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Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Baby language e confessioni

Oggi Alexander ha avuto una giornata storta. Nel pomeriggio ha pianto molto più spesso del normale. I suoi suoni iniziano a cambiare. Non c’è più solo il pianto classico, ma anche altri suoni che spesso lo precedono.

Insieme con Carolien abbiamo fatto ear training analizzando il suo pianto e confrontandolo con tutte le possibilità del baby language. Priscilla Dunstan ha isolato una serie di suoni che i bambini di tutto il mondo producono in diverse situazioni. Un neh indica fame, un eair aria che deve uscire fuori, owh il bisogno di dormire, e così via. Guarda il video per approfondire.

Gli abbiamo dato da mangiare, fatto fare il ruttino, cambiato il pannolino. Tutto ciò di cui poteva aver bisogno. Eppure continuava a piangere. Alternava un lamento continuo a momenti di rabbia che non riuscivamo a spiegarci. Pur avendo provato tutte le possibili cause, avevamo la sensazione fastidiosa di aver dimenticato di controllare qualcosa.

Dopo un po’ ci è tornato in mente che intorno alle 8 settimane il bambino passa ad uno stadio successivo dello sviluppo. Il pianto più frequente ne è un segno distintivo. Lo vediamo prendere sempre più consapevolezza delle sue mani. Inizia ad afferrare oggetti (e capelli). Quando giochiamo e ci avviciniamo con il volto, prova a raggiungerlo con le mani.

Il mal di pancia è anche diminuito. Sembra che abbia capito come funziona il sistema. Ci sono meno “produzioni” in un giorno rispetto a qualche settimana fa, ma più sostanziose.

In queste fasi è ancora più importante comunicare col proprio partner. Il pianto continuo può non essere facile da gestire.

Ho preso in braccio Alexander per consolarlo un po’ e aiutarlo a calmarsi. Ho provato diverse posizioni prima di metterlo fronte mondo. Pian piano si è calmato.

Ho avuto una sorta di epifania, in cui ho sentito nel profondo che per quella piccola creatura noi siamo l’unica fonte di salvezza. Loro dipendono in tutto e per tutto da noi. Abbiamo una responsabilità e un privilegio importantissimi. Arrabbiarsi col bambino sarebbe la cosa più sbagliata da fare. Anzi più nociva, soprattutto a lungo termine.

Come scritto ieri, tutte le esperienze vengono salvate direttamente nell’inconscio. Qualora fossero esperienze spiacevoli, ci saranno collegamenti spiacevoli quando, più avanti nel tempo, quelle verranno richiamate alla memoria.

Ho guardato Alexander negli occhi, mi sono tolto ogni possibile armatura e gli ho detto molto candidamente che lo amo profondamente. Che noi non siamo mai stati genitori e che facciamo del nostro meglio per farlo stare bene. Che mi dispiace se a volte non capiamo subito di cosa abbia bisogno. Ma stiamo imparando. Lui a comunicare e noi ad interpretare.

È una fase che non vorrei perdermi per niente al mondo.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Onde beta e primi ricordi

Questa sera l’abbiamo passata tutti e quattro sul divano. Abbiamo scoperto una serie islandese – Katla – che ci sta tenendo incollati allo schermo. Abbiamo appena terminato il sesto episodio, su otto totali. La storia è avvincente e l’intreccio è ben ponderato. Mi ricorda un’altra serie che ci ha appassionato tantissimo, Dark. Ve le consiglio entrambe.

Ti starai chiedendo cosa c’entri il guardare una serie con questo blog. Ebbene, lo spunto per questo articolo è arrivato proprio dall’ultimo episodio visto. Uno dei personaggi chiede:

«Qual è il tuo primo ricordo?»

“Già, qual è il mio primo ricordo?” mi sono chiesto di riflesso.

Ho dovuto pensarci. E ripensarci. Poi ripensarci ancora. Non lo so qual è il mio primo ricordo. Non me lo sono mai chiesto e quasi me ne dispiaccio.

Tra l’altro, non so se questa domanda possa avere una risposta oggettiva.

Dai 0 ai 2 anni, il cervello dell’essere umano produce onde delta. Queste sono le stesse raggiunte in stato di meditazione profonda. In questa fase siamo iper-ricettivi. Ma c’è un problema: tutte le informazioni, stimoli, impulsi ed esperienze vengono “salvate” direttamente nell’inconscio. E il cervello le ritiene verità oggettive, a prescindere che siano positive o negative.

Quando devi prendere una decisione richiami alla memoria sensazioni che hanno qualcosa in comune con la situazione che richiede quella decisione. Alcune di queste saranno sicuramente ripescate dal tuo inconscio. Questo è il motivo per cui alcune situazioni o dinamiche ti fanno arrabbiare o rattristire. O magari ti rendono euforico e felice.

Dai 2 ai 6 anni produciamo onde theta. La creatività prende il controllo e la capacità di apprendimento aumenta all’ennesima potenza. È in questa fase che siamo in grado di fissare i primi ricordi. Più o meno dai 3 anni di età.

Mentre scrivo e visualizzo il funzionamento del mio (nostro) cervello, continuo a strizzare la memoria per ricordarmi il mio primo ricordo.

Ho immagini isolate che sanno più di flusso di coscienza che di primi ricordi. Ho bisogno di tempo per rispondere a questa domanda. È lo farò, mi conosco.

Ma il messaggio qui è un altro: Alexander ha compiuto oggi 7 settimane. Rientra a pieno titolo nella prima fascia. Il suo cervello ora produce onde delta. È praticamente un tutt’uno con il suo inconscio, con il suo istinto.

La credenza che vede i neonati come staccati dal mondo e presi solo dal mangiare, dormire e fare bisogni è appunto…una credenza.

Iniziamo a formare ed educare i nostri bambini dal primissimo giorno. In questa fase non possiamo cancellare la lavagna e scrivere di nuovo. Dobbiamo essere estremamente consapevoli di ciò che facciamo, diciamo e sentiamo. E dobbiamo farlo a scatola chiusa. I risultati si vedranno solo dopo anni.

Se lo faremo bene, qualsiasi ricordo sarà fissato per primo dai nostri figli sarà sempre supportato da solide fondamenta. Questo è ciò che voglio passare ad Alexander.

Solide fondamenta. Poi l’architetto è lui. Amplierà la struttura come meglio crede.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Sushi e rito della Luce

Oggi è il nostro secondo anniversario di matrimonio. Il primo festeggiato con Alexander. Una giornata doppiamente speciale.

Una giornata che abbiamo deciso di passare a casa. Lentamente, senza obblighi o aspettative. Semplicemente insieme. Al mattino ci siamo presi del tempo per fare un bel bagnetto ad Alexander. Abbiamo sistemato la vasca sul sostegno in camera da letto. L’ho riempita con acqua a 38 gradi. Gli piace stare in acqua. Si rilassa ed è incuriosito dalle sensazioni che prova.

Nel pomeriggio mi sono dedicato alla scrittura. Per celebrare la giornata, ho deciso di raccontare la storia del nostro incontro. Ne è venuto fuori un bel testo. Puoi leggerlo qui.

Raccontare la nostra storia mi ha fatto rivivere di nuovo tutta la catena di casualità che ha reso possibile il nostro incontro. Gli eventi che ti cambiano la vita arrivano senza preavviso. Nel nostro caso in un innocuo mercoledì di ottobre.

Alexander piange molto meno, quasi esclusivamente quando a fame. Oppure quando lo mettiamo nel box. Per evitare di dover passeggiare tutto il giorno con lui in braccio, ho deciso di metterlo nel marsupio. Dopo un po’ di proteste iniziali è caduto in un sonno profondo. Mi sono trovato bene a lavorare in questo modo.

Per cena avevamo stabilito di ordinare il sushi. Riempiamo il carrello sul sito del nostro ristorante preferito. Non consegnano a domicilio, ma vista la bontà del loro sushi, siamo disposti ad ordinare da asporto.

Sorpresa: non accettano ordini per oggi. Decidiamo di rimandare a domani.

La sera dopo cena abbiamo fatto il rito della luce. Lo abbiamo fatto durante la cerimonia del nostro matrimonio e ci siamo promessi di farlo ad ogni anniversario. Il rito della luce simboleggia l’unione di due vite che si fondono per crearne una nuova. Ogni sposo ha una candela. Questa viene accesa dai genitori, a simboleggiare il passaggio di testimone. I due sposi avvicinano le fiamme delle candele (= unione di due personalità) per accenderne una più grande (= la famiglia che hanno creato).

Abbiamo spento la radio e ci siamo seduti a tavola con le stesse candele usate durante il matrimonio. Alexander riposava pacioso nel box. Sembrava capire che quello era un momento importante per mamma e papà.

Ho acceso la candela di Carolien. Lei ha acceso la mia. Le abbiamo avvicinate unendo le fiamme. Insieme abbiamo acceso la candela più grande. Dopo aver spento le nostre due candele, ci siamo presi le mani e rinnovato le nostre promesse personali guardandoci negli occhi.

Alexander decide che il tempo a nostra disposizione è stato sufficiente. Carolien lo prende in braccio, è quasi ora della poppata.

Il tempo ricomincia a fluire.

marito e moglie in abito da sposi fanno vedere gli anelli

Il giorno in cui ho conosciuto mia moglie

Il sole entra dalla finestra del salone illuminando scatole e valigie disposte sul pavimento. Ho appena raccolto la mia vita degli ultimi dodici anni. Mi siedo sul divano rosso, sul quale ho dormito nelle ultime settimane. Do un tiro di sigaretta e mi guardo intorno. Quell’appartamento una volta così caldo mi risulta ormai estraneo. Non c’è più traccia dell’amore, dei sogni, delle passioni e dei sorrisi che avevo portato in quelle scatole e valigie due anni addietro.

Sento vibrare il telefono. Rispondo ancora perso nei miei pensieri.

«Ciao Moreno, sono Vincenzo. Hai da fare questa sera? Abbiamo la serata all’Enoteca Barberini ma il batterista si è ammalato. Se ti va puoi sostituirlo. Suoneremo in trio, solito repertorio, iniziamo alle 20:30. Che ne dici?»

Butto fuori il fumo. Sono le dieci di mattina di mercoledì 19 ottobre 2016. Sto preparando le valigie per lasciare l’appartamento dove ho vissuto con la mia ex. Quella sera avrei dormito per la prima volta in una stanza presa in affitto in un appartamento in condivisione con dei compagni della palestra di boxe.

“Forse mi farà bene distrarmi. Cosa farei se restassi a casa? penso.

«Ci vediamo lì alle 20!» rispondo.

Passo il pomeriggio a trasportare scatole e valigie nella mia nuova stanza. Preparo il letto e sistemo le cose in bagno.

19:58

Parcheggio la macchina in via San Nicola da Tolentino. Prendo piatti e rullante e mi incammino verso l’enoteca. È una bellissima serata, serena e fresca. Passo la fontana del Tritone e scendo in via degli Avignonesi, una parallela di via del Tritone. Vincenzo e Marco sono già lì fuori. Fumiamo una sigaretta mentre stabiliamo i brani da suonare.

«Montiamo velocemente gli strumenti. Alle 20:15 ceniamo e alle 20:30 iniziamo il primo set.» dice Vincenzo poggiando la sua chitarra sul palchetto.

L’enoteca ha due entrate, una su via del Tritone e l’altra su via degli Avignonesi. Il flusso di turisti è continuo. Guardo le loro facce e mi perdo ad immaginare le loro vite. Da dove vengono, che lavoro fanno. Qual è la loro marca di vestiti preferita. Cosa gli piace fare quando piove. Immagino la loro casa, il quartiere in cui vivono. Se hanno un bosco vicino casa.

È buffo come le vite immaginarie di perfetti sconosciuti mi sembrino sempre perfette. Non c’è traccia di dolore, non conoscono lutti o delusioni. Io invece ho nelle orecchie il suono della porta dell’appartamento che abbiamo appena lasciato con la mia ex. Quel “Buona fortuna” augurato sinceramente davanti all’ultimo caffè insieme al bar, prima di salire in macchina ognuno per la sua strada.

Sono le 20:30, il locale è quasi pieno. Solo due tavoli sono ancora liberi. Saliamo sul palchetto e iniziamo a suonare.

20:48

Suoniamo musica di intrattenimento. Un misto di successi pop internazionali e brani della tradizione italiana. Sentiamo grida di giubilo al riff di Get lucky e un coro appassionato su Volare. È divertente suonare e vedere il pubblico divertirsi con noi.

Poi succede.

La musica, il vociare, il rumore delle posate sui piatti. Tutto si allontana di qualche anno luce. Ne sento solo il riverbero. Ancora prima di accorgermi di cosa stesse succedendo, mi ritrovo a fissare una ragazza all’ingresso di via del Tritone. Non capisco il perché, non l’ho mai vista prima. Jeans chiari e una maglietta bianca mettono in risalto la pelle abbronzata. I capelli sono raccolti dietro la nuca.

Chiede qualcosa ad uno dei barmen al bancone, che annuisce e le fa cenno di accomodarsi. Una cameriera l’accompagna ad uno dei due tavoli rimasti liberi, alla destra del palchetto.

Sono turbato. Non capisco bene cosa mi stia succedendo. O forse lo capisco ma ho paura ad ammetterlo. “Non può essere” mi dico “non oggi”. Eppure non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Voglio sapere come si chiama. Voglio sentire il suono della sua voce. Voglio guardare quegli occhi che non smetto di cercare con lo sguardo.

Un pensiero si insinua fastidioso:

“Credi davvero che una ragazza così bella sia qui da sola? Sarà venuta a vedere il posto ed ora chiamerà il ragazzo per dirgli di raggiungerla”.

Come se mi avesse sentito, lei prende in mano il telefono. “Appunto”, penso. Poi cerca nella borsa e tira fuori il caricabatterie. Lo attacca alla presa sotto il tavolo. La cameriera si avvicina per prendere un’ordinazione. Dopo pochi minuti torna con un Aperol spritz. Lei beve un sorso guardandoci divertita. I nostri sguardi si incrociano per la prima volta. Tutto mi arriva di nuovo ovattato. Esistono solo i suoi occhi.

Mi giro verso i ragazzi:

«Se quella ragazza dovesse andare via, io vado via con lei. Devo assolutamente parlarle.»

I miei amici ridono, credendo fosse una battuta.

«Sono serio, non posso lasciarla andare via senza sapere il suo nome.»

«E se viene il ragazzo?»

«Non mi importa. Voglio parlarle lo stesso.»

Sento queste parole arrivare da un posto profondo, da qualche parte dentro di me. Nessuna stronzata da maschio alfa. Io avevo bisogno di parlarle.

Arrivano due donne. Scambiano due parole con lei e prendono posto allo stesso tavolo. Nessuna traccia di eventuali partners. Sembrano conoscersi, parlano con entusiasmo. Poco dopo ordinano una bottiglia di rosé.

Arriva il primo break. Ho quindici minuti di tempo per provare a rompere il ghiaccio. Non ho idea di come fare. Il gestore dell’enoteca non vuole che i musicisti facciano contatto con i clienti. Devo stare attento, ma non ho intenzione di farne un problema.

Esco fuori su via degli Avignonesi e mi accendo una sigaretta. Provo ad intercettare il suo sguardo per attirarla fuori. Le altre due ragazze se ne accorgono, ma non succede assolutamente niente. Il break finisce e dobbiamo ricominciare a suonare.

C’è una bella atmosfera. La scaletta è ben assestata, il pubblico interagisce sempre di più. Dopo un paio di pezzi tirati iniziamo I’m yours di Jason Mraz. Arrivati al ritornello sento un bel contorcano venire dal pubblico. Mi guardo intorno per cercare la voce di donna che avevo appena sentito.

Era lei.

Finalmente avevo una scusa per approcciare. Appena finito di suonare mi avvicino al tavolo:

«Potevi dircelo che eri una cantante, avresti potuto cantare un pezzo con noi!». Qualasiasi cosa pur di iniziare un dialogo.

«No, quale cantante! Mi piace semplicemente la musica. Mi piace giocare con le melodie e inventarne altre.»

Stiamo finalmente parlando. I miei amici si mettono a parlare con le altre due ragazze.

Ci spostiamo tutti insieme in un bar su Piazza Barberini. Kerry viene dall’Australia, Jess dagli Stati Uniti, Carolien dai Paesi Bassi. Viaggiano tutte e tre da sole. Jess e Kerry si sono conosciute nel pomeriggio e hanno deciso di andare a bere qualcosa di sera. Così sono arrivate all’enoteca dove hanno incontrato Carolien.

«Come mai Roma?» chiedo a Carolien.

«Avevo voglia di fare un viaggio da sola. Anzi, ad essere sinceri ne avevo bisogno. Ho da poco terminato una lunga relazione. Volevo vedere posti nuovi, volevo il sole. Roma mi è sembrata la meta perfetta. E quindi eccomi qua.»  mi risponde sorridendo.

Torno per un attimo a poche ore prima, con la macchina carica e la porta chiusa.

«Beh, hai fatto la scelta giusta. Qui c’è tantissimo da vedere e la temperatura ad ottobre è semplicemente perfetta. Non troppo caldo, né troppo freddo.» le dico tornando al presente.

«Verissimo. Solo oggi ho camminato 14 chilometri. Ho visto praticamente tutto il centro storico. Stasera ero di ritorno all’hotel. Stavo andando a prendere la metro quando ho visto che la batteria del cellulare aveva il 3% di carica. Ho pensato che sarebbe stato meglio fermarmi da qualche parte e ricaricarlo, prima di continuare.

Passando fuori all’enoteca vi ho sentiti suonare. Ho dato un’occhiata e chiesto al barman se ci fosse un tavolo con una presa di corrente vicino. Ne era rimasto uno, quello dove ero seduta.»

Continuiamo a parlare di tutto ciò che ci passa per la testa, come se ci conoscessimo da tanto e dovessimo raccontarci un sacco di cose. Il tempo sembra essersi fermato, ma l’orologio la pensa diversamente.

02:45

«Ora devo proprio andare. Voglio dormire un po’. Domani mattina ho ancora tempo per un giro al Colosseo. Nel pomeriggio ho il volo di ritorno.» dice Carolien alzandosi dal tavolo.

«Capisco. A quest’ora la metro è chiusa. Io ho la macchina parcheggiata dall’altro lato della piazza. Ti accompagno volentieri se vuoi.»

Ci incamminiamo verso la macchina continuando a chiacchierare. Il cielo gode della nostra felicità esponendo tutte le stelle più belle. Troppo in fretta arriviamo all’hotel di Carolien.

Era giunto il momento di salutarci. Non l’avrei rivista più. Lei mi ringrazia e fa per pagarmi la benzina.

«Non provarci» le dico «l’ho fatto molto volentieri. È stato bello chiacchierare ancora un altro po’.»

«Si è vero, ho passato una bellissima serata» mi dice. Colgo un po’ di esitazione a scendere dalla macchina.

«Se proprio vuoi ringraziarmi, perché non mi lasci un tuo contatto? Se domattina hai tempo potremmo prenderci un caffè». Ascolto queste parole come se fossero pronunciate da qualcun altro. Non sono mai stato intraprendente con le donne.

Carolien ci pensa un attimo e poi mi dice:

«Inviami un messaggio su Facebook messenger. Ho le richieste di amicizia bloccate sul profilo. Appena salgo in albergo accetto il tuo messaggio e ti do l’amicizia.»

Le porgo il mio telefono per farle inserire il suo nome e cognome. Scrivo un messaggio e lo invio. Ci auguriamo la buonanotte. Lei sale nella sua stanza, io guido verso la mia nuova stanza. Durante il tragitto non ho fatto altro che pensare a lei. Mi mancava già e questa sensazione mi spaventava e mi piaceva allo stesso tempo.

Il pensiero fastidioso arriva di nuovo:

“Pensi che ti invierà davvero la richiesta su Facebook? E se ti avesse detto così solo per potersela svignare il prima possibile?”

Una parte di me sentiva che non era così. Avevo visto la sua esitazione nello scendere dalla macchina.

03:29

Arrivo al mio nuovo indirizzo ed inizio a cercare parcheggio. Controllo e ricontrollo il telefono, in attesa di una notifica. Volevo solo quella.

Mezz’ora dopo ho girato 3 isolati. Guardo di nuovo il telefono. Una notifica risolverebbe tutto. O meglio, non avrei ancora trovato parcheggio, ma non me ne fregherebbe niente. Valuto l’idea di parcheggiare davanti ad un secchione dell’immondizia. Sono nervoso e scoraggiato.

Pling.

Afferro il telefono. Vedo l’icona di messenger. Poteva essere solo lei a quell’ora.

“Hey there, I’ll invite you in a sec” leggo. Il cuore sembra voler uscire per conto suo. Pochi minuti dopo, ricevo la richiesta su Facebook.

Il resto è storia.

La nostra storia.

——————————

Scrivo queste parole il giorno del nostro secondo anniversario di matrimonio. Scrivo con nostro figlio in braccio. Lo guardo e mi sento esplodere di felicità ripensando a quella catena di casualità che il 16 ottobre 2016 hanno fatto incrociare le nostre strade.

“…And I’ll thank my lucky stars, for that night.”

Oggi come allora, come sempre, da sempre: ti amo amore mio.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Carpe diem

La caducità della vita. L’impermanenza della realtà. L’inter-essere di tutti gli elementi su questa terra.

Settimana scorsa ho finito di ascoltare Sapiens di Yuval Noah Harari. Un capolavoro che consiglio a tutti. In poche centinaia di pagine lo storico riassume la nascita e lo sviluppo dell’homo sapiens e della sua (nostra) civiltà. Una storia avvincente e spaventevole per la quantità di casualità che l’hanno posta in essere.

Ricevere una panoramica così esaustiva e chiara mi ha aiutato ulteriormente a riordinare le mie priorità. Ci siamo allontanati moltissimo dalla Natura e dal nostro essere animali. Ce ne siamo dimenticati. Alcune cose ci sembrano lontane migliaia di secoli, quando agli occhi della Storia sono successe solo l’altro giorno.

In un passato non troppo lontano, la vita umana durava molto meno ed era soggetta a molti più pericoli di quanto possiamo immaginarne oggi. Bisognava vivere il momento.

Carpe diem direbbero quelli fighi.

Io nel 2023 a 37 anni ancora non l’ho capito bene.

Ieri sera intorno alle 23 Carolien è salita di sopra con Alexander. Lui aveva mangiato alle 21:30. Secondo i miei calcoli infallibili, avrebbe dovuto mangiare di nuovo alle 00:30. Io ero ancora impegnato a scrivere delle cose e avevamo stabilito che io avrei fatto il prossimo turno. È allora che arriva il genio:

“Unisco l’utile al dilettevole” mi dico sentendomi produttivo. “Continuerò a lavorare fino a che si sveglia. Non mi conviene mettermi a letto e magari prendere sonno, per poi essere svegliato dopo mezz’ora.”

Quando uno è forte è forte.

Accolgo la mezzanotte al suono della tastiera. Ancora nessuno segno dai piani superiori. “Ho ancora mezz’ora” realizzo guardando l’orologio. Continuo a lavorare fino alle 00:30.

Silenzio.

Inizio a domandarmi se la mia scelta fosse poi così intelligente. Dopo una breve discussione con me stesso, concludo che lo era. “Lo sappiamo entrambi che non appena ti metterai a letto, Alexander si sveglierà” mi dice serio l’altro Moreno. Obiezione accolta. Aspetto ancora.

Mi metto a leggere, ogni tanto qualche partita a scacchi.

Arriva l’una e tutto tace. L’una e mezza non porta niente di nuovo. Mi decido a salire di sopra. Ieri è stata una giornata lunga e il mio corpo iniziava ad implorarmi di sdraiarmi.

“Mi sdraio a letto e aspetto sveglio. È chiaro ormai che si sveglierà tra pochi minuti” penso mentre salgo le scale.

Per rimanere sveglio assumo degli shot di dopamina sottoforma di partite di scacchi online. Guardo l’orologio: le 02:15. “Mmm ancora niente. Facciamo così,” mi dico saggiamente “rilassiamoci un po’ e vediamo cosa succede. Non possiamo stare svegli tutta la notte”. Non faccio neanche in tempo a registrare questo pensiero che, girato sul mio fianco preferito, crollo in un sonno profondo.

In lontananza percepisco dei suoni. Suoni particolari, che non c’entrano molto con lo stato in cui mi trovo. “Saranno parte di un sogno che sto per cominciare” mi dico. Mi metto ancora più comodo davanti allo schermo gigante del mio inconscio.

I suoni continuano e sembrano aumentare di volume e intensità. Ora si fanno più vicini. Mi stupisco della qualità dell’audio della mia immaginazione. Alta fedeltà.

Il mio corpo si rilassa nel dolce tepore del sonno che mi avvolge.

Dal suo lettino Alexander mette la quinta e butta fuori tutta l’aria che riesce a trasformare in suono.

Salto giù dal letto con il cuore pronto per uno scatto velocissimo. Faccio del mio meglio per non svegliare Carolien che dorme. Convinto di aver saltato un turno, prendo Alexander in braccio e scendo di sotto. Con la freddezza di un marine super addestrato preparo il latte con una mano, mentre provo a calmare Alexander che si dimena nell’altro braccio.  Scalda una tazza con 90ml di acqua per 8 secondi nel microonde. Aggiungi 3 misurini di latte in polvere. Mescola bene con un cucchiaino. Versa il contenuto nel biberon.”

In tempo record sediamo sulla sedia col biberon. Appena inizia a bere riesco a rilassarmi un pochino. Mi sento stanchissimo, ho l’impressione di non aver riposato per niente. Eppure avevo l’impressione di godere di un sonno profondo.

Mi giro per guardare l’orologio appeso al muro.

02:30.

Sono passati 15 minuti.

900 secondi.

Ho buttato via 4 ore di sonno. Anche di più calcolando che ne avrò per un’altra ora almeno.

Sono l’eccezione che conferma la regola.

Sei un neo genitore e hai la possibilità di dormire?

Carpe diem.

Sempre.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Privazione del sonno e comunicazione

Le prime settimane da neogenitori hanno una costante invariabile: la mancanza di sonno. Questa ha un effetto più o meno deleterio a seconda delle persone. Io personalmente ho capito per quale motivo la privazione del sonno viene usata come tortura.

In media, ci si deve alzare 2 volte a notte. Tre se ci si mette a letto prima. Ogni alzata prevede allattamento, ruttino e cambio del pannolino. In media 1 ora. Mettiamo il caso che ti sei messo a letto alle 23. Tuo figlio/a avrà mangiato almeno alle 22. Di solito passano 3 ore tra i pasti (spesso meno). Il prossimo turno sarà all’una di notte. Ti svegli all’una e torni a letto alle 2 (ottimista). Prima che ti riaddormenti passa almeno una mezz’oretta. Facciamo che ti riaddormenti alle 2:30 (molto ottimista).

Bene, il prossimo ‘turno’ è alle 4. Vuol dire che hai la bellezza di un’ora e mezza prima di doverti alzare di nuovo. La stessa cosa succederà col turno successivo.

Naturalmente questo ciclo va avanti per tutto il giorno, 24/7. Non c’è la possibilità di mettere pausa e fare un sonnellino. Anche la vita sociale va avanti. C’è da governare la casa, fare spesa, far uscire il cane, andare a lavorare, studiare, curare i rapporti, curare sé stessi.

In poche parole, si è stanchi. Di stanchezza vera.

Essere in grado di comunicare con il proprio partner è cruciale per superare indenni questa fase.

La comunicazione si ottiene dalla sublimazione della parola e dell’onestà. La facilità con cui questo succede nel nostro rapporto è una delle cose che mi ha fatto innamorare di mia moglie.

Parliamo di tutto, soprattutto delle cose ci fanno arrabbiare o ci mettono di cattivo umore. È stato logico analizzare questa situazione per trovare una soluzione funzionale per entrambi.

Il fatto che Carolien allatti al seno non mi esenta dal fare dei turni. Ci siamo organizzati con un tiralatte elettrico e dei contenitori per conservare il latte nel frigorifero. Così facendo mia moglie può rimanere a letto godersi un po’ di riposo. A seconda di quanto latte abbiamo a disposizione, potrò fare un biberon di solo latte materno, o un mix con latte in polvere.

Alternandoci riusciamo a dormire un po’ di più. Alexander dorme a volte più di 3 ore, il che ci regala del sonno bonus.

Questo stratagemma consente a Carolien di essere più libera nell’organizzazione delle sue giornate. Non essendo più legata all’allattamento diretto, può tranquillamente uscire senza problemi di orari o scadenze.

Affrontare la cosa in questo modo ci fa sentire ancora più uniti. Realizziamo che insieme siamo più forti. Farci i dispetti solo per sfogarci e poi finire a litigare sarebbe una sconfitta per entrambi.

In più, il mio rapporto con Alexander sta mettendo radici ancora più profonde. Questo è ciò che conta veramente.

E allora non c’è stanchezza che tenga.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

David di Michelangelo e burro d’arachidi

Sono i dettagli che fanno la differenza. Parole sante.

Ad esempio, la mano destra del David di Michelangelo ha un muscolo che si tende solo quando la mano prende la posizione della statua (standing ovation per la competenza di Michelangelo, per favore). Nessuno ne avrebbe notato la mancanza, eppure l’artista ha sentito il bisogno di aggiungere questo dettaglio.

Mettiamo il caso che tu stia cambiando il pannolino: togli quello vecchio, pulisci con cura tutto ciò che c’è da pulire e prendi il pannolino pulito. Ruoti il bambino su un fianco, poggi il pannolino sul cuscino e fai ruotare di nuovo il bambino. Con soddisfazione lo chiudi e allacci il body.

Hai appena tralasciato un dettaglio importantissimo. Cruciale. Un dettaglio che ti costerà caro, credimi. Visto che tengo questo blog per condividere la mia crescita come padre, voglio rivelarti questo dettaglio prima che sia troppo tardi.

Quando hai allacciato il pannolino, ruota di nuovo il tuo bambino e piega la parte anteriore verso l’interno.

Stamattina metto Alexander sul cuscino per cambiarlo. Lui mi guarda felice e spensierato, io lo guardo con gli occhi a cuoricino. Poi slaccio il body e sento che qualcosa non torna.

Velocemente ripasso tutte le preghiere che conosco in tutte le lingue che conosco.

Poi giro Alexander su un fianco. Ho pensato e ripensato ad un modo poetico di descrivere la scena che ho davanti. Ho prodotto una massima zen:

“Il contenuto non è più nel contenitore”

Oppure se ti piacciono le immagini:

“Come ci è finito del burro di arachidi qui?”

A proposito, c’è un trucchetto che non tutti conoscono. Se guardi bene i body dei neonati hanno delle pieghe sulle spalle. Qualora ti succedesse ciò che è successo a me stamattina, sfilare il body dalla testa ti qualificherebbe come sadico.

Quelle pieghe sulle spalle ti permettono di allargarlo, consentendoti di sfilarlo dal basso.

L’importanza dei dettagli.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

MacGyver e pranzo fuori

Nell’ultimo periodo penso spesso al mio passato. Visualizzo nitidamente momenti che credevo svaniti nel tempo. Se da una parte inizio ad avere le vertigini, visto che ho 37 anni di ricordi, dall’altra sento un calore che mi fa bene al cuore. Mi sento parte di un insieme in continua evoluzione. Esserne consapevole mi fa godere ancora di più il momento presente.

Stamattina sono sceso alle 06:20 con Alexander. Questa volta ci siamo seduti sul divano per mangiare. Accendo la televisione, guardo un paio di scene del telefilm e lo spazio-tempo si accartoccia di nuovo.

MacGyver.

Negli anni ’90, se vedevi MacGyver non eri andato a scuola. Guardo rapito la sigla. In una sorta di automatismo, la mia mente richiama la mia realtà dell’epoca. Sensazioni, emozioni, sogni e paure che avevo dimenticato portano con sé immagini, odori e colori della mia vita di 25 anni fa.

Guardo il cuore del Moreno bambino con gli occhi dell’uomo che sono oggi. Quella spinta verso la vita, la curiosità di imparare cose nuove, la voglia di scoprire. La sensazione inconsapevole di avere ancora tutta la vita davanti. Osservo e assaporo tutto con un misto di nostalgia e contentezza. Quel bambino non l’ho mai tradito. Malgrado le difficoltà, sono sempre rimasto fedele.

Alexander si muove e mi riporta al presente.

Oggi andiamo a pranzo fuori. Prima di uscire ripassiamo tutte le cose da portare. Arriviamo al ristorante prescelto e prendiamo posto fuori al giardino. I camerieri sono sempre molto cortesi. Dopo un breve sguardo al menù ordiniamo. Ci prendiamo addirittura il lusso di bere un calice di Pinot grigio.

Alexander ha un talento speciale per i momenti in cui mangiamo. È stato calmo e tranquillo per tutto il tempo. Non appena la cameriera si avvicina con i nostri piatti, si ricorda che è il momento di intervenire. Carolien lo prende in braccio. Lui si calma per poco. Io mangio velocemente la mia parte di antipasto e lo prendo in braccio per consentire a Carolien di mangiare la sua. Appena finisce, taglia a pezzetti il mio panino. Posso mangiare un boccone pur stando in piedi per cullare Alexander.

È bellissimo sentire questa complicità con mia moglie.

Alcuni ospiti ci guardano. Penseranno che non abbiamo neanche la possibilità di goderci un pasto in santa pace.

Alexander mi stringe un dito, io lo bacio. Il Moreno bambino ci guarda innamorato.

Tutto è esattamente come dovrebbe essere.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Una giornata normale

La potenza semplice di una giornata normale. Con queste 7 parole definisco la giornata di oggi.

Il tempo sembra allentare la presa. La vita sembra facile. Tutto scorre esattamente come dovrebbe ed io riesco ad persino ad abbandonarmi alla corrente. Mi sento profondamente grato. Felice per tutto ciò che abbiamo costruito. Orgoglioso delle basi che stiamo gettando per il nostro futuro.

Allora divento più ricettivo. Tutto, anche una cosa semplice come lavare un ciuccio caduto a terra, alimenta la mia contentezza.

Come al solito ci siamo svegliati presto per mangiare. Negli ultimi giorni siamo passati stabilmente a 120 ml. In questo modo Alexander è più soddisfatto e riesce a resistere 3 ore tra una poppata e l’altra. Alterniamo allattamento al seno a latte in polvere.

Ci confrontiamo spesso con amici o parenti (neo) genitori. Registriamo con cura i pasti e i pannolini di Alexander, così da poter capire cosa funziona meglio per lui. Perché alla fine di questo si tratta.

Siamo insieme da 6 settimane e ci conosciamo sempre meglio.

Noto un cambiamento nei suoni che emette. Ora prima del pianto vero e proprio c’è una sorta di falsetto di protesta. Dura in genere qualche minuto, ci da il tempo di metterci in moto prima che si scateni l’uragano.

I suoi occhi sono sempre più vispi e curiosi. Si sofferma con attenzione sulla riproduzione del Ramo di mandorlo in fiore di Van Gogh, un regalo di mia sorella e compagno. Le cartoline appese sono anche interessantissime. I momenti di contatto e interazione durante il pit stop-pannolino sono sempre più frequenti e profondi.

Ci cerca con gli occhi e con i suoni. A volte cerca di toccarci con le mani.

È forse questa la strada verso la felicità? Ho paura a pormi questa domanda. Ho paura di rompere l’incantesimo.

Non tutte le domande hanno bisogno di una risposta. Quantomeno di una risposta verbalizzata. Alcune arrivano per evidenziare una risposta che già conosciamo.

Arrivano per farci realizzare che siamo più ricchi di quanto crediamo.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Luce e ricordi

Sono le 6 del mattino e cammino con Alexander appollaiato sul mio braccio destro. Faccio avanti e indietro tra la porta dell’ingresso e quella del giardino. Durante il tragitto passiamo dalla luce calda delle lampade sul tavolo a quella fredda del sole del mattino.

Assaporo ogni singolo passo con lentezza. Niente di questo semplice momento andrà perduto.

Camminando mi accorgo che devo cambiare più spesso posizione con il braccio. Alexander diventa più pesante. A pensarci bene, ho questa sensazione già da due giorni.

Sta crescendo.

Certo, ho dimenticato cosa voglia dire riposare la notte. Accumulo stanchezza e sopporto i pianti apparentemente senza speranza quando il biberon è in ritardo di 3 minuti. O perché non avevo previsto che questa volta la fame sarebbe arrivata 27 minuti prima delle 3 ore previste.

Poi penso che tra 10 anni la nostalgia richiamerà proprio questi momenti. Alexander non sarà mai più così piccolo.

Assaporo ogni singolo passo con lentezza.

Cambio la presa, lo sposto con la schiena sul mio braccio sinistro e ci guardiamo. Un bellissimo sorriso sdentato esplode senza preavviso. Io mi sento insieme piccolissimo e fortissimo.

E penso a mia madre.

La forza con cui mi torna in mente mi serra lo stomaco. Gli occhi si riempiono di un misto di tristezza e gratitudine. Rivedo il suo sorriso giovane e inesperto, mentre mi tiene in braccio da neonato.

La vedo guardarmi ora, mentre tengo in braccio mio figlio. La sento con tutto me stesso.

Senza preavviso vengo investito da una pioggia di ricordi in ordine sparso. Una sorta di flusso di coscienza, in cui rivedo diversi momenti della mia vita vissuti con mia madre.

Negli ultimi giorni sento la sua mancanza sempre di più. Proprio in virtù di questa mancanza devo onorare il tempo che posso passare con mio figlio. Niente deve essere sprecato.

Questi pensieri mi riportano al 5 maggio. Cammino con mio zio nel cortile dell’ospedale San Camillo di Roma.

“Quando sei nato tu, tua madre mi ha detto ‹‹Mamma mi manca ancora di più ora››”

Io non ho mai conosciuto mia nonna.

Ora, passando dalla luce calda delle lampade a quella fredda del sole del mattino, comprendo profondamente il significato di quella frase.

Ed è proprio per questo che assaporo ogni singolo passo con lentezza.

Perché so che è unico.