come singolo, anziché ripiegare sempre e comunque sulla forza del gruppo.

La proposta di matrimonio

Nel frattempo la convivenza con Carolien andava sempre meglio. I mesi si susseguivano velocemente mentre io mi innamoravo sempre di più di lei e del Paese che mi ospitava.

Il 7 marzo, il giorno del suo compleanno, ho deciso di fare il passo. Al ritorno dal lavoro le ho fatto trovare il soggiorno pieno di palloncini colorati. Su alcuni di questi palloncini c’erano scritte delle lettere. Le ho chiesto quindi di cercarli e metterli insieme per vedere che frase formassero.

Wil jij met mij trouwen?

Ho ricontrollato la frase più e più volte prima di scriverne le lettere sui palloncini.

Mi vuoi sposare?

Lei continuava a dire: «Veramente? Sul serio?». Io non stavo più nella pelle, il cuore sembrava volermi uscire dal petto. Ci siamo abbracciati commossi e emozionati. Sapevamo che avevamo appena raggiunto un punto cruciale nelle nostre vite.

Il trasferimento nei Paesi Bassi

Decidere di sposarci voleva dire continuare a vivere insieme. Dovevamo decidere se andare a vivere in Italia o rimanere nei Paesi Bassi. Ne abbiamo parlato spesso e nessuno dei due ha mai provato a convincere l’altro. Abbiamo analizzato insieme la situazione, cercando di capire quale sarebbe stata la soluzione più funzionale.

Rimanere nei nei Paesi Bassi si è rivelata la scelta più giusta da fare.

A volte ripenso a quei momenti e mi sorprendo della facilità con cui ho preso una decisione del genere. Trasferirsi vuol dire abbracciare un’altra realtà alla condizione imprescindibile di abbandonare quella di provenienza. Tradotto: luoghi, amici, affetti, genitori, lavori, odori, sapori, abitudini, colori, modi di dire, modi di parlare.

Ho dovuto lasciare tutto in Italia, portando con me solo il ricordo delle emozioni e il significato che hanno avuto nella mia vita fino a quel momento.

Eppure sentivo che quella era la scelta giusta da fare. Di nuovo quella voce interiore, quella saggezza che si fa sentire sempre molto chiaramente.

Sono tornato in Italia per discutere la tesi magistrale. Incantato dalle scoperte fatte durante lo studio olandese, ho fatto una ricerca sul Melodic Drumming. Dopo qualche giorno, sono tornato nei Paesi Bassi, per restarci.

Mentirei se dicessi che è stato facile. Dopo il primo periodo dove tutto è scoperta, si entra in una sorta di limbo in cui non si è parte della nuova realtà, ma neanche più parte della vecchia. Per un periodo di tempo indefinito è come essere apolidi.

Una nuova sfida: Laurea in olandese come insegnante di musica

Per velocizzare l’integrazione ho iniziato da subito a studiare l’olandese. Imparare la lingua è stato fondamentale per entrare velocemente nel mercato del lavoro.

Ho fatto altri lavori per raggiungere la stabilità economica necessaria per fare piani per il futuro. Volevo combinare la mia passione per la musica con quella dell’insegnamento.

È stato allora che ho deciso di intraprendere un altro percorso di studi. Davanti a me avevo altri due anni di studi (in olandese). La voce mi rassicurava che era la strada da prendere. Come sempre mi sono (af)fidato ciecamente.

Mentre lavoravo come aiuto-cuoco nel ristorante di una bellissima tenuta, mi sono iscritto al conservatorio ArtEZ di Enschede. Qui ho preso la mia terza laurea in olandese come insegnante di musica. Ho ritrovato la filosofia dell’approccio danese ed ho soprattutto scoperto l’utilizzo della tecnologia nell’insegnamento. Il mio progetto di laurea è stato il progettare un prototipo di app di realtà aumentata per facilitare l’insegnamento del pianoforte.

Questi due anni sono stati decisivi per l’apprendimento della lingua. Tutti i corsi erano in olandese, tutti i compagni parlavano olandese. È stato bellissimo riscoprirmi dietro nuovi suoni, nuove parole, nuovi modi di dire e quindi di fare.

Allo stesso tempo ho sbloccato le mie competenze didattiche e pedagogiche. Mi sono appassionato moltissimo all’insegnamento e ai diversi modi di imparare e insegnare.

Nuovi inizi: opportunità di carriera

Due mesi dopo la laurea mi sono imbattuto in un annuncio di lavoro del liceo dove avevo svolto il tirocinio pochi mesi prima, in piena pandemia.

Decido di candidarmi e scrivo una lettera di motivazione che allego al curriculum. Qualche giorno dopo vengo invitato per un colloquio.

Due settimane dopo ricevo una telefonata mentre ero al lavoro al ristorante. “Sono felice di comunicarti che sei stato assunto”, mi dice la team leader “puoi iniziare tra due settimane?”

Rientro nel ristorante con il cuore in gola. Entro in cucina e glielo dico al proprietario.

«Congratulazioni di cuore» mi dice, «quando dovresti iniziare?»

«Tra due settimane, ma non potrei visto che dovrei darti un preavviso di un mese per licenziarmi»

«Hai lavorato duramente per arrivare a questo risultato. Non sarò di certo io a crearti problemi. Puoi iniziare tranquillamente tra due settimane col nuovo lavoro. Noi qui ce la caveremo.»

Ricordo ancora le lacrime di gratitudine al sentire queste parole. Tutta la stanchezza, lo stress, le giornate lunghissime, il lavoro alla tesi sull’iPad durante le pause. Tutto ha avuto senso.

Ho iniziato 3 anni fa come insegnante di CKV (Formazione Artistica e Culturale). Quest’anno ho firmato un contratto a tempo indeterminato come insegnante di musica in un’altra sede della stessa scuola.

La nascita di MoreDrums: l’inizio della mia Scuola di Batteria

Un altro dei miei sogni ha visto la luce tre anni fa. Tramite la percussionista di un ensemble in cui suonavo, ho conosciuto un batterista che dava lezioni a Deventer, dove viviamo. Ci siamo conosciuti e ci siamo trovati subito.

Dopo quel giorno non l’ho più sentito per un po’ di tempo. Poi un giorno squilla il telefono e vedo il suo nome sullo schermo. Eravamo a metà giugno.

«Ho ricevuto un contratto a tempo indeterminato nella scuola in cui lavoro e non riuscirei più a mantenere le lezioni di batteria. Qualora fossi disponibile potrei dire ai miei allievi di fare una lezione di prova con te. Mi dispiacerebbe lasciarli senza un’alternativa. Che ne dici?»

«Wow, sono felicissimo per te! Mi sembra un’ottima idea» gli dico «mi piacerebbe moltissimo. Quando potrei iniziare?»

«L’anno scolastico inizia l’ultima settimana d’agosto» mi spiega, «pensi di farcela?»

Avrei dovuto aprire la partita IVA, fissare la sala in cui avrei dato le lezioni, mettere su un sito web con tutte le informazioni e preparare tutto il materiale didattico.

«Certo!» Non farmi spaventare dalla mole di lavoro è sempre stata una mia caratteristica.

Ad agosto 2021 ho aperto la mia scuola di batteria MoreDrums a Deventer. Grazie a una didattica su misura per ogni allievo e una solida pedagogia ho raggiunto in breve il massimo degli allievi possibili, dovendo ricorrere ad una lista d’attesa.

Conclusioni

Per natura gli scenari possibili nella vita di una persona sono infiniti. Ogni scelta fatta apre combinazioni fino ad allora inesistenti. Un po’ come in una partita di scacchi. Dopo sole 3 mosse, ci sono nove milioni di possibili partite da giocare.

Oltre a dare forma al nostro presente, gli effetti delle nostre scelte hanno un ruolo ancora più importante: definiscono la nostra biografia. Ogni bivio ne rappresenta un tratto e i valori che abbiamo seguito per scegliere la direzione da prendere raccontano chi siamo stati e quindi chi siamo diventati.

Scrivere questo articolo mi ha fatto mettere nero su bianco tutti i passi fondamentali del mio percorso.

La sensazione di seguire una strada, che durante gli anni passati era solo una percezione, si è rivelata in tutta la sua chiarezza. Ciò mi ha aiutato nei momenti di difficoltà, quando ero divorato dal dubbio di aver fatto le scelte sbagliate.

Se dieci anni fa mi avessero detto che mi sarei trasferito nei Paesi Bassi, con una bellissima moglie, uno splendido figlio, un contratto a tempo indeterminato in una bella scuola, una propria scuola di batteria in una bellissima città, avrei sorriso malinconico credendo che non sarebbe mai stato possibile.

Ma io lo volevo. E quindi l’ho fatto.

Ho seguito la mia Leggenda Personale.

E tu? Cosa è che desideri veramente? Qual è la tua leggenda personale? Per cosa vorrai essere ricordato?

schermo con digital detox

Digital Detox: cosa è e come affrontarlo

Se stai leggendo questo articolo, è perché senti che hai bisogno di un cambiamento. Se hai digitato digital detox su google hai già inquadrato il problema.

In questa guida definitiva per il Digital Detox vediamo insieme cosa c’è da sapere per impostare un piano efficace e ripristinare il sistema.

Cos’è il digital detox

L’avrai notato anche tu. Sei in fila al supermercato. Ci sono potenzialmente 45 secondi in cui dovresti solo aspettare. Senza accorgertene ti ritrovi col telefono in mano, social aperti.

Oppure hai appena postato una foto della tua vacanza. Ne vai fiero e non vedi l’ora di far vedere al mondo che hai una vita attiva, che viaggi e fai cose fighe. Ogni 2 minuti apri l’app per vedere quanti likes ci sono. Quando ce ne sono pochi ti rattristi, pensando che quella vacanza forse così speciale non era.

Oppure stai guidando e no, quella notifica non può aspettare. Devi per forza vedere chi ti ha scritto cosa, oppure mandare quel messaggio.

Non dipende da te, o perlomeno non più. Ormai hai un’intossicazione da dopamina. Hai  bisogno di un Digital Detox per ristabilirne i livelli ottimali.

Nel suo libro The subtle art of not giving a fuck Mark Manson fotografa perfettamente la realtà per come la viviamo oggi: l’iperconnessione in cui viviamo grazie ad internet e ai social porta con sé l’idea che l’essere eccezionali sia diventato il nuovo standard. Essendo connessi 24/7 siamo portati a paragonare le nostre vite con le versioni edulcorate della vita degli altri. La conseguenza è che molte persone finiscono per non sentirsi all’altezza, sviluppando un cronico bisogno di accettazione. Come soddisfano questo bisogno? Attraverso i canali che “gratuitamente” permettono di raggiungere tutti. I social.

Qui ci sono almeno due errori di valutazione: credere che i social siano gratuiti e che siano il canale giusto per trovare la tanto desiderata accettazione.

I social non sono gratuiti. Accettano solo un’altra valuta, la nostra attenzione. E i social sono progettati a tavolino per prenderne il più possibile. Tobias Rose-Stockwell in questo articolo riassume perfettamente il concetto:

“Per la prima volta, la maggior parte delle informazioni che consumiamo come specie è controllata da algoritmi costruiti per catturare la nostra attenzione emozionale”

Gli algoritmi sono progettati per aumentare il più possibile lo screentime. In questo modo avrai sempre la sensazione di dover stare online per rimanere parte del gruppo. Stare disconnessi porta l’ansia di essere lasciati indietro. Ecco che arriva la FOMO.

Il Digital detox è essenzialmente un reset del nostro cervello. È come un grande intervento di manutenzione in cui smantelliamo gli ultimi aggiornamenti per ripristinare il sistema originale.

Cos’è la dopamina

Capire cos’è la dopamina e come influisce sul nostro sistema è la chiave per pianificare un efficace Digital Detox.

Per rimanere nel quadro d’interesse di questo articolo, tratterò solo gli aspetti utili al discorso. Se vuoi approfondire, ti consiglio questo articolo.

La dopamina è un neurotrasmettitore cruciale nel funzionamento del sistema nervoso. Svolge funzioni importanti, tra cui:

– Regolazione dell’umore

– Regolazione dell’appetito

– Controllo del movimento

– Apprendimento e memoria

– Piacere e ricompensa

Quest’ultimo è ciò ci interessa particolarmente. Mentre produce dopamina il cervello “prende nota” di quale successione di eventi abbia portato a quella esperienza positiva, in modo da poterla replicare.

Perché il problema è che la dopamina da assuefazione.

Più ne abbiamo, più ne vogliamo. Per trovarne dosi praticamente infinite basta guardare nelle nostre tasche o nelle nostre borse.  E l’assuefazione porta all’intossicazione e quindi a crisi di astinenza. I casi di FOMO sono aumentati vertiginosamente negli ultimi anni.

Suona tutto esagerato, forse. Ma è proprio questa sottovalutazione che rinforza il circolo vizioso in cui ci troviamo. Il famoso “smetto quando voglio”.

In un’intossicazione da dopamina la corteccia prefrontale, responsabile del controllo degli impulsi, viene inibita. L’unica resistenza che avevamo viene in questo modo disinnescata. I livelli di stress salgono e per tenergli testa l’unico modo rimasto sembra essere proprio rinforzare quelle abitudini che hanno causato l’assuefazione in primo luogo.

Digital Detox in 4 mosse

“I’ve never seen any life transformation that didn’t begin with the person in question finally getting tired of their own bullshit.”

        Elizabeth Gilbert

1. Prendi nota di quanto tempo passi su internet.

infografica sul digital detox

Prendere consapevolezza delle proprie abitudini, specialmente quelle che ormai sono diventati degli automatismi, è il punto di partenza per affrontare la dipendenza da dopamina.

Inizia con l’annotare quanto tempo passi sui diversi canali. Tra questi rientrano:

– Social media

– YouTube, Reddit, Quora, ecc.

– Twitch

– Netflix (bingewatching)

– Pornografia

– Combinazioni varie dei suddetti

Gli smartphone moderni (perlomeno gli iPhones) registrano queste attività automaticamente. Ricordo l’amara sorpresa nel leggere il rapporto settimanale del tempo passato col telefono in mano. Ho raggiunto picchi di 5/6 ore al giorno. A mia discolpa posso dire che ascolto molto la radio online, ma anche se fosse la metà – diciamo 3 ore al giorno – mi sentirei in colpa lo stesso.

Perché?

Facciamo un rapido calcolo: 3 ore al giorno sono 21 ore a settimana, ossia 1092 ore in un anno. 1092 ore sono 46 giorni.

46 giorni passati a fare…cosa?

Quante cose potresti imparare, coltivare o perfezionare in 46 giorni?

Immagina di poter investire questi 46 giorni per 50 anni. Guadagneresti 6 anni.

Quante cose potresti imparare, coltivare o perfezionare in 6 anni?

2. Crea una routine quotidiana

Stabilisci dei momenti specifici in cui potrai navigare su internet. Ad esempio:

– Controllare le email tra le 10 e le 10:30

– Social dalle 14:30 alle 15:00 e dalle 19:30 alle 20:00

– YouTube solo per imparare qualcosa di nuovo

– Ecc.

Regolare in questo modo la giornata, ti aiuterà a diminuire il min

dless scrolling. Rendila un’abitudine e prova a usare la dopamina a tuo vantaggio: stare su internet sarà la ricompensa per aver tenuto duro fino all’orario stabilito.

Una volta trovato un nuovo equilibrio, gioca a diminuire sempre di più il tempo che avrai a disposizione per stare su internet senza nessuno scopo particolare.

3. Disattiva le notifiche

Il punto numero 2 sarebbe difficile, se non impossibile, se continuassi a ricevere notifiche dal telefono ogni 2 minuti. Disattivale, o se preferisci, applica lo stesso sistema descritto nel punto precedente.

Ci sono molti modi per limitare o disattivare le notifiche. In quanto Apple guy, posso consigliarti i diversi Non disturbare. Qui puoi creare automazioni in cui stabilisci quali notifiche lasciare passare e quali no a seconda delle diverse attività che stai facendo. Se a questo unisci la potenza delle automazioni (a mio avviso una delle app più sottova

lutate, di default su iPhone e iPad), rendi tutto ancora più facile.

Io ad esempio ho creato un’automazione per cui ogni volta che apro un’app di lettura, iPhone imposta lo stato Lettura, in cui tutte le notifiche sono bloccate.

Allo stesso modo ho impostato un’automazione per cui appena arrivo al lavoro, iPhone e iWatch vanno in modalità Lavoro, bloccando di nuovo determinate notifiche.

Sperimenta con il tuo dispositivo e trova un tuo equilibrio.

4. (Ri)trova modi naturali per produrre dopamina

Essere assuefatti alla dopamina, vuol dire averne bisogno in quantità sempre maggiori per soddisfarne il bisogno. In questo loop infinito, il cervello farà in modo di ricercare e riprodurre tutti i fattori in grado di

 produrre il tanto agognato dopamine shot.

Quello che dobbiamo fare è resettare i recettori di dopamina, riportando tutto ai livelli di default.

Qui riporto 5 attività che mi hanno aiutato nel mio processo di disintossicazione:

Tieni un diario. Non pensare al “Caro diario…”. Registrare stati d’animo, attività, idee e progetti è un modo perfetto per tornare in contatto con la realtà.

Fai sport. Utilizzare il nostro corpo è una delle fonti più sane di produzione di dopamina. Puoi fare lunghe passeggiate, che puoi combinare con l’ascolto di podcast in cui imparare qualcosa di nuovo. Oppure puoi iscriverti ad una (mezza)maratona e allenarti seriamente per portarla a termine.

Io mi sono appassionato al ciclismo. Mi piace coprire lunghe distanze e ho combinato questa cosa con l’interesse per la storia. Ho visitato tutte le città olandesi della Lega Anseatica (quelle tedesche sono già nel mirino).

Trova un hobby. Un’attività che ti consenta di passare tanto tempo off-line. Potrebbe trattarsi di modellismo, oppure di giochi da tavola (io mi sono appassionato agli scacchi). Potresti imparare una nuova lingua,

 oppure a suonare un nuovo strumento musicale. Potresti imparare a scrivere, seguire un corso di cucina o di yoga.

Passeresti tanto tempo lontano dal telefono, imparando cose nuove. C’è qualcosa di più bello?

Riscopri la lettura. Secondo Rotsyslav Semkiv, autore di How to read the classics:

“I libri sono sia un modo per sfuggire all’ansia/preoccupazioni quotidiane sia per affrontare in sicurezza le emozioni più impegnative, proiettandole su trame e personaggi di fantasia. Inoltre, la lettura ci dà accesso a una grande quantità di informazioni raccolte e migliorate nel corso dei secoli e delle generazioni.”

Investi nei rapporti interpersonali. Invece di mettere like ai post dei tuoi amici, chiamali. Datevi appuntamento davanti ad una birra o a un caffè e parlate guardandovi negli occhi. Fai una sorpresa a tua moglie o tuo marito portandola a cena fuori, ad una mostra, o qualsiasi cosa vi appassioni. Mostra interesse e sii presente mentre siete insieme.

5 attività da fare durante il digital detox

Conclusioni

Vivere nell’era della tecnologia è una fortuna di cui sono quotidianamente grato. Ma come tutte le rivoluzioni, quella tecnologica ha anche i suoi lati negativi.

Ritrovarsi intossicati nel loop dell’astinenza da dopamina può avere effetti devastanti sulla qualità della vita. E di vita ne abbiamo una sola.

Limitando e utilizzando consapevolmente internet e il telefono, permetteremo come prima cosa che questi livelli si abbassino. Si creerà uno spazio ed è qui che accadrà il miracolo:

Le attività più “semplici” che svolgevi prima e che avevi mollato perché ormai noiose, o che richiedevano troppa autodisciplina, torneranno di nuovo a sembrarti interessanti e stimolanti.

Nella mia esperienza personale, ho provato un vero e proprio senso di rinascita. Ho ripreso una delle mie passioni più grandi, la lettura.

Avevo stabilito di leggere 14 libri nel 2023. Da quando ho praticato il dopamine detox (agosto) ad oggi (novembre) ho letto 32 libri.

Ho scoperto gli scacchi e sto costruendo un mio secondo cervello. Un luogo dove riporto tutti gli appunti provenienti da libri letti, podcast ascoltati o lezioni seguite.

Oltre al piacere di aver ritrovato una mia grande passione, c’è anche la soddisfazione di aver interrotto un circolo vizioso che di fatto mi aveva trascinato via da ciò che ero. Mi sono riscoperto curioso, con la voglia di studiare e conoscere cose nuove.

Sono diventato geloso degli stimoli che lascio entrare nel mio cervello.

E tu?

tessere domino che formano la parola FOMO. Sullo sfondo un cellulare.

FOMO e JOMO: definizioni e strategie

Qual è la differenza tra FOMO e JOMO? In questo articolo spiego cosa sono e cosa puoi fare per passare dall’una all’altra.

Vediamo se indovino:

Sei a casa. È venerdì e la giornata è stata abbastanza lunga. Decidi di ordinare una pizza. Scegli un film da guardare dopo cena mentre ti rilassi con un po’ di musica.

Arriva la pizza, la tua preferita. Ti siedi a tavola, dove ti aspetta una birra ghiacciata. Ti gusti tutto nella lentezza della sera che avanza. Ti senti coccolato nel calore della tua casa.

Getti via il cartone della pizza, finisci la birra e metti via la bottiglia. Il divano ti guarda trepidante mentre ti avvicini. Sembra porgerti il telecomando. Ti siedi.

Pling

Una notifica accende lo schermo del telefono sul tavolino di fronte a te. Clicchi sulla notifica mentre ti lasci cadere sul divano.

Boom.

I tuoi amici sono a quella festa di cui parlavano qualche settimana fa. Ci sono proprio tutti. Manchi solo tu praticamente.

Poggi il telecomando e prendi il telefono con entrambe le mani. Ora vuoi scorrere tutte le stories che vedi. “Ma pensa te, c’è anche lei! E questa poi, sono andati proprio in quel locale che mi piace tanto”. Il battito cardiaco aumenta. Ti ritrovi a seguire tutti i tags e gli hashtags che vengono usati. Ti guardi intorno e ti senti completamente fuori posto. Tutto intorno a te ti sembra stupido ed inutile. Ti senti nervoso.

Butti il telefono sul divano e provi a guardare il film che avevi scelto. Dopo pochi minuti decidi di stopparlo. Non riesci a seguirlo e non ti piace più come credevi. Vorresti fare qualcosa ma non sai cosa.

Riprendi il telefono in mano e torni sui social per vedere se ci sono nuove stories. Ne trovi un paio. Di nuovo quel senso di inadeguatezza.

Valuti per un attimo di telefonare a uno dei tuoi amici e dirgli che li vuoi raggiungere. Ci ripensi e decidi di lasciar stare. Ti dondoli su questa altalena diverse volte, prima di abbandonarla.

La notte ormai è arrivata, tu non hai fatto nulla di ciò che ti eri ripromesso e vai a letto preoccupato di essere tagliato fuori. I tuoi amici si divertono tanto senza di te. Forse non sei così importante come credevi. Forse la tua compagnia non è necessaria. La tua vita è noiosa. Ti senti inadeguato. Fuori posto. Solo.

Hai appena avuto un attacco di FOMO.

Che cos’è la FOMO

L’acronimo FOMO sta per Fear Of Missing Out. L’espressione è stata usata per la prima volta da Patrick McGinnis in un articolo per la Harvard Business Review, dove racconta l’incredibile quantità di impegni che lui e i compagni di corso si prendevano per paura di perdersi qualcosa di importante.

Questo disturbo, che rientra appieno nei disturbi legati all’ansia, è basato su due elementi: il bisogno di sentirsi parte di un gruppo e l’utilizzo sregolato dei social network.

L’uomo è un animale sociale, l’abbiamo sentito tante volte. Abbiamo bisogno di sentirci parte di un gruppo. Grazie ai social network il nostro mondo è diventato più piccolo. Il rovescio della medaglia, è che il nostro “gruppo” di riferimento è diventato molto più grande.

Essere in costante contatto con tutto e tutti porta lentamente ma inesorabilmente a perdere il contatto con la realtà, dando l’illusione di avere troppe possibilità di scelta rispetto all’effettivo tempo libero. Scegliere cosa fare diventa difficile. Stabilire come impiegare un paio di ore libere diventa stressante.

La dottoressa Donata Pratesi, psichiatra del Centro Disturbi dell’Umore spiega:

Se ci sono tante opzioni di scelta, questo può portare alla percezione che le esperienze che stanno vivendo altre persone siano migliori e più interessanti. L’individuo perde il senso della realtà e si basa sull’interpretazione dei post dei social network”

Ci ritroviamo costantemente insoddisfatti. A compensazione, tendiamo ad utilizzare i social network ancora di più. Il circolo vizioso è partito e si autoalimenta perfettamente.

Ma cosa succede precisamente nel nostro cervello, quando non riusciamo a resistere all’impulso di prendere il telefono e aprire le solite app?

grafico a torta con spiegazione del ciclo della FOMO e JOMO

FOMO e dopamina

La dopamina è un neurotrasmettitore rilasciato dal cervello responsabile, tra le altre cose, delle sensazioni di piacere e ricompensa che proviamo in determinate circostanze.

Quando facciamo questo tipo di esperienze, il cervello prende nota di tutti i fattori che le hanno rese possibili per poterle ricreare al bisogno.

Perché c’è un problema: la dopamina dà assuefazione.

I social network sono dei dispensatori di dopamine shots per eccellenza. Gli algoritmi e alcune impostazioni delle app più famose giocano proprio sull’assuefazione. Alzi la mano chi, dopo aver postato una foto, un video o una storia, non apra l’app dopo qualche minuto per controllare quanti likes ci sono già (dai non fare il figo, l’hai fatto anche tu). Bene, alcune app sono impostate per ritardare le notifiche dei primi likes, per farti tornare più spesso nella speranza che nel frattempo tu cada nel rabbit hole dell’algoritmo.

Questi shots di dopamina diventano il modo in cui guardi alla tua vita. Identifichi la validità di ciò che fai con il numero di interazioni che questo riceve. Allo stesso tempo, è un modo per tenere sotto controllo le attività del gruppo.

Secondo la dottoressa Pratesi, è proprio il tentativo di sentirsi parte del gruppo che porta ad un sovra utilizzo dei social.

Se stai pensando “Beh basterebbe diminuire l’utilizzo dei social”, devo deluderti. L’astinenza dalla dopamina inibisce la corteccia prefrontale, la parte del cervello che di solito regola i nostri impulsi. Ecco perché mettere via il telefono, cancellare l’app o l’account può dare un senso di smarrimento.

È tutto molto più complesso di quanto pensavi, vero?

Disturbi legati alla FOMO

I disturbi legati alla FOMO possono essere gravi e invalidanti. Non devono essere sottovalutati. Tra i più ricorrenti troviamo:

– Dipendenza dallo smartphone

– Controllo ossessivo delle notifiche, anche quando non ce ne sono

– Stati d’ansia

– Stati depressivi

– Difficoltà a concentrarsi

– Procrastinazione

– Tachicardia

– Insicurezza

– Percezione più bassa della qualità della vita

Un’esposizione prolungata a questi sintomi può renderli strutturali e quindi più difficili da curare.

A questo punto ti starai chiedendo “Ok, ma quindi che posso fare?”

Vediamolo insieme.

Come combattere la FOMO

Ho una buona e una cattiva notizia. Iniziamo dalla buona: è possibile curare la FOMO. La cattiva: ti servirà molta forza di volontà. Questo può essere un problema in caso di alto livello di FOMO. Come dicevo prima, l’astinenza da dopamina blocca l’attività della corteccia prefrontale, che è la parte del cervello che ci permette di prendere decisioni.

In questo caso, il consiglio è sempre di consultare un esperto.

Kieran Setiya, professore di filosofia al Massachusetts Institute of Technology propone una prospettiva tanto interessante quanto logica: per natura le possibilità a nostra disposizione sono infinite. Come negli scacchi, ogni nostra scelta genera milioni di possibili scenari. Anche se fossimo immortali, non riusciremmo comunque a viverli tutti.

“La tua biografia deve avere una certa forma per distinguersi dalle altre”

Per combattere la FOMO, dobbiamo spostare l’attenzione sulla nostra realtà. Ho dei consigli pratici per farlo:

Tieni un diario. Il journaling è un’attività dalle mille risorse, ne gioverai tantissimo. Abituarti a riflettere e verbalizzare i tuoi stati d’animo ti aiuterà a tenerli sotto controllo (leggi questo articolo per saperne di più). Inizia anche ad annotare le cose che effettivamente hai. Quante cose hai la possibilità e il privilegio di fare.

Oltre a tenere un diario, ho deciso di tenere un blog sulla mia esperienza da neopapà. Mi sono riproposto di scrivere ogni giorno su una cosa – ed una soltanto – che ci è successa. Dopo 30 giorni, il mio modo di guardare alla vita è completamente cambiato.

Medita. Non pensare ai guru buddisti, o a rituali complicati. Puoi praticare la consapevolezza del respiro e il body scan comodamente seduto sul divano, o sulla tua panchina preferita. Io amo praticarla subito dopo essermi svegliato e prima del journaling. Mi aiuta a prendere contatto con la realtà tangibile.

Fai attività all’aperto. Io mi sono appassionato al Triathlon. Dovendo allenare tre discipline, ero fuori casa 3 o 4 volte alla settimana. Gli sport di resistenza hanno molto in comune con la meditazione. In entrambi i casi puoi raggiungere un contatto con te stesso impossibile nella vita di tutti i giorni. Molto utile per riappropriarsi del proprio corpo.

Usa le app in versione browser. Non installare le app dei social. Se lo hai già fatto, cancellale. Le app sono ottimizzate per l’UX (user experience), studiate per tenerti il più possibile online. Usandole dal browser sarai meno stimolato al mindless scrolling.

Imposta un timer per l’utilizzo del telefono. l’iPhone facilita questo tipo di rimedi. Io ad esempio ho impostato un blocco di tutte le app tra le 21 e le 07 del mattino. In quella fascia oraria ho accesso solo alle funzioni base del telefono.

Allo stesso modo, puoi impostare un limite per l’utilizzo di determinate app, anche nella versione browser.

Leggi (o ascolta) libri. Ho fatto un patto con me stesso: ho installato l’app Kindle (e Kobo, l’omologo olandese). Ogni volta che sento l’impulso immotivato di andare sui social, apro l’app e leggo fino a che resisto. Quel tempo che avrei perso nel rabbit hole di Instagram o Facebook, l’ho impiegato per leggere un libro. Game changing dicono quelli fighi. Ma è proprio così. Dobbiamo imparare ad essere gelosi degli impulsi che lasciamo entrare nel nostro cervello.

Infografica 6 consigli per FOMO e JOMO

JOMO invece di FOMO

Impostare queste attività nella tua routine quotidiana, vorrà dire ripristinare la percezione della realtà.

Il telefono non sarà più il centro della tua vita sociale, ma un semplice strumento che userai se e quando vorrai. Non sarà più interessante. La tua vita ora è piena di bellezza, di virtù direbbero i saggi, e non c’è più spazio per le cose effimere.

Non c’è altro posto in cui vorresti essere. Non vorresti fare altro che ciò che stai facendo (o non facendo). Non desideri altra compagnia di quella che hai.

CONGRATULAZIONI!

Hai appena provato la JOMO, Joy Of Missing Out.

Vivere nei Paesi Bassi: l’importanza di imparare l’olandese

La prima cosa che ho voluto fare dopo essermi trasferito nei Paesi Bassi è stata imparare la l’olandese. È una questione di rispetto per il Paese che mi ospita, oltre che un arricchimento smisurato per me.

“I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo” diceva Ludwig Wittgenstein e io sono troppo curioso per rimanere dentro i miei di limiti. Esprimersi in un’altra lingua influenza profondamente il modo in cui ci si rapporta con la realtà. La grammatica stessa obbliga a descriverla in maniera diversa. La percezione cambia a seconda della lingua che si utilizza.

Non esagero quindi, quando dico che imparare l’olandese mi ha donato una nuova vita.

Un po’ come Mattia Pascal e Adriano Meis. La stessa persona che vive due vite simili eppure completamente diverse. Non potevo immaginare ricchezza maggiore.

Per imparare la lingua ho seguito un corso intensivo di 5 mesi. Tre ore al giorno per tre giorni a settimana. In più, ho chiesto a tutte le persone intorno a me, che gentilmente si sforzavano di parlarmi in inglese, di parlarmi solo in olandese.

quaderno con traduzioni di parole dall'olandese all'italianoPiù o meno nello stesso periodo ho iniziato a lavorare. I soldi della borsa di studio stavano per finire. Ho trovato lavoro nel ristorante dove lavorava anche Carolien. Il proprietario di questa splendida tenuta si rivelerà una delle figure più importanti nei miei primi anni qui.

Ho iniziato come lavapiatti. Passavo le ore lavorando nella mia bolla non capendo una sola parola di ciò che si diceva intorno a me. Se l’olandese è difficile, immagina il dialetto. Il proprietario si assicurava che tutti mi parlassero in olandese, anche se all’inizio non capivo niente.

Il primo anno è stato terribile. L’olandese ricorda in alcuni suoni il tedesco, che nel nostro immaginario collettivo non suona esattamente come una lingua amichevole. Suoni aspri e duri che in italiano non esistono. Dittonghi da imparare, regole grammaticali, verbi modali, regolari e irregolari.

Ho adottato metodi creativi per esercitarmi. Ho iniziato a comprare fumetti. Dialoghi brevi e pensati per bambini. L’ideale. Oppure le parole intrecciate. Quei puzzle di lettere in cui devi cercare una lista di parole. Avevo un dizionario di olandese per stranieri. Cercavo le parole nel puzzle, poi ne cercavo il significato sul dizionario. Riportavo tutto su un quadernino che usavo per le esercitazioni. In questo modo lavoravo sull’ortografia e il vocabolario allo stesso tempo.

Dopo il primo anno, ho iniziato ad avere sprazzi di “comprensione”. In momenti ancora random, capivo cosa veniva detto alla radio. Oppure ciò che due persone per strada si erano appena dette. Quando qualcuno mi parlava, capivo sempre meglio cosa dicessero. Rimaneva il problema del rispondere. A quel punto la maggior parte delle mie risposte era “ja” o “nee”, cioè si o no. Spesso mi buttavo, non essendo sicuro di aver capito bene cosa mi veniva detto.

Poi è successo senza che me ne accorgessi. Quelle due parole che capivo alla radio sono diventate 4, poi 6, poi 8. Ero in grado di comprendere intere conversazioni. Le mie frasi di risposta diventavano sempre più elaborate. Ho iniziato a guardare film in lingua originale con sottotitoli in olandese. Anche a casa, abbiamo iniziato a parlare sempre più olandese. Senza neanche accorgermene, era diventata la mia lingua principale.

Dopo soli 5 mesi sono stato in grado di fare l’esame per il certificato B1, superandolo al primo tentativo con ottimi risultati.

L’effetto domino era ormai partito: parlando di più la lingua ero in grado di seguire degli studi per ampliare le mie possibilità lavorative. È qui che ho deciso di iscrivermi all’ArtEZ Conservatorium di Enschede per prendermi una laurea e diventare insegnante di musica.

Grazie ai titoli maturati in Italia ho potuto seguire il corso in 2 anni anziché 4. L’unica condizione per potermi laureare era presentare il certificato di lingua olandese B2. Per ottenerlo avrei dovuto sostenere 4 esami di stato (ascolto, orale, scrittura e lettura).

Per prepararmi non ho seguito nessun corso, ho solo incrementato le modalità di utilizzo dell’olandese.  Potendo interagire nella lingua locale in ambienti ho potuto imparare tanti vocaboli. Ascoltando e ripetendo ho lavorato sulla pronuncia. Questi processi, dapprima lenti e impegnativi, sono diventati via via più veloci.

Ho capito di essere pronto per l’esame di stato quando mi sono trovato più e più volte a pensare in olandese. Durante un dialogo non avevo più il passaggio in cui pensavo ad una frase in italiano e cercavo il modo migliore per tradurla. Le frasi di cui avevo bisogno mi venivano in mente direttamente in olandese.

Ho sostenuto l’esame a Zwolle e sono riuscito a passarlo con un ottimo punteggio. Dopo qualche giorno ho ricevuto il diploma a casa.imparare l'olandese a livello B2

L’effetto domino continuava la sua corsa. Pochi mesi dopo la laurea sono stato assunto presso un liceo dove lavoro tuttora. L’integrazione nel tessuto sociale olandese è pressoché perfetta.

Conclusioni

Imparare una lingua straniera vuol dire aprire le porte di un mondo fino ad allora inaccessibile. La cosa che mi preme sottolineare, è che non si tratta solo del mondo lavorativo, ma anche (e forse soprattutto) di quello intimo e personale.

Mi ascoltavo utilizzare suoni nuovi per esprimere sentimenti, sensazioni, volontà, rabbia. Nuovi suoni e parole che hanno portato alla luce sfumature della mia personalità che sarebbero altrimenti rimaste nascoste per sempre.

La disciplina nel praticare una lingua sconosciuta e foneticamente distante dall’italiano. La creatività nel cercare modi efficaci per farlo. La tenacia di puntare un obiettivo e fare tutti i passi necessari per raggiungerlo.

Se stai considerando di trasferirti nei Paesi Bassi, ti suggerisco di leggere i miei 5 consigli per trasferirsi nei Paesi Bassi.

Lavorare nei Paesi Bassi: l’impegno premia sempre

Sono arrivato nei Paesi Bassi a 32 anni. Un mercato del lavoro totalmente nuovo ed estraneo, una lingua sconosciuta e la spada di Damocle dell’essere ormai fuori mercato.

Invece di scoraggiarmi, ho accettato la sfida.

Imparare l’olandese il più velocemente possibile mi ha aperto porte altrimenti non disponibili. Questo c’è da dirlo subito. Quello olandese è un mercato del lavoro che punta molto sulla qualità delle persone anziché sul numero. Intorno a me vedevo persone interessate alla mia esperienza di vita. La vedevano come un valore aggiunto alle mie competenze specifiche per un dato lavoro.

Sono molto grato di aver riconquistato la fiducia nella mia individualità.

Il primo lavoro che ho avuto è stato come lavapiatti nel ristorante in cui lavorava anche mia moglie Carolien durante i suoi studi.

Non avevo mai lavorato nella ristorazione, ma in un modo o nell’altro sono rimasto affascinato dalla cultura della cucina e dal tipo di lavoro che c’è dietro. Passavo le ore lavorando nella mia bolla non capendo una sola parola di ciò che si diceva intorno a me.

Avevo sentito che il proprietario era alla ricerca di un aiuto cuoco. Appena la lingua me lo ha permesso, mi sono fatto coraggio e mi sono candidato. Da quel giorno sono passato da lavapiatti ad aiuto cuoco.

Ho imparato tantissimo. Soprattutto per quanto riguarda il lavorare sotto stress e l’ottimizzazione dei processi.

Lentamente ma inesorabilmente è iniziato un processo di aggiornamento della mia vita. Me ne accorgevo quando parlavo con i miei amici italiani al telefono.

Alcune dinamiche e abitudini che prima erano anche mie, non mi appartenevano più. Ricordo una leggera sensazione di smarrimento nel realizzarlo.

Sapevo cosa non ero più, ma ancora non sapevo chi o cosa stessi diventando.

Per quanto mi piacesse, non ero di certo venuto in Olanda per abbandonare la musica e lavorare nella ristorazione. Avendo una stabilità economica, avevo la lucidità di potermi guardare intorno e fare piani per il futuro. Gli olandesi amano fare networking e premiano l’intraprendenza. Parlando con amici e famigliari, sono entrato in contatto con un insegnante di musica che mi ha invitato a passare una giornata al lavoro con lui. Avrei potuto vedere in prima persona di cosa si trattava e se veramente quel lavoro potesse fare al caso mio.

Mi reco puntuale all’appuntamento e vengo accolto in una struttura bellissima, di quelle che vediamo in televisione. Vengo subito rapito dall’atmosfera, dall’energia che viaggia in ogni classe, in ogni corridoio. La giornata passa troppo velocemente. Io ne volevo ancora.

Tornato a casa ne ho parlato con Carolien. Per diventare insegnante di musica avrei dovuto prendere un’altra laurea. Il corso era ovviamente in olandese e durava quattro anni. Due anni se in possesso di titoli musicali.

Davanti a me avevo l’ennesimo investimento di tempo, denaro ed energia.

Non sarebbe stato di certo il primo.

Ho fatto il test d’ingresso. Dopo una settimana mi hanno comunicato che ero stato accettato. C’era solo un problema: per conseguire la laurea dovevo avere un certificato di lingua olandese B2. Avrei potuto iniziare il corso, ma avrei dovuto conseguire e consegnare il certificato prima della conclusione degli studi. Avrei dovuto lavorare quattro giorni a settimana, andare a lezione gli altri tre e prepararmi per l’esame di stato.

Ok” mi sono detto, “questo è quel che c’è da fare e questo farò”. Niente fronzoli, niente scuse.

Seguire le lezioni in olandese è stato un boost per la lingua. Ancora di più svolgere tirocinio nelle scuole primarie. Mi sono trovato per la prima volta davanti a una classe di bambini che si aspettavano che io dicessi qualcosa. Questa esperienza avrebbe potuto spaventarmi, invece mi ha motivato tantissimo.

Sono sempre stato molto sincero. Quando spiegavo che ero nei Paesi Bassi da un paio di anni e che stavo imparando la lingua ricevevo sempre incoraggiamenti e aiuto. Spiegavo che fare errori era il mio unico modo per imparare. Non sono stato mai deriso.

Durante l’epidemia di Covid-19 c’era molto meno lavoro al ristorante. Ho trovato lavoro alle poste come operatore di macchina per l’organizzazione della posta in entrata. Orario di lavoro: 03:45-09:00. E si, leggi bene, le quattro meno un quarto di mattina. Per sei mesi sono andato a letto alle 20:00 per svegliarmi alle tre di notte per uscire con la bici dopo mezz’ora.

Il primo anno ho superato tutti gli esami di laurea. Ora dovevo risolvere il problema del certificato B2. Per ottenerlo avrei dovuto fare degli esami di stato. Questi esami ci sono in determinati momenti dell’anno. Quattro sezioni – orale, scrittura, lettura e ascolto – da affrontare separatamente, in giorni diversi. Il certificato arrivava al superamento di tutte le sezioni.

Il livello B2 è significativamente più alto del B1. Mi iscrivo alla prima sessione disponibile e continuo ad esercitarmi con i miei modi creativi.

Sono riuscito a superare tutti gli esami al primo colpo, con un ottimo punteggio. Ero felicissimo. Ora potevo procedere a laurearmi.

Per la tesi ho progettato un’app di realtà aumentata per facilitare l’apprendimento del pianoforte. L’idea mi è venuta dopo aver seguito un corso di applicazione della tecnologia nell’educazione musicale.

Nel frattempo ho trovato lavoro in una piccola scuola di musica ad Arnhem. Qui ho potuto sperimentare tutto quanto imparato nei due anni precedenti. Ho iniziato a lavorare di meno al ristorante (dove il lavoro era di nuovo aumentato).

Ad ottobre del 2021 vedo un annuncio di lavoro nel liceo in cui avevo svolto tirocinio pochi mesi prima, in piena pandemia. Cercano un insegnante di Educazione Artistica e Culturale. Una materia bellissima in cui gli studenti fanno conoscenza con tutte le forme d’arte e cultura.

Decido di candidarmi e scrivo una lettera di motivazione che allego al curriculum. Qualche giorno dopo vengo invitato per un colloquio.

Due settimane dopo ricevo una telefonata mentre ero al lavoro al ristorante. “Sono felice di comunicarti che sei stato assunto”, mi dice la team leader “puoi iniziare tra due settimane?”cartellino di lavoro nei Paesi Bassi

Rientro nel ristorante con il cuore in gola. Entro in cucina e glielo dico al proprietario.

«Congratulazioni di cuore» mi dice, «quando dovresti iniziare?»

«Tra due settimane, ma non potrei visto che dovrei darti un preavviso di un mese per licenziarmi»

«Hai lavorato duramente per arrivare a questo risultato. Non sarò di certo io a crearti problemi. Puoi iniziare tranquillamente tra due settimane col nuovo lavoro. Noi qui ce la caveremo.»

Ricordo ancora le lacrime di gratitudine al sentire queste parole.

Ho iniziato 3 anni fa come insegnante di CKV (nome della materia in olandese). Quest’anno ho firmato un contratto a tempo indeterminato come insegnante di musica in un’altra sede della stessa scuola.

Sempre 3 anni fa ho aperto la mia scuola di batteria MoreDrums a Deventer, dove viviamo.

Ad oggi ho una settimana lavorativa di 26 ore e una stabilità finanziaria che mi permette di guardare al futuro con una certa tranquillità, godendo a dovere del tempo con mia moglie e mio figlio.

La costanza e l’impegno pagano sempre. Il resto sono solo scuse.

5 consigli per trasferirsi nei Paesi Bassi

5 consigli per trasferirsi nei Paesi Bassi

Riflettendo sulla mia esperienza, ho deciso di raccogliere 5 consigli per trasferirsi nei Paesi Bassi. Per avere il giusto contesto, ti consiglio di leggere anche gli altri articoli, troverai i link nel testo e in fondo alla pagina.


Trasferirsi in un altro paese vuol dire entrare in un’altra realtà. Altre usanze, altre abitudini, altre regole. Altri modi di guardare alla vita e alle relazioni. Un’altra lingua.

Sembra una frase fatta, ma molti expats sembrano ignorarla.

Sono abbastanza maturo da non essere esterofilo. Non credere a chi dice che fuori dall’Italia sia tutto migliore e perfetto. Sono la rabbia e l’insoddisfazione che parlano.

Confrontare due culture ha una contraddizione in termini che non mi ha mai ingannato. Sono appunto due culture diverse formate da secoli di dinamiche diverse e quindi non confrontabili. Bisogna conoscerle e riconoscerle per capire se fanno o meno al caso nostro ed eventualmente scegliere quella che fa più al caso nostro.

Ma questo richiede coraggio e forza. Lamentarsi è sicuramente più facile.

Ho raccolto qui 5 consigli che spero potranno esserti utili nella tua esperienza:

infografica con 5 consigli per trasferirsi nei Paesi Bassi

  1. Impara il prima possibile la lingua. Imparare l’olandese mi ha dato sbloccato possibilità chiuse a molti altri expats che conosco. In più è una questione di rispetto verso la società che ti ospita.
  2. Non cercare altri connazionali. Finiresti per continuare a cercare l’Italia nei Paesi Bassi, auto-ghettizzandoti. Uno spreco di energie e soprattutto di possibilità. Avresti ancora meno spunti per praticare la lingua e meno contatti “autoctoni”.
  3. Costruisci un network. Per gli olandesi il network è molto importante. Raramente ho visto gente così entusiasta di mettere in contatto persone con gli stessi interessi. La mia scuola di batteria è nata dopo aver conosciuto un insegnante tramite una percussionista con la quale suonavo.
  4. Regola il prima possibile l’iscrizione al comune di residenza e l’assicurazione sanitaria. Avvia il prima possibile le pratiche per richiedere il codice fiscale (BSN) e il DigiD (simile allo Spin). Questo ti darà la tranquillità necessaria per preparare l’ingresso nel mondo del lavoro. Se deciderai di rimanere a lungo, considera l’iscrizione all’AIRE.
  5. Trasferisciti per un periodo “di prova”. Io l’ho fatto tramite l’Erasmus, ma ci sono anche altri modi ovviamente. Tutto sembra più bello quando lo guardiamo dall’esterno. Prenditi un periodo di tempo per fare l’esperienza in prima persona. Un paio di mesi dovrebbero bastare per capire se questo Paese faccia al caso tuo o meno.
descrizione dei membri della famiglia

La nascita di mio nipote

La nascita di un nipote, specialmente del primo, è quanto di più vicino ci possa essere alla nascita di un figlio. Il 2023 si è concluso nel migliore dei modi, con l’arrivo di mio nipote Raffaele.

La mia passione riportare i fatti per come sono accaduti ha in realtà radici lontane nel tempo. Quando mia sorella Giada è venuta al mondo avevo 8 anni. Ho preso un foglio a righe e una penna ed ho scritto la “Cronaca di Giada”. In 4 pagine ho descritto tutto quanto successo il 20 maggio del 1993.

Scrivere è il mio modo di lasciare il segno, di dire “Io c’ero e questo è quello che ho visto”. Sapere che qualcuno gioverà delle mie parole, del leggere le mie esperienze, sembra dare una direzione alla mia vita. Passiamo tanto tempo a distrarci, ad illuderci che la felicità arriverà quando avremo raggiunto un determinato status, o comprato una certa cosa. La cosa che sto pian piano comprendendo nel profondo, è che la Vita vera si annida proprio in quei momenti di distrazione.

E allora io li scrivo. Io scrivo tutto. Scrivo delle esperienze più belle (come la nascita di mio figlio) tanto quanto di quelle più brutte (come la perdita di nostra madre).

Questo è il racconto della nascita di mio nipote:

Cronaca di Raffaele

La cronaca di Raffaele inizia sabato 30 dicembre alle 17:25.

Io e nonno Pietro siamo appena arrivati alla parrocchia di Santa Siforosa a Tivoli Terme per un concerto della corale Santa Caecilia. Nonno canta tra i tenori ed io posso partecipare come percussionista su alcuni brani.

Appena arrivati squilla il telefono di nonno:

«Papà sono Giada, mi si sono appena rotte le acque!»

Appena tuo nonno me l’ha detto, ho iniziato a girare da una parte all’altra incredulo, felice e profondamente grato per questo miracolo a cui potevamo assistere.

Ho chiamato tua madre per sentirla. Mi ha rassicurato e spiegato che si stava preparando per andare all’ospedale.

Il concerto è iniziato ed è andato benissimo. È stato difficile rimanere concentrati pensando a voi. Subito appena finito ho telefonato a tuo padre per avere notizie. La situazione era relativamente stabile, volevi ancora prenderti del tempo prima di arrivare. Non era ancora il caso di venire all’ospedale.

Siamo tornati a casa ed io ho dovuto mettere via il telefono per evitare di scrivere o telefonare ogni cinque minuti.

La notte è passata velocemente, almeno per noi. Al mattino ho afferrato subito il telefono per vedere se ci fossero novità. Non avevi ancora fretta di arrivare tra noi. Abbiamo telefonato a papà per capire cosa fare. La cosa migliore sarebbe stata partire appena saresti arrivato.

La mattinata è passata lentamente. Tuo cugino Alexander ci ha intrattenuto con i suoi gridolini. Gli abbiamo detto che stavi arrivando, ma secondo me lui lo sapeva già.

Ora sono le 12:40 del 31 dicembre 2023. Alle 12:36 papà ci ha mandato un messaggio dicendoci che tutto era pronto per il tuo arrivo.

Io sono inondato da tantissime emozioni. Spesso non riesco a verbalizzarle e quindi mi commuovo. Mi perdo ad immaginare il tuo visetto. L’energia che si respirerà nella stanza dove stai per arrivare. Penso a tua madre. Il cuore mi si stringe nell’Amore che provo per lei dal primo momento che l’ho vista. Lotto contro l’inutile bisogno di voler fare qualcosa per lei. Il pensiero si allarga e penso al mondo in cui stai per arrivare. A tutte le persone che incontrerai. Alle persone che non incontrerai in questa realtà, ma che magari hai già incontrato dove sei ora e che sentirai presenti ogni singolo momento della tua vita. Sogno il momento in cui potrò stringerti tra le mie braccia e guardare tua madre e tuo padre pieno di orgoglio e gratitudine.

Dopo pranzo mi sono messo a letto preda del mal di testa. Alle 15:01 ho scritto un messaggio per chiedere aggiornamenti. In quel momento è successa la magia, Raffaele. Io ti racconto i fatti. A te spetterà interpretarli:

Una sensazione strana si è impossessata di me lenta ma inesorabile. Il mio cuore ha iniziato a battere più velocemente mentre immagini di tua madre e di te mi inondavano la mente. Ero sicuro che stessi arrivando, come se fossi li con mamma e papà. Non so né come né perché, ma io lo sentivo. Sapevo che stavi arrivando.

Non riuscivo più a stare sdraiato. Il cuore era arrivato a più di 100 battiti al minuto. Sono andato di là dove c’erano anche zio Giancarlo e zia Tiziana. L’ho guardata e le ho detto “Io mi sento che sta succedendo ora”. Erano le 15:15.

Una notifica attiva lo schermo del telefono. Lo afferro senza pensarci troppo. Erano le 15:18. Tuo papà ci ha mandato il video in cui ti abbiamo visto e sentito per la prima volta. Un minuto prima, alle 15:17 eri venuto alla luce. Eri tra noi!

Ho gridato “È nato! È nato!”

Tutti si sono avvicinati per vedere il video. Ci siamo commossi tantissimo. Nonno Pietro piangeva di felicità. L’ultima volta che gli ho visto questa espressione è stato quando è nata tua madre. “Papà non sapeva se ridere o piangere” ho scritto nella Cronaca di Giada. Allora avevo 8 anni e non capivo come ciò fosse possibile. Oggi, tenendo in mano il telefono e accarezzando tuo nonno che piange mentre il mio petto vuole esplodere di felicità e la vista è annebbiata dalle lacrime, capisco. Non chiedermi di descriverlo. È una magia che ti auguro con tutto il cuore di provare a tempo debito.

Ci siamo preparati velocemente e nel giro di dieci minuti sedevamo in macchina. Zio Giancarlo e zia Tiziana erano già pronti e sono partiti prima di noi.

Alle 16:58 abbiamo incontrato papà che ci ha accompagnato dentro. Alle 17:03 ti abbiamo visto per la prima volta. L’infermiera e papà ti stavano accompagnando in reparto. Che emozione profonda, Raffaele. Vederti per la prima volta dopo averti sognato così a lungo.

Poco dopo abbiamo potuto vedere tua madre. Appena sono entrato mi sono seduto vicino a lei e le ho preso la mano. Davanti a me avevo una donna che aveva appena compiuto il miracolo della vita. Le ho chiesto come stava mentre sentivo tante emozioni diverse crescere dentro di me. Tutte le parole che avrei voluto dirle sono annegate nelle lacrime che non riuscivo più a trattenere.

«Perché piangi amore» mi ha detto tua madre «c’è da essere felici oggi».

Ed io infatti lo ero, tanto da non riuscire a trovare le parole. Ero felice di averti conosciuto, felice che mamma stesse bene. Mentre tenevo la mano di tua madre e la baciavo, ho rivisto tutta la nostra vita insieme. 30 anni di vita. L’ho rivista dietro il vetro del nido dell’ospedale. L’ho rivista nella carrozzina poggiata sulla poltrona di nonno e nonna quando è arrivata a casa per la prima volta. Ho ricordato il suo profumo quando l’ho presa in braccio per la prima volta. Ho rivisto i suoi capelli nerissimi e ricci crescere. Le sue scarpette nere di vernice. Il bauletto del primo giorno di asilo. Il grembiule delle elementari. L’Amore incondizionato che ho da subito provato per lei. Lo stesso amore che ti prometto con queste parole.

Tantissimi ricordi si sono accavallati. Tanta vita mi è passata davanti agli occhi e dentro il cuore. Non sarei mai riuscito a dirglielo.

«Che cosa hai sentito quando te l’hanno poggiato sul petto?» le ho chiesto.

«Una sensazione di pienezza, di vita, di amore. Sono rimasta spiazzata, l’ho guardato e volevo quasi  chiedergli “ma sei tu?”. Poi dopo un po’ ha aperto gli occhi e mi ha guardato anche lui. Quella è una sensazione troppo bella.» mi ha detto mamma. «Avevo paura del dolore, ma quando te lo rimettono tra le braccia ti risenti completa».

Mi sono ripreso e sono uscito per far entrare zia Carolien. Sono andato da tuo papà per parlargli. Era seduto in sala d’attesa con tua sorella Rebecca in braccio.

«Qual è stata la cosa che ti è rimasta più impressa?» gli chiedo.

«Eravamo tranquilli, il personale ha sempre mantenuto la calma e l’ha trasmessa a Giada. Alla fine è andato tutto bene e quello è l’importante.»

«Qual è stata il primo pensiero che ti è venuto in mente quando l’hai visto per la prima volta?»

«Che era bellissimo.» mi ha risposto con gli occhi della felicità.

nonno, fratello e sorella con il nipotino appena natoAlle 17:55 le infermiere hanno portato mamma in reparto. In corsia a fare il tifo c’era anche tuo cugino Alexander, in braccio a nonno Pietro.

L’abbiamo raggiunta pochi minuti dopo e siamo entrati in stanza a turno. Tua madre mi guarda e mi fa:

«Io ho fame. Voglio mangiare. Apri quella busta, c’è un panino al prosciutto»

Eseguo.

Il panino è durato pochi morsi, ridando colore alle guance di mamma.

Alle 19:07 ti hanno portato in stanza da noi e ti abbiamo rivisto. Quando hai iniziato a piangere mamma ti ha preso in braccio. L’ho vista per la prima volta insieme a te e quell’immagine non la dimenticherò mai. Ho provato a fissare tutto in una foto, ma non si può.    

Dopo un po’ nonno ha dato il cambio a zia Carolien che è venuta ad ammirarti.

Poco dopo ci siamo decisi ad andare via. Con zio Giancarlo e zia Tiziana abbiamo stabilito un menù d’emergenza per la fine dell’anno e ci siamo dati appuntamento a casa di nonno Pietro e nonna Giovanna. Sarebbe stato un capodanno speciale, vissuto con la consapevolezza di aver ricevuto il dono più bello che potevamo aspettarci. Non posso pensare ad un augurio migliore, ad un inno alla vita più profondo e autentico di una nuova vita che arriva a benedire le nostre.

Il pomeriggio del 1 gennaio siamo tornati a trovarti. Io, zia Carolien, Alexander e Truus saremmo ripartiti il giorno dopo. Ho provato a spostare il volo, ma non ce n’erano di disponibili prima che zia dovesse tornare a lavorare.

Alle 16:21 ci siamo fatti la prima foto insieme: io, te, Carolien e mamma.

Alle16:38 del 1 gennaio 2024 ti ho preso in braccio per la prima volta. Ti avevo tra le mani così piccolo eppure così potente nella maestosità del miracolo che rappresenti.

Ti ho augurato ogni bene possibile. Che tu possa avere tutta la serenità di cui hai bisogno. Ti ho dato il benvenuto tra noi, con la promessa che nonostante le distanze, ci sarei sempre stato per te. Non vedo l’ora di farti conoscere cose nuove, andare insieme a  tuo cugino Alexander alla ricerca della bellezza. Imparare a trovarla in ogni giorno che passa.

In questi giorni di passaggio e di cambiamento mi trovo spesso a chiedermi quale sia la mia missione. Mi chiedo se ne abbia effettivamente una. A volte intravedo la risposta, altre no. Quello che voglio trasmetterti con questo scritto è la memoria. Quando sarai grande, quando ti sentirai smarrito o indeciso, mi auguro che queste parole e quanto descritto qui ti aiutino a ritrovarti. Sono convinto che queste parole ti giungeranno nuove ogni volta che le leggerai in una fase diversa della tua vita.

Contengono molto di più dei fatti che sono successi quando sei venuto al mondo. Starà a te trovarli tra le parole.

Ti lascio la possibilità di interpretarle come vorrai e quando vorrai, attingendo alla tua fantasia ma soprattutto al tuo cuore, che tutti insieme riempiremo ogni giorno di Amore.

Sei proprio un caro nipotino, eh! 😉

Con amore,

Zio Moreno