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Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Nuove skills

Ieri non sono riuscito a scrivere. Ho provato a farlo la sera tardi, ma ero troppo stanco. Nonostante mi dispiacesse, ho chiuso il Mac senza rimorso e sono andato a letto.

Questo blog è nato per il piacere di scrivere e registrare avvenimenti e situazioni. Non voglio farlo diventare uno stress.

Sin da ieri il peluche preferito della palestrina rotante è l’orsetto. La lumaca gialla e rossa ha dovuto cedere il testimone. Il sorpasso dell’orsetto è stato netto. Era l’unico a catturare il sorriso di Alexander quando gli passava davanti. Gli altri due non erano più così interessanti.

Pensiamo che Alexander sia all’inizio di una nuova fase. Negli ultimi giorni lo vediamo scoprire sempre di più le sue mani. Sempre più frequentemente prova ad afferrare gli oggetti che ha nel campo visivo. Le gambe sono anche molto più mobili. Gli addominali stanno diventando più forti, per cui riesce a sollevare entrambe le gambe.

Le chiacchierate quando lo cambiamo diventano sempre più articolate. Sperimenta nuovi suoni e combinazioni di pressione sulle corde vocali, apertura della bocca e utilizzo della lingua.

Oggi l’abbiamo visto (e filmato!) per la prima volta mentre esercitava tutte queste nuove skills con l’orsetto della palestrina.

Il sole scende calmo per andare a riposare. I suoi raggi caldi si infiltrano tra le veneziane mezzo abbassate. Dalla cucina, mentre lavo il biberon, guardo mia moglie filmare Alexander senza distrarlo.

La stanchezza scompare. Gli occhi brillano, il cuore si apre.

Di nuovo quella sensazione di contentezza.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Blog da neopapà: i primi 30 giorni

Un blog da neopapà. Il mio blog da neopapà.

Scrivere è una costante nella mia vita. Da sempre. Tradurre in parole avvenimenti, sensazioni, emozioni e ricordi. Fissarli nel tempo e nello spazio. Nella mia mente e nel mio cuore.

Non ho scritto mai per gli altri, ma sempre per me stesso. Una sorta di bisogno atavico di lasciare il mio segno. Una prova del mio passaggio.

Da diversi anni tengo un diario personale. Una macchina del tempo perfettamente funzionante. Posso rileggere cosa ho fatto il 12 settembre del 2017. Cosa pensavo il 23 febbraio del 2021. Come mi sentivo il giorno della discussione della mia ultima laurea.

Poter rivivere il proprio passato così dettagliatamente è un privilegio. Ed io questo privilegio volevo donarlo anche a mio figlio Alexander.

Ci ho messo un po’ per convincermi. Ho vinto il perfezionismo e ho semplicemente iniziato a scrivere. Ho stabilito che ogni giorno sarei andato alla ricerca di un avvenimento, una riflessione, un ricordo o un’esperienza e ne avrei scritto. Senza pormi limiti o soprattutto aspettative. L’unica condizione era quella di dover trovare almeno 1 cosa di cui scrivere.

Con oggi ho scritto 30 giorni di seguito sul mio blog da neopapà.

I primi giorni è stata dura. Sembravo un giornalista a caccia dello scoop. Del pezzo sensazionale. Non sapevo bene dove guardare.

Poi ho iniziato a cambiare il modo di cercare. Per cercare bene, ho cambiato il modo di guardare alla mia vita.

Ho mollato il telefono e preso in mano i libri. Spento la tv e ascoltato musica. Aggiornato ogni giorno il mio diario (nel frattempo divenuto digitale, ne scriverò prima o poi). Ripreso la corsa, il nuoto e la bici.

Ed è lì che è successa la magia.

È stato come fare uno zoom in cui lo spazio-tempo cessa di strapazzarmi. Mi sentivo come un’astronauta in assenza di gravità. Un osservatore della mia stessa vita. Giornate che prima mi sembravano un susseguirsi di impegni, cose da fare, cose che la gente si aspettava da me, cose che io credevo che la gente si aspettasse da me, sono diventate vuote di cose e piene di…vita.

Tanta vita.

Quella vita che “succede mentre sei impegnato a fare altro”, come disse qualcuno. Quella vita che ho voluto fissare, per donarla un giorno a mio figlio. Perché lo sappiamo tutti che in fondo, quello che conta veramente, quello che rimane, è il l’amore condiviso nel tempo vissuto insieme.

Questo, nel mio piccolo, è il mio modo di donare il tempo a mio figlio.

Qui trovi tutti i post:

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FOMO e complicità

Stamattina è iniziata…più tardi del previsto. Ieri avevo stabilito con Carolien che sarei andato a nuotare alle 8. Poi sarei andato in biblioteca a lavorare ad un articolo, per tornare verso l’ora di pranzo. Avremmo mangiato e poi Carolien sarebbe andata a pattinare.

Sono sceso alle 03:45 con Alexander, per risalire dopo un’ora abbondante. Non riuscivo a prendere sonno, quindi mi sono messo a leggere. Verso le 05:30 mi sono riaddormentato. Sveglia alle 06:30. Colazione verso le 7. In macchina alle 07:45. Questo era il piano.

Chiudo gli occhi e li riapro dopo un secondo. Sono le 09:50.

Fortunatamente c’era un altro turno dalle 11 in piscina. Carolien mi ha spinto ad andare sia a nuotare che in biblioteca. “Domani sarò io tutto il pomeriggio fuori, quindi è più che giusto che tu sia più libero oggi. Posso andare giovedì a pattinare” mi ha detto. Sono stato molto felice di sentire questa complicità.

Sto lavorando ad un articolo sulla FOMO, Fear of missing out. Durante le ricerche preliminari, ho potuto evidenziare dinamiche che ritrovo anche nella mia esperienza. Come ad esempio la difficoltà a rimanere nel momento presente.

Da quando sono a casa con Carolien e Alexander, ho avuto modo di riflettere parecchio sul mio rapporto con i social e il telefono. Lasciare tutto ciò che avevo costruito in Italia e ricominciare letteralmente da zero in un Paese sconosciuto con una lingua sconosciuta non è stata esattamente una passeggiata.

Anzi.

Ho avuto momenti in cui sono stato male, ho sofferto. Ho temuto di aver fatto la scelta sbagliata. La solitudine era un rumore di fondo che intaccava le mie giornate. I social media mi sembravano l’unica maniera per rimanere in contatto con un mondo che conoscevo bene, ma che non frequentavo più.

Mai scelta fu più sbagliata. E dannosa.

Oggi ho modificato drasticamente il mio rapporto con i social ed il telefono e questo mi permette di essere più presente nel tempo che passiamo insieme. Succedono così tante cose ogni giorno! Cose che al momento ci sembrano insignificanti. Le stesse cose che rimpiangeremo tra 10, 20 o 30 anni. Cose che vorremmo aver vissuto diversamente.

Ecco, io ho deciso di prendere un’altra strada. Non voglio fare più quell’errore.

D’ora in avanti avrò paura di perdermi i momenti possibili con la mia famiglia. Questa sarà l’unica FOMO da cui non vorrò mai guarire.

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Il sonno del neonato

Per il ciclo “Le prime volte” presentiamo oggi: DORMIRE PER LA PRIMA VOLTA IN CAMERETTA DA SOLO.
Protagonista: Alexander Maugliani. Comprotagonisti: Moreno e Carolien.

 

Da quando siamo arrivati a casa, Alexander ha sempre dormito in una piccola culla accanto al nostro letto. Questo per facilitare l’allattamento che doveva esserci ogni due o tre ore.

Negli ultimi giorni abbiamo iniziato a chiederci se non fosse il caso di iniziare a far dormire Alexander nella sua cameretta. Ieri sera ci siamo decisi. Dopo l’ultimo biberon, l’abbiamo messo nel suo lettino. La sua camera si trova di fronte alla nostra. Per tenere meglio la situazione  sotto controllo, abbiamo montato il babyphone sull’armadio, così da inquadrare bene il letto. È un modello molto comodo. Ha visione notturna e il microfono per parlare e ascoltare La telecamera può ruotare in orizzontale e verticale.

Inutile mentire: non è stato facilissimo. Lo schermo del babyphone era sul comodino di Carolien. Un paio di volte ci siamo ritrovati insieme a sbirciarne lo schermo per vedere cosa stesse facendo.

Lui non sembra aver sentito la differenza. Ha pianto un paio di volte, cosa che succedeva anche quando dormiva accanto a noi. Punto a sfavore è che ovviamente ora bisogna alzarsi e andare in un’altra stanza anche solo per rimettergli il ciuccio o riaccompagnarlo in una nuova fase del sonno.

A proposito di fasi del sonno. L’idea che il neonato debba dormire tante ore di filato è sbagliata. Certo, dopo mesi di privazione del sonno, suona bene come la Pastorale di Beethoven. Ma rimane sbagliata.

Il neonato dorme tra le 15 e le 20 ore al giorno. Il sonno per il neonato ha diverse funzioni:

– favorisce lo sviluppo cerebrale
– rafforza il sistema immunitario
– stimola la produzione dell’ormone della crescita
– rafforza i processi cognitivi, la memoria e l’apprendimento

Così come per noi adulti, il sonno è composto da diversi cicli. Per gli adulti durano tra i 90 e i 120 minuti. Per i neonati un ciclo dura 1 ora. Per di più, quando si sveglia il neonato ha difficoltà a riaddormentarsi da solo. Ha bisogno dell’adulto per essere rassicurato e potersi riaddormentare. Questo a che fare tra le altre cose con la permanenza dell’oggetto di Piaget.

Lasciare piangere un bambino che si è svegliato non è una buona idea. Philippa Perry in “Il libro che avresti voluto che i tuoi genitori avessero letto(se trovi il titolo lungo, prova ad immaginartelo in olandese…) sostiene che l’ignorare il pianto dei neonati può propiziare degli squilibri comportamentali in età più avanzata. Il bambino può sviluppare la tendenza a sentirsi ignorato, oppure a credere di dover fare molto rumore per ottenere attenzione. Nei casi peggiori può arrivare anche a credere di non essere abbastanza, o che le sue aspettative non meritano di essere soddisfatte.

È bene tenerne conto quindi. Un neonato non piange mai per fare dispetto o perché viziato. È difficile accettarlo con due ore e mezza di sonno, ma rimane la verità. È una fase che passerà, una fase fondamentale per lo sviluppo del bambino.

Abbiamo notato che Alexander la notte riesce a dormire anche quattro o cinque ore senza svegliarsi. Durante il giorno invece si sveglia effettivamente ogni ora.

È quasi ora di andare a letto. Si prospetta un’altra notte davanti allo schermo del babyfono?

La risposta alla prossima puntata!

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Permanenza dell’oggetto e lumaca gialla e rossa

Il sostegno di plastica verde è montato al lato corto del box. All’estremità superiore è appesa un’elica da cui pendono 3 peluche. Tramite dei pulsanti si può accendere la musica, avviare la rotazione dell’elica e proiettare delle luci sul soffitto. Da quando l’abbiamo montato, Alexander non fa altro che guardare questo giocattolo, anche quando è spento.

Nel pomeriggio, dopo il biberon, l’ho messo nel box e ho avviato l’elica senza musica. La velocità di rotazione è perfetta, né troppo veloce né troppo lenta. I tre peluche sono un’orsetto marrone, un uccellino celeste e una lumaca gialla e rossa. Quest’ultima è la preferita di Alexander. Ogni volta che entra nel suo campo visivo si eccita e si muove tutto. Appena ne esce, è come se non esistesse più.

Questo ha a che fare con la permanenza dell’oggetto studiata da Piaget. Il bambino non ha ancora la capacità cognitiva di riconoscere che un oggetto (o persona) continui ad esistere anche se fuori dal campo visivo. È la stessa dinamica per cui piange quando lo mettiamo nel box o a letto e ci allontaniamo. Nella sua esperienza, noi non esistiamo più e lui è stato abbandonato.

Oggi per la prima volta Alexander ha seguito un giro completo della lumaca gialla e rossa. Dall’inizio alla fine. Io lo osservavo senza farmi vedere, per non distrarlo.

Nei giorni scorsi avevo già notato che quando ci allontanavamo iniziava a seguirci con lo sguardo.

Naturalmente essere testimone di questa (seppur piccola) pietra miliare è stato bellissimo. Ma non è la cosa che mi ha colpito di più. È stato un pensiero che è scaturito mentre guardavo il modo in cui Alexander fissava la lumaca.

In quei momenti non esisteva nient’altro. L’atto di guardare ciò che lui in quel preciso momento riteneva interessante prendeva tutta la sua attenzione. Non c’era spazio per distrazioni. Dubbi.

Attenzione. Questa è la parola che ha continuato a ronzarmi in testa. Ci è rimasta perché sono mesi che lotto contro me stesso per riconquistarla.

Negli ultimi tempi ho la netta impressione di essere rinchiuso in una gabbia. La cosa che mi fa arrabbiare ancora di più, è dover ammettere che mi ci sono rinchiuso da solo. E ora non ritrovo più la chiave. Troppi stimoli, troppe cose a cui credo di dover prestare attenzione. Non riesco più a distinguere lucidamente cosa sia importante e cosa sembri essere importante.

Mai come negli ultimi giorni sono impegnato a disintossicarmi. Ho deciso di diminuire l’uso del telefono al minimo. Noto con piacere che i social diventano sempre meno attraenti. Dopo qualche minuto mi annoio e chiudo l’app. Una piccola conquista in questa guerra.

Sto leggendo molto di più. Sia libri normali che audiolibri. Quando allatto Alexander apro l’app Kindle e leggo (anche e soprattutto di notte). Quando devo cullarlo per farlo addormentare ascoltiamo insieme un audiolibro.

Quando sono a casa, quando sono con mia moglie e mio figlio, voglio esserci veramente. Non solo fisicamente.

Puoi dire lo stesso di te?

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L’importanza delle pause

Uno dei momenti pivot nella mia carriera musicale accadde in un’aula del Saint Louis College of Music, a Roma. Durante una lezione di sezione ritmica l’insegnante di basso, uno dei miei idoli, disse una cosa molto semplice:

«Le pause sono molto più importanti delle note suonate. Se saprete suonare bene le pause, saprete suonare bene a tempo.»

Rimasi profondamente colpito dall’efficacia di questo consiglio. Non ci avevo mai pensato. Come tutte le cose geniali, suonano ovvie e logiche una volta condivise.

Le pause sono importanti. Non bisogna averne paura o identificarle come mancanza di audacia o coraggio. Al contrario, saper suonare le pause richiede una buona dose di maturità e autoconsapevolezza.

Sono un sostenitore dei transfer cognitivi. Un fanatico sostenitore a dirla tutta. Ogni volta che imparo qualcosa di nuovo, arricchisco il mio sistema e vado subito alla ricerca di nuove applicazioni in contesti diversi.

Oggi Carolien è andata con Alexander da sua sorella. Suo marito era fuori e lei era a casa con i figli. È partita prima di pranzo. Dopo averla aiutata a caricare la carrozzina in macchina, l’ho baciata e sono salito sulla mia bici da corsa. Avrei pranzato a Zutphen e fatto un giro lungo prima di rientrare a casa.

All’inizio mi sono sentito quasi in colpa nel vederli andare. Poi ho ripensato all’importanza delle pause. Quella parole ascoltate dieci o quindici anni fa in un aula di scuola. Ho ripensato alla prima volta a casa da soli con Alexander.

Oggi sarebbe stata una giornata per me.

Non bisogna aver paura di queste sensazioni. Rendersi conto dei propri limiti è il primo passo per la crescita personale e dei rapporti con chi ci sta vicino. Siamo sicuri che stando 24/7 insieme solo perché “è così che si fa”, creiamo buoni rapporti? Oppure cediamo sempre più spesso al nervosismo, minandoli o peggio ancora instaurando dinamiche che si dispiegheranno più in là negli anni?

No grazie, preferisco suonare una bella pausa, pregustandomi la bellezza delle note che suonerò quando Carolien e Alexander saranno di nuovo a casa.

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Avremo un cuginetto!

Oggi Alexander ha compiuto 2 mesi. Sembra essere molto di più, a giudicare dalla stanchezza.

Per celebrare il suo complimese (Dio quanto odio questa parola, non posso credere che la stia usando), ha deciso di piangere tutto il giorno. In realtà non l’ha deciso perché non aveva di meglio da fare. Verosimilmente ha a che fare con il cambio di latte in polvere.

L’altro ieri abbiamo deciso di provare un altro tipo di latte in polvere, fatto a posta per evitare crampi e coliche. Alexander non era d’accordo, o meglio, la sua pancia aveva bisogno di tempo per digerire il cambiamento (simpatico eh?). La popò era diventata verde e più solida del normale. In più, Alexander si fermava a metà della poppata lamentandosi. Cosa che non succedeva mai.

Essendo questi i presupposti, è normale che fosse stranito oggi.

Abbiamo deciso di tornare al latte che usavamo prima. Una scelta che si è dimostrata azzeccata. Si è calmato, ha bevuto senza interruzioni e non si è lamentato più. Ha dormito talmente tanto che siamo riusciti a riposare sul divano anche noi.

La giornata si è conclusa con una notizia bellissima. Mia sorella e il compagno sono in dolce attesa. Stasera hanno comunicato a tutti che sarà un maschietto. Sappiamo già il nome ma non lo condividiamo prima che lo facciano i futuri genitori. Un nome bellissimo.

Qualche giorno fa ho avuto una sorta di illuminazione in cui ho chiaramente sentito che sarebbe stato un maschio.

Noi eravamo seduti sul divano, Alexander aveva quasi finito la poppata. Gliel’abbiamo detto subito.

Ho realizzato per la prima volta che dopo essere diventato padre, diventerò zio. Avrò un’altro pargoletto da viziare, incantare, far appassionare. Non vedo l’ora.

Come sempre i momenti di grande felicità portano con sé profonda tristezza. La tristezza di non poter condividere questo momento con nostra madre. Ma io lo so, così come è stato per Alexander, che lei sa già tutto. Che i suoi occhi dolci e pieni d’amore si saranno già posati su questa vita che sta crescendo.

La cercheremo come sempre e la sentiremo come sempre. Quando la tristezza colpirà, guarderemo i nostri figli.

L’ennesimo regalo che nostra madre ci ha fatto mettendoci al mondo.

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Ascoltare Schubert

Sin dalla gravidanza abbiamo ascoltato tanta musica con Alexander. Gli abbiamo parlato molto. Carolien rideva quando mi vedeva avvicinarmi per parlare alla pancia.

I primissimi giorni dopo il nostro arrivo a casa, abbiamo sempre usato la musica per sottolineare certi momenti. Il brano che abbiamo utilizzato di più anche durante la gravidanza è stato A Thousand years di Christina Perri. Avevamo (e abbiamo ancora) un peluche che suona la melodia di questo brano. La ascoltavamo spesso la sera dopo esserci messi a letto. Ricordo ancora la felicità che mi stringeva la gola, mentre stretti sotto le coperte sognavamo di conoscere il nostro bambino. Provavamo ad immaginarci il suo volto. A chi sarebbe assomigliato. Che carattere avrebbe avuto.

Appena arrivati a casa abbiamo cominciato ad ascoltare anche altri brani e composizioni. Una delle preferite di Alexander è l’impromptu n. 3 di Schubert. Lo suonavamo spesso ogni volta che volevamo rilassarci. Beethoven sembra anche piacergli, se non altro perché trovo qualsiasi scusa per ascoltarlo e farglielo ascoltare.

Stasera aveva mal di pancia. Dopo averlo preso in braccio come piace a lui e camminato avanti e indietro, ho ripensato a quel brano. Ho preso il telefono e ho cercato un’interpretazione di Daniel Barenboim. Non so quanto sia suggestione o proiezione, ma i suoi occhi hanno cambiato forma. Ho visto che aveva sentito qualcosa che richiamava alla mente altre sensazioni. Dei ricordi, se possibile.

Proviamo a stimolare tutti i sensi. Oltre alla musica, ascoltiamo insieme anche degli audiolibri. Al momento abbiamo quasi terminato Cime Tempestose. Ma abbiamo anche ascoltato De middernacht bibliotheek in olandese e Sapiens in inglese.

Dalla sorella di Carolien abbiamo ricevuto un libricino con delle immagini ad alto contrasto. Alexander ci va pazzo. Il tummy time è diventato di colpo più interessante.

Stamattina gli abbiamo anche montato la palestrina regalata da mia sorella e il suo compagno. Lo vediamo diventare sempre più attivo, curioso. È bellissimo da vedere.

Teniamo anche conto del riposo di cui ha bisogno. Teniamo il box il più vuoto possibile. I giochini li mettiamo solo quando è il momento di giocare. La radio la spegniamo molto più spesso. Creiamo tanti momenti di silenzio.

Come con tutto, cresciamo insieme. Insieme capiamo cosa ci serve. Insieme costruiamo nuove abitudini.

Insieme viviamo la nostra nuova vita.

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Freno a mano e Shaken baby

Oggi siamo andati a pranzo fuori. Io sono uscito un paio d’ore prima per andare a scrivere in biblioteca. Carolien e Alexander mi hanno raggiunto intorno alle 13:30. Abbiamo mangiato un ottimo carpaccio. Sicuramente da rifare. Il posto era molto bello, cucina aperta e personale giovane. Qualità del cibo veramente ottima.

Sin dalle prime settimane siamo usciti spesso con Alexander. Lo abbiamo portato a feste, pranzi e inaugurazioni. Vogliamo che si abitui a stare in mezzo alla gente e ai rumori. Oggi è stato bravissimo. Questa volta ci ha lasciato mangiare (di solito la pensa diversamente…) per poi prendere il biberon.

Dopo pranzo ci siamo fatti un giro per il centro, poi dopo un gelato da Talamini ci siamo divisi. Io sono andato a prendere la bici, Carolien e Alexander sono tornati alla macchina. Ero quasi arrivato a casa e vedo la chiamata di Carolien.

«C’è stato un incidente qui nel parcheggio, siamo ancora dentro. Alexander inizia a piangere.» Mi dice.
«Devo tornare indietro?» chiedo preoccupato.
«Non c’è bisogno. Qualcuno ha avuto la brillante idea di lasciare la macchina parcheggiata senza freno a mano e marcia inserita. La macchina si è sfrenata ed è andata a sbattere contro un’altra macchina parcheggiata. Ora stanno sgomberando.»
«Incredibile. E il proprietario della macchina?»
«Non c’è. Ora devo riattaccare, Alexander è ancora più arrabbiato.»

Quando sono arrivati a casa, Carolien mi ha raccontato che Alexander ha pianto per tutto il tragitto, dal garage a casa. Si è calmato solo quando sono rientrati a casa.

Resistere al pianto di un bambino richiede moltissima energia. Non bisogna sottovalutare la stanchezza che ne deriva. Questa, in combinazione con la stanchezza da privazione del sonno, può essere molto nociva per la salute dei genitori e quindi del bambino.

L’infermiera che è venuta ad aiutarci la prima settimana dopo la nascita ci ha spiegato che quando il bambino piange e non c’è modo di riuscire a calmarlo, è meglio darlo al partner oppure addirittura ai vicini, nonni o quant’altro. Qualora non fosse possibile, metterlo in un’altra stanza ed allontanarsi. Buona parte dei casi di shaken baby vengono proprio dal non seguire questo consiglio.

Come sempre, parlare ed aprirsi può aiutare a superare questi periodi. Non riuscire a calmare un bambino non vuol dire essere un cattivo genitore. Tutti i (neo) genitori hanno a che fare con crisi di pianto che sembrano infinite. Confrontarsi aiuta tutti.

Carolien è molto brava a chiudersi in una bolla e farsi scivolare addosso il pianto di Alexander. Io faccio del mio meglio per imparare da lei.

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Un caffè alla casa di riposo

«Sai cosa sarebbe bello fare?» mi dice Carolien mentre ci avviciniamo alla macchina, «Andare a prendere un caffè lì.» Siamo appena usciti dallo studio della pediatra. Carolien mi indica con lo sguardo il bar della casa di riposo che si trova nello stesso edificio. «Ne sarebbero felicissimi. Che ne dici?» mi dice sorridendo.
«Dico che è una bellissima idea. Lo facciamo al prossimo appuntamento?» rispondo.

Quell’appuntamento c’è stato oggi alle 11:15. Alexander cresce bene. Pesa 4665 grammi ed è lungo 54,7 centimetri. Tutti i parametri rientrano nelle curve di riferimento. Notiamo un cambiamento nel suo comportamento. Prendendo 120ml di latte riesce a resistere tre ore prima di avere di nuovo fame. Essendo più sazio, dorme più a lungo. Ha bisogno di contatto, soprattutto per addormentarsi. Ora preferisce stare su un fianco. Si rannicchia tutto e gli piace se lo avvolgi con le braccia. Nei momenti di veglia è attivo, si guarda attorno con interesse e inizia a seguirci con lo sguardo. Durante il cambio-pannolino ci facciamo delle chiacchierate lunghissime.

La visita dura una mezz’ora. Usciamo dallo studio medico ed entriamo al bar della casa di riposo. Ci riceve una donna. Mezza età, capelli castano chiaro, un po’ di trucco. Le rughe formano un viso gentile ma abituato a dare ordini.

«Per chi siete venuti?»
«Ehm, in realtà per nessuno in particolare», risponde Carolien, «vorremmo prendere un caffè se possibile»
«Ma certo! Devo solo chiedervi di sedervi da quel lato della sala. I nostri ospiti stanno per pranzare.»
«Nessun problema. Ci dica lei dove.»
«Quel tavolo va bene, potete accomodarvi lì», ci dice indicando il tavolo vicino al bancone.

Poggio il seggiolino a terra e prendo Alexander in braccio. Una signora ci fissa sin dal nostro arrivo. Mi giro verso di lei e le sorrido. Come se non aspettasse altro inizia a parlarci. Mi avvicino con Alexander che nel frattempo si era addormentato.

«Ma che bel bambino! Deve essere ancora piccolo. Quanto ha?» ci chiede. Le sue mani nodose accarezzano i piedini di Alexander. Lui pare non accorgersi di niente, continua a dormire beato.
«8 settimane.» rispondo sorridendo.
«Oh, che piccolino. Ma è veramente bello, sa?»
«Grazie mille signora.» dice Carolien avvicinandosi. «Lei ha figli?»
«Si si, 4 figli. E tanti nipoti.»

Di fronte a lei siede una signora sulla sedia a rotelle. «Posso tenerlo in braccio?» ci chiede senza mezzi termini. Io e Carolien ci guardiamo. «Ho 90 anni e so bene come si fa.» ci dice sorridendo.
Preferiamo glissare, se lo facessimo con lei, dovremmo farlo con tutti gli ospiti. Ospiti che nel frattempo si sono accorti della novità. Ci guardano sorridendo, invitandoci ad avvicinarci.

La donna che ci aveva accolto ci raggiunge. «Il caffè è pronto ed è sul tavolo. Ma se volete fare un giro e fare vedere il bambino, fate pure. Non succede così spesso e a vederli, sono tutti curiosissimi.»

Continuiamo il giro dei tavoli. Alexander continua pacioso a dormire.
«Come si chiama?» ci chiede un viso dolce incastonato in lunghi capelli grigi.
«Alexander.» rispondo.
«Come mio figlio!» gli occhi diventano grandi, pieni di orgoglio, ricordi, amore, vita.

Arriva una signora sulla sedia a rotelle accompagnata da un’infermiera.
«Buon pomeriggio» ci augura educata. La classe di una generazione passata.
«Salve signora, buon pomeriggio a lei» rispondiamo sorridendo. L’attenzione si sposta direttamente su Alexander, che nel frattempo si è svegliato.
«Ma che bel bambino, come si chiama?»
Iniziamo a chiacchierare. La signora è gentile. Le piace parlare. A volte dobbiamo ripetere le domande.
«Quanti anni ha signora?» chiede Carolien. Lei sembra doverci pensare un po’. L’infermiera le ripete la domanda e le suggerisce la risposta.
«102» ci risponde. Gli occhi le brillano.
«Ha figli?» le chiediamo ammirati.
«Due figli, un maschio ed una femmina»
Continuiamo a chiacchierare del più e del meno. Ci guardiamo attorno, tutti gli ospiti mormorano felici tra loro, guardandoci.

Poi arriva il colpo al cuore.

Inaspettato ma logico, col senno di poi. Ci avviciniamo a due signore sedute al tavolo vicino la finestra. Una delle due attira subito la mia attenzione. Capelli corti, guance piene, mento piccolo. Bocca piccola ma carnosa. Gli occhi vispi, ma velati di un qualcosa che non so definire.

Qualcuno mi scaraventa in un abisso. Qualcuno che si è tenuto il mio stomaco e lo stringe disinteressato.

Somiglia a mia madre.

Mi giro e tutte le donne sedute lì sembrano somigliare a mia madre. Poi capisco.

Il pensiero che io non vedrò mai mia madre anziana mi trafigge. Gli occhi si riempiono di lacrime e la gola si chiude. Provo a mascherarlo ma non ci riesco. Penso al tempo. A quanto tempo non abbiamo avuto. A quanto ne abbiamo avuto. A come sarebbe stato. Un flusso di ricordi mi affolla la mente. L’uno dopo l’altro vanno ad incastonarsi nel mosaico del mio dolore.

Mi giro verso Carolien e le chiedo di prendere Alexander. Mi allontano per ricompormi.

Il riflesso del sole sul vetro di una macchina che passa fuori mi distrae. Riprendo lentamente contatto con la realtà. Mi guardo intorno e vedo solo sorrisi. Tanti sorrisi pieni di gratitudine. Il dolore si fa più sopportabile.

Un gesto semplice come prendere un caffè ha generato tutti questi sorrisi. Sono sicuro che lassù un altro sorriso pieno di amore si sarà acceso per l’ennesima volta.