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Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Sport e lentezza

La lampada col fusto in legno fa da sentinella in mezzo a due finestre. Le veneziane bianche sono tirate giù. Il sole si rilassa nel fresco della sera, un altro turno è quasi giunto al termine. Il parquet chiaro si sposa benissimo con il bianco delle pareti. Insieme offrono un piacevole contrasto all’unica parete tinta di verde pastello. Le mensole marrone scuro sorreggono ricordi della nostra vita fino ad ora. Dal divano quattro cuscini ci guardano camminare lentamente avanti e indietro.

Indossi una tutina verde scuro. Hai appena mangiato e mi guardi con degli occhi così grandi che potrei annegarci dentro. Negli ultimi giorni ricerchi molto di più il contatto fisico. Hai bisogno di sentirti avvolto da noi. È una fase che si passa intorno alle 8 settimane.

E io ti avvolgo tra le mie braccia. È una sensazione così bella.

Oggi è stata una giornata all’insegna dello sport. Stamattina, dopo averti dato il biberon, sono uscito con la bici da corsa. Erano troppe settimane che non lo facevo. Ho sottovalutato l’overtraining e sono dovuto stare fermo più di quanto avrei voluto. Ho fatto un bel giro. Sono arrivato al Castello Cannenburch in  Vaassen, nella provincia di Gelderland. La temperatura era perfetta e non c’era quasi nessuno in giro. Sono rientrato dopo 56 chilometri con una voglia matta di riuscire di nuovo. Mi mancava sentirmi così. Non vedo l’ora che tu cresca per andare in bici insieme.

Dopo pranzo tua madre ha inforcato i pattini in linea. È tornata dopo 12.5 chilometri. Al suo ritorno tu dormivi. Lei è andata a farsi una doccia veloce mentre io ho portato fuori Truus.

Verso le 18 ho acceso il barbecue. Con l’audiolibro di Wuthering Heights nelle orecchie ho tagliato con cura melanzane e zucchine e preparato la carne. La cena è stata deliziosa.

A piedi scalzi calibro ogni singolo passo con accuratezza.  Tu mi guardi e ogni tanto mi lanci dei sorrisi da dietro il ciuccio. Pochi passi più in là, tua madre si rilassa in giardino con una bella canzone ed un libro. Faccio dei respiri profondi, come se volessi trattenere dentro di me l’immensa sensazione di contentezza che la lentezza di questi momenti porta con sé.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Churros e cambio pannolini

La giornata di ieri è stata tanto bella quanto stancante, per tutti e tre. La nottata non ci ha aiutato a recuperare. Stamattina sia io che Carolien eravamo ancora stanchi.

Intorno alle 8 settimane il neonato passa (o si prepara a passare) ad una nuova fase. Inizia a scoprire e utilizzare patterns che riguardano sensazioni o movimenti che può fare. Le mani non sono più delle cose che a volte passano come meteore nel proprio campo visivo. Rispondono a dei comandi. Possono afferrare cose. Con la voce si possono produrre diversi suoni. Il viso può produrre diverse espressioni. Il labbro inferiore può diventare un arma di convinzione di massa, se piegato nella giusta maniera.

Il neonato riconosce la mamma e il papà e inizia a preferirli alle altre persone che non vede tutto il giorno. Il periodo di tempo in braccio a qualcun altro si riduce considerevolmente. In questa fase è normale che pianga di più.

Il problema è che questo arriva dopo 8 settimane di sistematica privazione del sonno dei genitori. Posso assicurarti che non è una passeggiata.

Non riuscendo a dormire bene, la stanchezza si accumula e la resistenza a stimoli esterni diminuisce. Ho letto di genitori che scoppiano a piangere insieme ai bambini. Non siamo arrivati fino a questo punto, ma comprendo molto bene quella sensazione di impotenza.

Ho già scritto della privazione del sonno e dell’importanza della comunicazione con il partner. Bene, in questa fase rimanere in contatto è ancora più importante.

Io e Carolien ci facciamo forza a vicenda. Interveniamo subito quando l’altro è in difficoltà. Rinunciamo a piccole libertà in cambio della gioia infinita che ci da un sorriso inaspettato, o un visetto rilassato che riposa tranquillamente.

Stiamo prendendo altre abitudini, una delle quali è abbastanza singolare: abbiamo un set con cuscino, pannolini e salviette umidificate nel salone di sotto, per non dover andare di sopra quando c’è bisogno di cambiare Alexander. Il nostro piano di lavoro è il tavolo, con beneplacito delle nostre schiene.

Per qualche ragione che non sappiamo spiegare, Alexander ama quel posto. È l’unica volta in cui lo metti giù e non piange o si calma se sta piangendo.

Negli ultimi giorni lo lasciamo sempre più spesso sul cuscino, in mezzo al tavolo, anche dopo averlo cambiato.

Stasera abbiamo mangiato dei churros seduti al tavolo, con Alexander sdraiato nel mezzo.

Guardavo lui muoversi alla scoperta di quelle cose buffe attaccate alle braccia, mentre inscenava un monologo con la lampada attaccata al soffitto.

Poi spostavo lo sguardo su mia moglie. I nostri sguardi stanchi annullati da quella manifestazione d’amore che avevamo davanti a noi, sul tavolo della cucina.

Domenica sera, ore 20:35.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

La prima volta a casa da soli

Oggi siamo stati per la prima volta a casa da soli. Carolien è andata con una sua cara amica al Volkspark Festival ad Enschede. È partita subito dopo pranzo. Tornerà a casa stanotte tardi.

Non rinunciare alla vita “normale” è una delle promesse che io e Carolien ci siamo fatti. Non vogliamo assolutamente diventare una di quelle coppie che disdice tutti gli appuntamenti o rifiuta di fare cose che prima della gravidanza avrebbe fatto con piacere.

L’idea del genitore che sta a casa, fa da mangiare, fa il bucato e va a letto alle 21 è anacronistica, oltre che fallata. I genitori continuano ad avere una propria vita anche dopo l’arrivo di un figlio. Questo è un dato di fatto che va accettato senza dubbio alcuno.

Inizio dalla fine: è stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.

La vita con un neonato di quasi otto settimane è costruita su blocchi di tre ore. In teoria, questo è l’intervallo di tempo in cui dovrebbe prendere il biberon. In pratica ci sono così tante variabili, che le tre ore rimangono un’indicazione.

Oggi è stata una giornata molto calda qui nei Paesi Bassi, con picchi di 34 gradi. In questi casi (era già successo due settimane fa), Alexander chiede il biberon ben prima delle 3 ore. Facciamo due conti: inizia a bere alle 14. Impiega almeno 30 minuti, spesso 45, per finire 120ml. A volte ha bisogno di ulteriori 30ml. Una volta finito bisogna far uscire l’aria in eccesso. Dopodiché provare ad addormentarsi. Sono le 15:30 quando lo metti giù. Alle 16 si ricomincia. Hai avuto 30 minuti per lavare il biberon, preparare le cose per la prossima poppata, eventualmente andare in bagno e sistemare qualcosa in casa.

Senza quasi accorgertene ti ritrovi seduto col biberon in mano. “Ma come è possibile che succeda tutto così velocemente?” Mi sono posto molte volte questa domanda, irritandomi non poco. Credevo che il tempo volasse solo di notte.

Mi ero riproposto di finire delle ricerche per un articolo che sto preparando e di scrivere questo blog prima delle 23. Non sono riuscito a fare nessuna delle due cose e questo mi stava mettendo di cattivo umore. Avevo la fastidiosa sensazione di dover rincorrere il tempo. Il caldo serviva solo a peggiorare le cose.

Di colpo mi sono ricordato di un pensiero che ho avuto qualche giorno fa. In questa fase della nostra vita, il paradigma è rovesciato. È completamente basato sui bisogni di nostro figlio. Aspettarsi di poter controllare i suoi bisogni è quanto di più sbagliato si possa fare. Per noi ma soprattutto per lui.

Allora ho mollato la presa. Ho messo da parte il Mac, messo via l’iPad. Non disturbare sul telefono. Ho acceso la tv e guardato un bel documentario con Alexander in braccio. Mentre passeggiavo per farlo addormentare, abbiamo ascoltato l’audiolibro di  Wuthering Heights. Abbiamo chiacchierato tanto tra un cambio di pannolino e l’altro. Ci siamo fatti più volte il giro della casa. Verso le 20 l’ho messo nel marsupio e siamo usciti insieme con Truus. Una bella camminata senza AirPods, in completo contatto con l’ambiente circostante, col momento presente.

È stato come cambiare frequenza alla radio. Di colpo tutto mi sembrava ovvio, logico. Ho iniziato veramente ad ascoltare mio figlio e fare del mio meglio per dargli ciò di cui aveva bisogno in quell’esatto momento. I suoi pianti, che prima mi sembravano immotivati e irritanti visto che avevo fatto tutto secondo le regole, ora mi risultavano comprensibilissimi.

Niente più orologi da guardare. Ma tempo da condividere.

Carolien mi ha mandato dei messaggi e delle foto. Si sta divertendo. Io mi sento felicissimo nel vederla felice. Non vedo l’ora che torni a casa per riabbracciarla e farmi raccontare come è stato il festival.

È stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.

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Disturbo della quiete pubblica

Tra le sfide più difficili rientra sicuramente l’accettare che il pianto del neonato, per quanto disperato possa essere, sia il suo modo di comunicare e non un suo vezzo per farci un dispetto.

Parlando con mia moglie ci siamo accorti che entrambi ci sentiamo quasi ‘responsabili’ se Alexander piange in presenza di ospiti. Lei l’ha notato ieri, quando si è fermata in un locale all’aperto per far mangiare Alexander. Sapendo che avremmo passato l’orario della poppata mentre eravamo fuori, ci siamo portati tutto l’occorrente. Io ero già andato al lavoro, Carolien era quindi sola con Alexander. Quando lui ha fame, sa essere molto teatrale e soprattutto molto convincente.

Parlando stasera Carolien mi ha detto di essersi sentita in colpa perché il pianto stava disturbando (secondo lei) gli ospiti del locale. Stessa dinamica oggi, ma a casa e con un’ospite venuta a trovarci.

È chiaro che bisogna fare delle distinzioni. Ci sono genitori che lasciano i bambini a loro stessi, rendendoli obiettivamente un fastidio per gli ospiti. Ce ne sono altri che invece fanno del loro meglio per dargli le attenzioni che tramite il pianto stanno richiedendo. Spesso non si fa in tempo ad anticipare la tempesta, possiamo solo giocare di rimessa.

È come negli scacchi: a meno che non risponda con la difesa siciliana (pedone c5)  o la Alechin (cavallo f6), il nero dovrà sempre reagire alla mossa del bianco.

Col passare del tempo io e Carolien stiamo imparando ad anticipare gli eventi e fare in modo da avere tutto pronto quando arriva il momento del biberon. Proviamo a fare noi la prima mossa.

Se siamo a casa, prepariamo 60ml di acqua in una tazza e la mettiamo nel microonde. Nel frigo abbiamo flaconcini con 30ml di latte materno. Il biberon e il barattolo di latte liofilizzato sono pronti in cucina. E siccome i dettagli sono importanti, lasciamo sempre un cucchiaino pronto accanto al biberon, per mescolare il latte in polvere che uniremo all’acqua scaldata al microonde.

Tutto per minimizzare al massimo il tempo di pianto di Alexander.   

Nei primi sei mesi di vita è impossibile viziare il neonato. Pensare quindi che lui o lei pianga perché vuole stare in braccio perché gli gira così è quindi inaccurato, oltre che sbagliato.

Tutti i bambini piangono, in media 3 ore al giorno. Il fatto è che il pianto scatena l’istinto umano di aiutare il neonato. Non riusciamo a rilassarci fino a che questo non si calma.

È per questo che il pianto del proprio figlio sembra durare tantissimo. La paranoia di dare fastidio alle altre persone, non ha quindi motivo di esistere. Dovremo imparare ad accettarla e conviverci. Ci ripetiamo che il pianto è la sua unica forma di comunicazione per ora e che in quanto tale deve essere trattata più oggettivamente possibile, così da capire di cosa abbia effettivamente bisogno.

Se poi qualcuno dovesse irritarsi per il pianto…

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Contatto e nuovi suoni

Alexander sta ampliando il suo vocabolario con nuovi suoni. Lo sento sperimentare nel suo box, per poi esibirsi durante il cambio del pannolino. Negli ultimi giorni ci cerca molto di più. Inizia a seguirci anche con lo sguardo. Se ci avviciniamo al box, ci guarda prima che entriamo nel suo campo visivo.

Noi incoraggiamo il più possibile questi dialoghi, copiando ciò che fa lui e producendo suoni che somigliano a quelli che lui ha appena fatto. Il contatto visivo deve essere continuo. Distogliere lo sguardo toglie quel tono di dialogo che deve essere il più chiaro possibile per lui. Deve poter sentire che in quel momento c’è un interazione.

I suoi occhi diventano ancora più grandi e un sorriso si impossessa delle labbra. Le braccia e le gambe si muovono spasmodicamente, come se dovesse scaricare a terra l’energia che lo attraversa in quel momento. Ci sciogliamo nel vederlo scoprire nuovi suoni e nuove possibilità. Stupirsi delle sensazioni portate da un suono emesso in una certa maniera.

Ma soprattutto l’eccitazione. L’istinto di instaurare un contatto. Una comunicazione.

Il contatto verbale non è l’unica forma di contatto che ricerca. Negli ultimi giorni ha sempre più bisogno di contatto fisico, soprattutto quando sta per addormentarsi. Questo vuol dire che dopo la poppata, bisogna farlo addormentare in braccio e solo dopo che la respirazione si è stabilizzata, poggiarlo cautamente nel box o nel lettino.

Tip: quando lo poggi nel lettino, lascia per qualche minuto le mani sul suo petto o sui suoi fianchi. In questo modo avrà ancora la sensazione di essere in uno spazio ben definito. I neonati si svegliano quando vengono messi a letto perché non riconoscono più lo spazio in cui si trovano.

Non bisogna essere ipocriti: a volte può essere stancante. Ma è cruciale non cedere al nervosismo da stanchezza. I primi due anni sono fondamentali per la formazione dell’inconscio. A parte questo, sarebbe egoista non tenere conto di bisogni oggettivi del bambino.

Anche qui la comunicazione con il tuo partner è fondamentale. Se hai la sensazione di non farcela o di cedere, parlane apertamente. Non è affatto una vergogna né tantomeno deve essere un tabù. È ora di liberarsi di queste zavorre inutili.

Non credere a chi dice che essere genitori sia solo bello e facile. Mentono. Oppure, ancora peggio, stanno saltando delle fasi dello sviluppo del loro bambino.

Noi genitori cresciamo con i nostri figli. Dovremmo essere maturi abbastanza per essere onesti con noi stessi e – ancora più importante – con i nostri figli.

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Tempesta Poly e fame

Oggi nei Paesi Bassi è arrivata la tempesta Poly. Il codice giallo precedentemente dichiarato è stato aggiornato a rosso. I danni maggiori sono stati registrati ad ovest del paese. Ad Harlem una signora di 51 anni è deceduta colpita da un albero mentre era in macchina. Le raffiche di vento sono arrivate a 146km/h. Come essere investiti da una macchina sull’autostrada.

Qui a Deventer non ci sono danni ingenti. Il vento ha rifatto l’acconciatura agli alberi, staccando pezzi di rami o rami interi. La pioggia ha contribuito a rinfrescare l’aria.

Noi tutto questo lo abbiamo vissuto nel lettone, tutti e tre insieme. Un’esperienza sublime. Trovarmi con l’essenza della mia vita sotto il tetto spiovente della nostra casa, con la tempesta che imperversa fuori. Gli scenari di Wuthering Heights sono di colpo molto più vicini.

Oggi Alexander sembra avere più fame del solito. Per la prima volta ha bevuto 180ml di latte in una seduta. Di solito si ferma a 120ml, altre volte a 90ml. Credevamo fosse una tantum. Nella poppata successiva è arrivato a 150ml. Stasera alle 21:30 lo stesso.

La formula per calcolare la quantità di ml giornalieri è 150 x peso del bambino. Dall’app che usiamo per registrare poppate e pannolini abbiamo visto che oggi ha bevuto in totale 800ml di latte. Quantità che dovrebbe bere pesando 5 chili.

Negli ultimi giorni siamo passati dal calcolare le 3 ore tra un pasto e l’altro all’alimentazione ‘a richiesta’. Teniamo sempre in considerazione le 3 ore, ma aspettiamo che si faccia sentire lui. Oggi ad esempio, è tornato dopo 4 ore. La notte dorme in media 4 ore e mezza tra una poppata e l’altra. Buon per noi che possiamo recuperare qualche ora di sonno.

Dopo la tempesta è uscito il sole, come nei migliori racconti romantici. Ho messo Alexander nel marsupio e siamo usciti con Carolien e Truus. Una bellissima passeggiata nel fresco dopo la pioggia. Difficile immaginare la pioggia e vento del mattino.

Eppure è così: tutto passa. Anche le cose più rumorose e spaventevoli. Arrivano e spazzano via tutto ciò che abbiamo sistemato con amore e dedizione. Ci fanno sentire piccoli. Soli.

Ma poi passano.

E arriva il sole.

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Wuthering Heights e Doom Thinking

Perdiamo così tanto tempo ed energia nel ricercare qualcosa che speriamo assomigliare alla felicità. Un vero peccato. Non parlo del fuoco della passione, quello che ci porta ad esplorare sensazioni, sentimenti e realtà nuove.

Parlo della distrazione con cui guardiamo alla nostra vita. A quanti dettagli ci lasciamo sfuggire.

Odio scrivere queste parole. Le odio già quando le penso, prima di scriverle. Suonano come un cliché trito e ritrito. Però signori, qui c’è da togliersi per un attimo il monocolo e il cilindro e guardare la realtà per quello che è. I cliché sono tali per un motivo.

Oggi pomeriggio, per l’ennesima volta, mi sono sentito profondamente contento.

Io e Alexander abbiamo ballato su Wuthering Heights. Il salone era la nostra sala da ballo.

Wuthering Heights è un brano di Kate Bush, pubblicato nel 1978 e ispirato al romanzo Cime Tempestose. Il ritornello mi ha sempre affascinato, con la sua costruzione 4/4+4/4+2/4+4/4+4/4+2/4+4/4. Suggestionato dal romanzo, mi fa pensare alle brughiere inglesi spazzate dal vento. A un maniero che resiste solenne.

La giornata non è iniziata nei migliore dei modi. Alle 5:30 Carolien stava accudendo Alexander. Io mi sono svegliato con un mal di testa molto fastidioso. Partiva dal collo e prendeva tutto l’emisfero destro. Ho preso due compresse di paracetamolo e sono ricaduto in un sonno agitato.

Verso le 11 una vicina di casa è venuta a farci visita. Una donna molto sensibile. Posso dirlo anche senza conoscerla bene. Ha contratto una forma pesante di Covid e soffre tutt’ora gli strascichi del Long covid. Ha avuto seri problemi con il lavoro. La sua vita si è ridimensionata considerevolmente.

La ascoltavo parlare del più e del meno e non ho potuto fare a meno di notare una nota di pessimismo in tutte le vicende che raccontava. Riusciva a trovarne anche in quelle che presentavano scenari positivi.

Purtroppo è una dinamica che riconosco. Se il doom thinking fosse una disciplina olimpica, mi qualificherei ad occhi chiusi.

Il doom thinking è un errore di produzione del tronco encefalico, la parte più “antica” del nostro cervello. Questa è completamente volta alla sopravvivenza. Per fare ciò, è in costante ricerca di probabili pericoli.

Questo sistema è stato creato e settato sulle condizioni di vita di migliaia di anni fa. Vivi in una grotta, il raccolto è a rischio e un tuo amico è appena stato sbranato da un orso. Il tronco encefalico analizzerà costantemente l’ambiente circostante per intercettare possibili minacce e tenerti in vita.

Il problema subentra quando questa sistema viene utilizzato in un mondo in cui vivi dentro quattro mura, fai la spesa al supermercato e la probabilità di essere sbranato da un orso è significativamente inferiore. Il numero di impulsi e stimoli a cui siamo sottoposti è, però, infinitamente più alto. Il tronco encefalico deve fare gli straordinari per scannerizzare tutte le possibili minacce. È al lavoro 24/7. Come risposta automatica, il livello di stress sale.

Combatto costantemente con il doom thinking. È uno dei demoni più grandi che mi accompagna in questo viaggio. Sento che lentamente ma costantemente, sto imparando a conoscerlo e farmelo amico. Non vorrei scacciarlo del tutto.

Quando ero piccolo rimasi colpito da una frase del film Dragon – La storia di Bruce Lee. Il protagonista aveva un incubo ricorrente, un samurai che terrorizzava anche me. Parlando con il suo maestro, questo gli dice “Se non vincerai le tue paure di sempre, non farai altro che trasmettere quel demone ai tuoi figli”.

Mi sento esattamente così. Devo neutralizzare questo demone per non passarlo ad Alexander. È una vera e propria responsabilità che sento.

Il futuro non esiste. Le preoccupazioni servono solo a derubarmi del presente.

Ciò che esiste, invece, è la sensazione di stringere mio figlio tra le braccia. Percepire la sua cieca fiducia in me. Sentire il suo corpo rilassarsi man mano che si arrende al sonno. Il suo sguardo che mi cerca e mi illumina con uno splendido sorriso. Non ho bisogno di nient’altro. Il tempo si riduce al collo di una clessidra in cui passa un granello alla volta.

Tutto succede nel salone di casa nostra, in un normalissimo martedì pomeriggio.

È per questo che oggi abbiamo ballato su Wuthering Heights.

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Baby language e confessioni

Oggi Alexander ha avuto una giornata storta. Nel pomeriggio ha pianto molto più spesso del normale. I suoi suoni iniziano a cambiare. Non c’è più solo il pianto classico, ma anche altri suoni che spesso lo precedono.

Insieme con Carolien abbiamo fatto ear training analizzando il suo pianto e confrontandolo con tutte le possibilità del baby language. Priscilla Dunstan ha isolato una serie di suoni che i bambini di tutto il mondo producono in diverse situazioni. Un neh indica fame, un eair aria che deve uscire fuori, owh il bisogno di dormire, e così via. Guarda il video per approfondire.

Gli abbiamo dato da mangiare, fatto fare il ruttino, cambiato il pannolino. Tutto ciò di cui poteva aver bisogno. Eppure continuava a piangere. Alternava un lamento continuo a momenti di rabbia che non riuscivamo a spiegarci. Pur avendo provato tutte le possibili cause, avevamo la sensazione fastidiosa di aver dimenticato di controllare qualcosa.

Dopo un po’ ci è tornato in mente che intorno alle 8 settimane il bambino passa ad uno stadio successivo dello sviluppo. Il pianto più frequente ne è un segno distintivo. Lo vediamo prendere sempre più consapevolezza delle sue mani. Inizia ad afferrare oggetti (e capelli). Quando giochiamo e ci avviciniamo con il volto, prova a raggiungerlo con le mani.

Il mal di pancia è anche diminuito. Sembra che abbia capito come funziona il sistema. Ci sono meno “produzioni” in un giorno rispetto a qualche settimana fa, ma più sostanziose.

In queste fasi è ancora più importante comunicare col proprio partner. Il pianto continuo può non essere facile da gestire.

Ho preso in braccio Alexander per consolarlo un po’ e aiutarlo a calmarsi. Ho provato diverse posizioni prima di metterlo fronte mondo. Pian piano si è calmato.

Ho avuto una sorta di epifania, in cui ho sentito nel profondo che per quella piccola creatura noi siamo l’unica fonte di salvezza. Loro dipendono in tutto e per tutto da noi. Abbiamo una responsabilità e un privilegio importantissimi. Arrabbiarsi col bambino sarebbe la cosa più sbagliata da fare. Anzi più nociva, soprattutto a lungo termine.

Come scritto ieri, tutte le esperienze vengono salvate direttamente nell’inconscio. Qualora fossero esperienze spiacevoli, ci saranno collegamenti spiacevoli quando, più avanti nel tempo, quelle verranno richiamate alla memoria.

Ho guardato Alexander negli occhi, mi sono tolto ogni possibile armatura e gli ho detto molto candidamente che lo amo profondamente. Che noi non siamo mai stati genitori e che facciamo del nostro meglio per farlo stare bene. Che mi dispiace se a volte non capiamo subito di cosa abbia bisogno. Ma stiamo imparando. Lui a comunicare e noi ad interpretare.

È una fase che non vorrei perdermi per niente al mondo.

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Onde beta e primi ricordi

Questa sera l’abbiamo passata tutti e quattro sul divano. Abbiamo scoperto una serie islandese – Katla – che ci sta tenendo incollati allo schermo. Abbiamo appena terminato il sesto episodio, su otto totali. La storia è avvincente e l’intreccio è ben ponderato. Mi ricorda un’altra serie che ci ha appassionato tantissimo, Dark. Ve le consiglio entrambe.

Ti starai chiedendo cosa c’entri il guardare una serie con questo blog. Ebbene, lo spunto per questo articolo è arrivato proprio dall’ultimo episodio visto. Uno dei personaggi chiede:

«Qual è il tuo primo ricordo?»

“Già, qual è il mio primo ricordo?” mi sono chiesto di riflesso.

Ho dovuto pensarci. E ripensarci. Poi ripensarci ancora. Non lo so qual è il mio primo ricordo. Non me lo sono mai chiesto e quasi me ne dispiaccio.

Tra l’altro, non so se questa domanda possa avere una risposta oggettiva.

Dai 0 ai 2 anni, il cervello dell’essere umano produce onde delta. Queste sono le stesse raggiunte in stato di meditazione profonda. In questa fase siamo iper-ricettivi. Ma c’è un problema: tutte le informazioni, stimoli, impulsi ed esperienze vengono “salvate” direttamente nell’inconscio. E il cervello le ritiene verità oggettive, a prescindere che siano positive o negative.

Quando devi prendere una decisione richiami alla memoria sensazioni che hanno qualcosa in comune con la situazione che richiede quella decisione. Alcune di queste saranno sicuramente ripescate dal tuo inconscio. Questo è il motivo per cui alcune situazioni o dinamiche ti fanno arrabbiare o rattristire. O magari ti rendono euforico e felice.

Dai 2 ai 6 anni produciamo onde theta. La creatività prende il controllo e la capacità di apprendimento aumenta all’ennesima potenza. È in questa fase che siamo in grado di fissare i primi ricordi. Più o meno dai 3 anni di età.

Mentre scrivo e visualizzo il funzionamento del mio (nostro) cervello, continuo a strizzare la memoria per ricordarmi il mio primo ricordo.

Ho immagini isolate che sanno più di flusso di coscienza che di primi ricordi. Ho bisogno di tempo per rispondere a questa domanda. È lo farò, mi conosco.

Ma il messaggio qui è un altro: Alexander ha compiuto oggi 7 settimane. Rientra a pieno titolo nella prima fascia. Il suo cervello ora produce onde delta. È praticamente un tutt’uno con il suo inconscio, con il suo istinto.

La credenza che vede i neonati come staccati dal mondo e presi solo dal mangiare, dormire e fare bisogni è appunto…una credenza.

Iniziamo a formare ed educare i nostri bambini dal primissimo giorno. In questa fase non possiamo cancellare la lavagna e scrivere di nuovo. Dobbiamo essere estremamente consapevoli di ciò che facciamo, diciamo e sentiamo. E dobbiamo farlo a scatola chiusa. I risultati si vedranno solo dopo anni.

Se lo faremo bene, qualsiasi ricordo sarà fissato per primo dai nostri figli sarà sempre supportato da solide fondamenta. Questo è ciò che voglio passare ad Alexander.

Solide fondamenta. Poi l’architetto è lui. Amplierà la struttura come meglio crede.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Sushi e rito della Luce

Oggi è il nostro secondo anniversario di matrimonio. Il primo festeggiato con Alexander. Una giornata doppiamente speciale.

Una giornata che abbiamo deciso di passare a casa. Lentamente, senza obblighi o aspettative. Semplicemente insieme. Al mattino ci siamo presi del tempo per fare un bel bagnetto ad Alexander. Abbiamo sistemato la vasca sul sostegno in camera da letto. L’ho riempita con acqua a 38 gradi. Gli piace stare in acqua. Si rilassa ed è incuriosito dalle sensazioni che prova.

Nel pomeriggio mi sono dedicato alla scrittura. Per celebrare la giornata, ho deciso di raccontare la storia del nostro incontro. Ne è venuto fuori un bel testo. Puoi leggerlo qui.

Raccontare la nostra storia mi ha fatto rivivere di nuovo tutta la catena di casualità che ha reso possibile il nostro incontro. Gli eventi che ti cambiano la vita arrivano senza preavviso. Nel nostro caso in un innocuo mercoledì di ottobre.

Alexander piange molto meno, quasi esclusivamente quando a fame. Oppure quando lo mettiamo nel box. Per evitare di dover passeggiare tutto il giorno con lui in braccio, ho deciso di metterlo nel marsupio. Dopo un po’ di proteste iniziali è caduto in un sonno profondo. Mi sono trovato bene a lavorare in questo modo.

Per cena avevamo stabilito di ordinare il sushi. Riempiamo il carrello sul sito del nostro ristorante preferito. Non consegnano a domicilio, ma vista la bontà del loro sushi, siamo disposti ad ordinare da asporto.

Sorpresa: non accettano ordini per oggi. Decidiamo di rimandare a domani.

La sera dopo cena abbiamo fatto il rito della luce. Lo abbiamo fatto durante la cerimonia del nostro matrimonio e ci siamo promessi di farlo ad ogni anniversario. Il rito della luce simboleggia l’unione di due vite che si fondono per crearne una nuova. Ogni sposo ha una candela. Questa viene accesa dai genitori, a simboleggiare il passaggio di testimone. I due sposi avvicinano le fiamme delle candele (= unione di due personalità) per accenderne una più grande (= la famiglia che hanno creato).

Abbiamo spento la radio e ci siamo seduti a tavola con le stesse candele usate durante il matrimonio. Alexander riposava pacioso nel box. Sembrava capire che quello era un momento importante per mamma e papà.

Ho acceso la candela di Carolien. Lei ha acceso la mia. Le abbiamo avvicinate unendo le fiamme. Insieme abbiamo acceso la candela più grande. Dopo aver spento le nostre due candele, ci siamo presi le mani e rinnovato le nostre promesse personali guardandoci negli occhi.

Alexander decide che il tempo a nostra disposizione è stato sufficiente. Carolien lo prende in braccio, è quasi ora della poppata.

Il tempo ricomincia a fluire.