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Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Ascoltare Schubert

Sin dalla gravidanza abbiamo ascoltato tanta musica con Alexander. Gli abbiamo parlato molto. Carolien rideva quando mi vedeva avvicinarmi per parlare alla pancia.

I primissimi giorni dopo il nostro arrivo a casa, abbiamo sempre usato la musica per sottolineare certi momenti. Il brano che abbiamo utilizzato di più anche durante la gravidanza è stato A Thousand years di Christina Perri. Avevamo (e abbiamo ancora) un peluche che suona la melodia di questo brano. La ascoltavamo spesso la sera dopo esserci messi a letto. Ricordo ancora la felicità che mi stringeva la gola, mentre stretti sotto le coperte sognavamo di conoscere il nostro bambino. Provavamo ad immaginarci il suo volto. A chi sarebbe assomigliato. Che carattere avrebbe avuto.

Appena arrivati a casa abbiamo cominciato ad ascoltare anche altri brani e composizioni. Una delle preferite di Alexander è l’impromptu n. 3 di Schubert. Lo suonavamo spesso ogni volta che volevamo rilassarci. Beethoven sembra anche piacergli, se non altro perché trovo qualsiasi scusa per ascoltarlo e farglielo ascoltare.

Stasera aveva mal di pancia. Dopo averlo preso in braccio come piace a lui e camminato avanti e indietro, ho ripensato a quel brano. Ho preso il telefono e ho cercato un’interpretazione di Daniel Barenboim. Non so quanto sia suggestione o proiezione, ma i suoi occhi hanno cambiato forma. Ho visto che aveva sentito qualcosa che richiamava alla mente altre sensazioni. Dei ricordi, se possibile.

Proviamo a stimolare tutti i sensi. Oltre alla musica, ascoltiamo insieme anche degli audiolibri. Al momento abbiamo quasi terminato Cime Tempestose. Ma abbiamo anche ascoltato De middernacht bibliotheek in olandese e Sapiens in inglese.

Dalla sorella di Carolien abbiamo ricevuto un libricino con delle immagini ad alto contrasto. Alexander ci va pazzo. Il tummy time è diventato di colpo più interessante.

Stamattina gli abbiamo anche montato la palestrina regalata da mia sorella e il suo compagno. Lo vediamo diventare sempre più attivo, curioso. È bellissimo da vedere.

Teniamo anche conto del riposo di cui ha bisogno. Teniamo il box il più vuoto possibile. I giochini li mettiamo solo quando è il momento di giocare. La radio la spegniamo molto più spesso. Creiamo tanti momenti di silenzio.

Come con tutto, cresciamo insieme. Insieme capiamo cosa ci serve. Insieme costruiamo nuove abitudini.

Insieme viviamo la nostra nuova vita.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Freno a mano e Shaken baby

Oggi siamo andati a pranzo fuori. Io sono uscito un paio d’ore prima per andare a scrivere in biblioteca. Carolien e Alexander mi hanno raggiunto intorno alle 13:30. Abbiamo mangiato un ottimo carpaccio. Sicuramente da rifare. Il posto era molto bello, cucina aperta e personale giovane. Qualità del cibo veramente ottima.

Sin dalle prime settimane siamo usciti spesso con Alexander. Lo abbiamo portato a feste, pranzi e inaugurazioni. Vogliamo che si abitui a stare in mezzo alla gente e ai rumori. Oggi è stato bravissimo. Questa volta ci ha lasciato mangiare (di solito la pensa diversamente…) per poi prendere il biberon.

Dopo pranzo ci siamo fatti un giro per il centro, poi dopo un gelato da Talamini ci siamo divisi. Io sono andato a prendere la bici, Carolien e Alexander sono tornati alla macchina. Ero quasi arrivato a casa e vedo la chiamata di Carolien.

«C’è stato un incidente qui nel parcheggio, siamo ancora dentro. Alexander inizia a piangere.» Mi dice.
«Devo tornare indietro?» chiedo preoccupato.
«Non c’è bisogno. Qualcuno ha avuto la brillante idea di lasciare la macchina parcheggiata senza freno a mano e marcia inserita. La macchina si è sfrenata ed è andata a sbattere contro un’altra macchina parcheggiata. Ora stanno sgomberando.»
«Incredibile. E il proprietario della macchina?»
«Non c’è. Ora devo riattaccare, Alexander è ancora più arrabbiato.»

Quando sono arrivati a casa, Carolien mi ha raccontato che Alexander ha pianto per tutto il tragitto, dal garage a casa. Si è calmato solo quando sono rientrati a casa.

Resistere al pianto di un bambino richiede moltissima energia. Non bisogna sottovalutare la stanchezza che ne deriva. Questa, in combinazione con la stanchezza da privazione del sonno, può essere molto nociva per la salute dei genitori e quindi del bambino.

L’infermiera che è venuta ad aiutarci la prima settimana dopo la nascita ci ha spiegato che quando il bambino piange e non c’è modo di riuscire a calmarlo, è meglio darlo al partner oppure addirittura ai vicini, nonni o quant’altro. Qualora non fosse possibile, metterlo in un’altra stanza ed allontanarsi. Buona parte dei casi di shaken baby vengono proprio dal non seguire questo consiglio.

Come sempre, parlare ed aprirsi può aiutare a superare questi periodi. Non riuscire a calmare un bambino non vuol dire essere un cattivo genitore. Tutti i (neo) genitori hanno a che fare con crisi di pianto che sembrano infinite. Confrontarsi aiuta tutti.

Carolien è molto brava a chiudersi in una bolla e farsi scivolare addosso il pianto di Alexander. Io faccio del mio meglio per imparare da lei.

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Un caffè alla casa di riposo

«Sai cosa sarebbe bello fare?» mi dice Carolien mentre ci avviciniamo alla macchina, «Andare a prendere un caffè lì.» Siamo appena usciti dallo studio della pediatra. Carolien mi indica con lo sguardo il bar della casa di riposo che si trova nello stesso edificio. «Ne sarebbero felicissimi. Che ne dici?» mi dice sorridendo.
«Dico che è una bellissima idea. Lo facciamo al prossimo appuntamento?» rispondo.

Quell’appuntamento c’è stato oggi alle 11:15. Alexander cresce bene. Pesa 4665 grammi ed è lungo 54,7 centimetri. Tutti i parametri rientrano nelle curve di riferimento. Notiamo un cambiamento nel suo comportamento. Prendendo 120ml di latte riesce a resistere tre ore prima di avere di nuovo fame. Essendo più sazio, dorme più a lungo. Ha bisogno di contatto, soprattutto per addormentarsi. Ora preferisce stare su un fianco. Si rannicchia tutto e gli piace se lo avvolgi con le braccia. Nei momenti di veglia è attivo, si guarda attorno con interesse e inizia a seguirci con lo sguardo. Durante il cambio-pannolino ci facciamo delle chiacchierate lunghissime.

La visita dura una mezz’ora. Usciamo dallo studio medico ed entriamo al bar della casa di riposo. Ci riceve una donna. Mezza età, capelli castano chiaro, un po’ di trucco. Le rughe formano un viso gentile ma abituato a dare ordini.

«Per chi siete venuti?»
«Ehm, in realtà per nessuno in particolare», risponde Carolien, «vorremmo prendere un caffè se possibile»
«Ma certo! Devo solo chiedervi di sedervi da quel lato della sala. I nostri ospiti stanno per pranzare.»
«Nessun problema. Ci dica lei dove.»
«Quel tavolo va bene, potete accomodarvi lì», ci dice indicando il tavolo vicino al bancone.

Poggio il seggiolino a terra e prendo Alexander in braccio. Una signora ci fissa sin dal nostro arrivo. Mi giro verso di lei e le sorrido. Come se non aspettasse altro inizia a parlarci. Mi avvicino con Alexander che nel frattempo si era addormentato.

«Ma che bel bambino! Deve essere ancora piccolo. Quanto ha?» ci chiede. Le sue mani nodose accarezzano i piedini di Alexander. Lui pare non accorgersi di niente, continua a dormire beato.
«8 settimane.» rispondo sorridendo.
«Oh, che piccolino. Ma è veramente bello, sa?»
«Grazie mille signora.» dice Carolien avvicinandosi. «Lei ha figli?»
«Si si, 4 figli. E tanti nipoti.»

Di fronte a lei siede una signora sulla sedia a rotelle. «Posso tenerlo in braccio?» ci chiede senza mezzi termini. Io e Carolien ci guardiamo. «Ho 90 anni e so bene come si fa.» ci dice sorridendo.
Preferiamo glissare, se lo facessimo con lei, dovremmo farlo con tutti gli ospiti. Ospiti che nel frattempo si sono accorti della novità. Ci guardano sorridendo, invitandoci ad avvicinarci.

La donna che ci aveva accolto ci raggiunge. «Il caffè è pronto ed è sul tavolo. Ma se volete fare un giro e fare vedere il bambino, fate pure. Non succede così spesso e a vederli, sono tutti curiosissimi.»

Continuiamo il giro dei tavoli. Alexander continua pacioso a dormire.
«Come si chiama?» ci chiede un viso dolce incastonato in lunghi capelli grigi.
«Alexander.» rispondo.
«Come mio figlio!» gli occhi diventano grandi, pieni di orgoglio, ricordi, amore, vita.

Arriva una signora sulla sedia a rotelle accompagnata da un’infermiera.
«Buon pomeriggio» ci augura educata. La classe di una generazione passata.
«Salve signora, buon pomeriggio a lei» rispondiamo sorridendo. L’attenzione si sposta direttamente su Alexander, che nel frattempo si è svegliato.
«Ma che bel bambino, come si chiama?»
Iniziamo a chiacchierare. La signora è gentile. Le piace parlare. A volte dobbiamo ripetere le domande.
«Quanti anni ha signora?» chiede Carolien. Lei sembra doverci pensare un po’. L’infermiera le ripete la domanda e le suggerisce la risposta.
«102» ci risponde. Gli occhi le brillano.
«Ha figli?» le chiediamo ammirati.
«Due figli, un maschio ed una femmina»
Continuiamo a chiacchierare del più e del meno. Ci guardiamo attorno, tutti gli ospiti mormorano felici tra loro, guardandoci.

Poi arriva il colpo al cuore.

Inaspettato ma logico, col senno di poi. Ci avviciniamo a due signore sedute al tavolo vicino la finestra. Una delle due attira subito la mia attenzione. Capelli corti, guance piene, mento piccolo. Bocca piccola ma carnosa. Gli occhi vispi, ma velati di un qualcosa che non so definire.

Qualcuno mi scaraventa in un abisso. Qualcuno che si è tenuto il mio stomaco e lo stringe disinteressato.

Somiglia a mia madre.

Mi giro e tutte le donne sedute lì sembrano somigliare a mia madre. Poi capisco.

Il pensiero che io non vedrò mai mia madre anziana mi trafigge. Gli occhi si riempiono di lacrime e la gola si chiude. Provo a mascherarlo ma non ci riesco. Penso al tempo. A quanto tempo non abbiamo avuto. A quanto ne abbiamo avuto. A come sarebbe stato. Un flusso di ricordi mi affolla la mente. L’uno dopo l’altro vanno ad incastonarsi nel mosaico del mio dolore.

Mi giro verso Carolien e le chiedo di prendere Alexander. Mi allontano per ricompormi.

Il riflesso del sole sul vetro di una macchina che passa fuori mi distrae. Riprendo lentamente contatto con la realtà. Mi guardo intorno e vedo solo sorrisi. Tanti sorrisi pieni di gratitudine. Il dolore si fa più sopportabile.

Un gesto semplice come prendere un caffè ha generato tutti questi sorrisi. Sono sicuro che lassù un altro sorriso pieno di amore si sarà acceso per l’ennesima volta.

   

Foto di ciottoli sul bordo di un fiume

Sport e lentezza

La lampada col fusto in legno fa da sentinella in mezzo a due finestre. Le veneziane bianche sono tirate giù. Il sole si rilassa nel fresco della sera, un altro turno è quasi giunto al termine. Il parquet chiaro si sposa benissimo con il bianco delle pareti. Insieme offrono un piacevole contrasto all’unica parete tinta di verde pastello. Le mensole marrone scuro sorreggono ricordi della nostra vita fino ad ora. Dal divano quattro cuscini ci guardano camminare lentamente avanti e indietro.

Indossi una tutina verde scuro. Hai appena mangiato e mi guardi con degli occhi così grandi che potrei annegarci dentro. Negli ultimi giorni ricerchi molto di più il contatto fisico. Hai bisogno di sentirti avvolto da noi. È una fase che si passa intorno alle 8 settimane.

E io ti avvolgo tra le mie braccia. È una sensazione così bella.

Oggi è stata una giornata all’insegna dello sport. Stamattina, dopo averti dato il biberon, sono uscito con la bici da corsa. Erano troppe settimane che non lo facevo. Ho sottovalutato l’overtraining e sono dovuto stare fermo più di quanto avrei voluto. Ho fatto un bel giro. Sono arrivato al Castello Cannenburch in  Vaassen, nella provincia di Gelderland. La temperatura era perfetta e non c’era quasi nessuno in giro. Sono rientrato dopo 56 chilometri con una voglia matta di riuscire di nuovo. Mi mancava sentirmi così. Non vedo l’ora che tu cresca per andare in bici insieme.

Dopo pranzo tua madre ha inforcato i pattini in linea. È tornata dopo 12.5 chilometri. Al suo ritorno tu dormivi. Lei è andata a farsi una doccia veloce mentre io ho portato fuori Truus.

Verso le 18 ho acceso il barbecue. Con l’audiolibro di Wuthering Heights nelle orecchie ho tagliato con cura melanzane e zucchine e preparato la carne. La cena è stata deliziosa.

A piedi scalzi calibro ogni singolo passo con accuratezza.  Tu mi guardi e ogni tanto mi lanci dei sorrisi da dietro il ciuccio. Pochi passi più in là, tua madre si rilassa in giardino con una bella canzone ed un libro. Faccio dei respiri profondi, come se volessi trattenere dentro di me l’immensa sensazione di contentezza che la lentezza di questi momenti porta con sé.

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Churros e cambio pannolini

La giornata di ieri è stata tanto bella quanto stancante, per tutti e tre. La nottata non ci ha aiutato a recuperare. Stamattina sia io che Carolien eravamo ancora stanchi.

Intorno alle 8 settimane il neonato passa (o si prepara a passare) ad una nuova fase. Inizia a scoprire e utilizzare patterns che riguardano sensazioni o movimenti che può fare. Le mani non sono più delle cose che a volte passano come meteore nel proprio campo visivo. Rispondono a dei comandi. Possono afferrare cose. Con la voce si possono produrre diversi suoni. Il viso può produrre diverse espressioni. Il labbro inferiore può diventare un arma di convinzione di massa, se piegato nella giusta maniera.

Il neonato riconosce la mamma e il papà e inizia a preferirli alle altre persone che non vede tutto il giorno. Il periodo di tempo in braccio a qualcun altro si riduce considerevolmente. In questa fase è normale che pianga di più.

Il problema è che questo arriva dopo 8 settimane di sistematica privazione del sonno dei genitori. Posso assicurarti che non è una passeggiata.

Non riuscendo a dormire bene, la stanchezza si accumula e la resistenza a stimoli esterni diminuisce. Ho letto di genitori che scoppiano a piangere insieme ai bambini. Non siamo arrivati fino a questo punto, ma comprendo molto bene quella sensazione di impotenza.

Ho già scritto della privazione del sonno e dell’importanza della comunicazione con il partner. Bene, in questa fase rimanere in contatto è ancora più importante.

Io e Carolien ci facciamo forza a vicenda. Interveniamo subito quando l’altro è in difficoltà. Rinunciamo a piccole libertà in cambio della gioia infinita che ci da un sorriso inaspettato, o un visetto rilassato che riposa tranquillamente.

Stiamo prendendo altre abitudini, una delle quali è abbastanza singolare: abbiamo un set con cuscino, pannolini e salviette umidificate nel salone di sotto, per non dover andare di sopra quando c’è bisogno di cambiare Alexander. Il nostro piano di lavoro è il tavolo, con beneplacito delle nostre schiene.

Per qualche ragione che non sappiamo spiegare, Alexander ama quel posto. È l’unica volta in cui lo metti giù e non piange o si calma se sta piangendo.

Negli ultimi giorni lo lasciamo sempre più spesso sul cuscino, in mezzo al tavolo, anche dopo averlo cambiato.

Stasera abbiamo mangiato dei churros seduti al tavolo, con Alexander sdraiato nel mezzo.

Guardavo lui muoversi alla scoperta di quelle cose buffe attaccate alle braccia, mentre inscenava un monologo con la lampada attaccata al soffitto.

Poi spostavo lo sguardo su mia moglie. I nostri sguardi stanchi annullati da quella manifestazione d’amore che avevamo davanti a noi, sul tavolo della cucina.

Domenica sera, ore 20:35.

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La prima volta a casa da soli

Oggi siamo stati per la prima volta a casa da soli. Carolien è andata con una sua cara amica al Volkspark Festival ad Enschede. È partita subito dopo pranzo. Tornerà a casa stanotte tardi.

Non rinunciare alla vita “normale” è una delle promesse che io e Carolien ci siamo fatti. Non vogliamo assolutamente diventare una di quelle coppie che disdice tutti gli appuntamenti o rifiuta di fare cose che prima della gravidanza avrebbe fatto con piacere.

L’idea del genitore che sta a casa, fa da mangiare, fa il bucato e va a letto alle 21 è anacronistica, oltre che fallata. I genitori continuano ad avere una propria vita anche dopo l’arrivo di un figlio. Questo è un dato di fatto che va accettato senza dubbio alcuno.

Inizio dalla fine: è stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.

La vita con un neonato di quasi otto settimane è costruita su blocchi di tre ore. In teoria, questo è l’intervallo di tempo in cui dovrebbe prendere il biberon. In pratica ci sono così tante variabili, che le tre ore rimangono un’indicazione.

Oggi è stata una giornata molto calda qui nei Paesi Bassi, con picchi di 34 gradi. In questi casi (era già successo due settimane fa), Alexander chiede il biberon ben prima delle 3 ore. Facciamo due conti: inizia a bere alle 14. Impiega almeno 30 minuti, spesso 45, per finire 120ml. A volte ha bisogno di ulteriori 30ml. Una volta finito bisogna far uscire l’aria in eccesso. Dopodiché provare ad addormentarsi. Sono le 15:30 quando lo metti giù. Alle 16 si ricomincia. Hai avuto 30 minuti per lavare il biberon, preparare le cose per la prossima poppata, eventualmente andare in bagno e sistemare qualcosa in casa.

Senza quasi accorgertene ti ritrovi seduto col biberon in mano. “Ma come è possibile che succeda tutto così velocemente?” Mi sono posto molte volte questa domanda, irritandomi non poco. Credevo che il tempo volasse solo di notte.

Mi ero riproposto di finire delle ricerche per un articolo che sto preparando e di scrivere questo blog prima delle 23. Non sono riuscito a fare nessuna delle due cose e questo mi stava mettendo di cattivo umore. Avevo la fastidiosa sensazione di dover rincorrere il tempo. Il caldo serviva solo a peggiorare le cose.

Di colpo mi sono ricordato di un pensiero che ho avuto qualche giorno fa. In questa fase della nostra vita, il paradigma è rovesciato. È completamente basato sui bisogni di nostro figlio. Aspettarsi di poter controllare i suoi bisogni è quanto di più sbagliato si possa fare. Per noi ma soprattutto per lui.

Allora ho mollato la presa. Ho messo da parte il Mac, messo via l’iPad. Non disturbare sul telefono. Ho acceso la tv e guardato un bel documentario con Alexander in braccio. Mentre passeggiavo per farlo addormentare, abbiamo ascoltato l’audiolibro di  Wuthering Heights. Abbiamo chiacchierato tanto tra un cambio di pannolino e l’altro. Ci siamo fatti più volte il giro della casa. Verso le 20 l’ho messo nel marsupio e siamo usciti insieme con Truus. Una bella camminata senza AirPods, in completo contatto con l’ambiente circostante, col momento presente.

È stato come cambiare frequenza alla radio. Di colpo tutto mi sembrava ovvio, logico. Ho iniziato veramente ad ascoltare mio figlio e fare del mio meglio per dargli ciò di cui aveva bisogno in quell’esatto momento. I suoi pianti, che prima mi sembravano immotivati e irritanti visto che avevo fatto tutto secondo le regole, ora mi risultavano comprensibilissimi.

Niente più orologi da guardare. Ma tempo da condividere.

Carolien mi ha mandato dei messaggi e delle foto. Si sta divertendo. Io mi sento felicissimo nel vederla felice. Non vedo l’ora che torni a casa per riabbracciarla e farmi raccontare come è stato il festival.

È stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Una colata di cemento nel mio legame con Alexander e una pietra angolare nella mia relazione con Carolien.

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Disturbo della quiete pubblica

Tra le sfide più difficili rientra sicuramente l’accettare che il pianto del neonato, per quanto disperato possa essere, sia il suo modo di comunicare e non un suo vezzo per farci un dispetto.

Parlando con mia moglie ci siamo accorti che entrambi ci sentiamo quasi ‘responsabili’ se Alexander piange in presenza di ospiti. Lei l’ha notato ieri, quando si è fermata in un locale all’aperto per far mangiare Alexander. Sapendo che avremmo passato l’orario della poppata mentre eravamo fuori, ci siamo portati tutto l’occorrente. Io ero già andato al lavoro, Carolien era quindi sola con Alexander. Quando lui ha fame, sa essere molto teatrale e soprattutto molto convincente.

Parlando stasera Carolien mi ha detto di essersi sentita in colpa perché il pianto stava disturbando (secondo lei) gli ospiti del locale. Stessa dinamica oggi, ma a casa e con un’ospite venuta a trovarci.

È chiaro che bisogna fare delle distinzioni. Ci sono genitori che lasciano i bambini a loro stessi, rendendoli obiettivamente un fastidio per gli ospiti. Ce ne sono altri che invece fanno del loro meglio per dargli le attenzioni che tramite il pianto stanno richiedendo. Spesso non si fa in tempo ad anticipare la tempesta, possiamo solo giocare di rimessa.

È come negli scacchi: a meno che non risponda con la difesa siciliana (pedone c5)  o la Alechin (cavallo f6), il nero dovrà sempre reagire alla mossa del bianco.

Col passare del tempo io e Carolien stiamo imparando ad anticipare gli eventi e fare in modo da avere tutto pronto quando arriva il momento del biberon. Proviamo a fare noi la prima mossa.

Se siamo a casa, prepariamo 60ml di acqua in una tazza e la mettiamo nel microonde. Nel frigo abbiamo flaconcini con 30ml di latte materno. Il biberon e il barattolo di latte liofilizzato sono pronti in cucina. E siccome i dettagli sono importanti, lasciamo sempre un cucchiaino pronto accanto al biberon, per mescolare il latte in polvere che uniremo all’acqua scaldata al microonde.

Tutto per minimizzare al massimo il tempo di pianto di Alexander.   

Nei primi sei mesi di vita è impossibile viziare il neonato. Pensare quindi che lui o lei pianga perché vuole stare in braccio perché gli gira così è quindi inaccurato, oltre che sbagliato.

Tutti i bambini piangono, in media 3 ore al giorno. Il fatto è che il pianto scatena l’istinto umano di aiutare il neonato. Non riusciamo a rilassarci fino a che questo non si calma.

È per questo che il pianto del proprio figlio sembra durare tantissimo. La paranoia di dare fastidio alle altre persone, non ha quindi motivo di esistere. Dovremo imparare ad accettarla e conviverci. Ci ripetiamo che il pianto è la sua unica forma di comunicazione per ora e che in quanto tale deve essere trattata più oggettivamente possibile, così da capire di cosa abbia effettivamente bisogno.

Se poi qualcuno dovesse irritarsi per il pianto…

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Contatto e nuovi suoni

Alexander sta ampliando il suo vocabolario con nuovi suoni. Lo sento sperimentare nel suo box, per poi esibirsi durante il cambio del pannolino. Negli ultimi giorni ci cerca molto di più. Inizia a seguirci anche con lo sguardo. Se ci avviciniamo al box, ci guarda prima che entriamo nel suo campo visivo.

Noi incoraggiamo il più possibile questi dialoghi, copiando ciò che fa lui e producendo suoni che somigliano a quelli che lui ha appena fatto. Il contatto visivo deve essere continuo. Distogliere lo sguardo toglie quel tono di dialogo che deve essere il più chiaro possibile per lui. Deve poter sentire che in quel momento c’è un interazione.

I suoi occhi diventano ancora più grandi e un sorriso si impossessa delle labbra. Le braccia e le gambe si muovono spasmodicamente, come se dovesse scaricare a terra l’energia che lo attraversa in quel momento. Ci sciogliamo nel vederlo scoprire nuovi suoni e nuove possibilità. Stupirsi delle sensazioni portate da un suono emesso in una certa maniera.

Ma soprattutto l’eccitazione. L’istinto di instaurare un contatto. Una comunicazione.

Il contatto verbale non è l’unica forma di contatto che ricerca. Negli ultimi giorni ha sempre più bisogno di contatto fisico, soprattutto quando sta per addormentarsi. Questo vuol dire che dopo la poppata, bisogna farlo addormentare in braccio e solo dopo che la respirazione si è stabilizzata, poggiarlo cautamente nel box o nel lettino.

Tip: quando lo poggi nel lettino, lascia per qualche minuto le mani sul suo petto o sui suoi fianchi. In questo modo avrà ancora la sensazione di essere in uno spazio ben definito. I neonati si svegliano quando vengono messi a letto perché non riconoscono più lo spazio in cui si trovano.

Non bisogna essere ipocriti: a volte può essere stancante. Ma è cruciale non cedere al nervosismo da stanchezza. I primi due anni sono fondamentali per la formazione dell’inconscio. A parte questo, sarebbe egoista non tenere conto di bisogni oggettivi del bambino.

Anche qui la comunicazione con il tuo partner è fondamentale. Se hai la sensazione di non farcela o di cedere, parlane apertamente. Non è affatto una vergogna né tantomeno deve essere un tabù. È ora di liberarsi di queste zavorre inutili.

Non credere a chi dice che essere genitori sia solo bello e facile. Mentono. Oppure, ancora peggio, stanno saltando delle fasi dello sviluppo del loro bambino.

Noi genitori cresciamo con i nostri figli. Dovremmo essere maturi abbastanza per essere onesti con noi stessi e – ancora più importante – con i nostri figli.

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Tempesta Poly e fame

Oggi nei Paesi Bassi è arrivata la tempesta Poly. Il codice giallo precedentemente dichiarato è stato aggiornato a rosso. I danni maggiori sono stati registrati ad ovest del paese. Ad Harlem una signora di 51 anni è deceduta colpita da un albero mentre era in macchina. Le raffiche di vento sono arrivate a 146km/h. Come essere investiti da una macchina sull’autostrada.

Qui a Deventer non ci sono danni ingenti. Il vento ha rifatto l’acconciatura agli alberi, staccando pezzi di rami o rami interi. La pioggia ha contribuito a rinfrescare l’aria.

Noi tutto questo lo abbiamo vissuto nel lettone, tutti e tre insieme. Un’esperienza sublime. Trovarmi con l’essenza della mia vita sotto il tetto spiovente della nostra casa, con la tempesta che imperversa fuori. Gli scenari di Wuthering Heights sono di colpo molto più vicini.

Oggi Alexander sembra avere più fame del solito. Per la prima volta ha bevuto 180ml di latte in una seduta. Di solito si ferma a 120ml, altre volte a 90ml. Credevamo fosse una tantum. Nella poppata successiva è arrivato a 150ml. Stasera alle 21:30 lo stesso.

La formula per calcolare la quantità di ml giornalieri è 150 x peso del bambino. Dall’app che usiamo per registrare poppate e pannolini abbiamo visto che oggi ha bevuto in totale 800ml di latte. Quantità che dovrebbe bere pesando 5 chili.

Negli ultimi giorni siamo passati dal calcolare le 3 ore tra un pasto e l’altro all’alimentazione ‘a richiesta’. Teniamo sempre in considerazione le 3 ore, ma aspettiamo che si faccia sentire lui. Oggi ad esempio, è tornato dopo 4 ore. La notte dorme in media 4 ore e mezza tra una poppata e l’altra. Buon per noi che possiamo recuperare qualche ora di sonno.

Dopo la tempesta è uscito il sole, come nei migliori racconti romantici. Ho messo Alexander nel marsupio e siamo usciti con Carolien e Truus. Una bellissima passeggiata nel fresco dopo la pioggia. Difficile immaginare la pioggia e vento del mattino.

Eppure è così: tutto passa. Anche le cose più rumorose e spaventevoli. Arrivano e spazzano via tutto ciò che abbiamo sistemato con amore e dedizione. Ci fanno sentire piccoli. Soli.

Ma poi passano.

E arriva il sole.

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Wuthering Heights e Doom Thinking

Perdiamo così tanto tempo ed energia nel ricercare qualcosa che speriamo assomigliare alla felicità. Un vero peccato. Non parlo del fuoco della passione, quello che ci porta ad esplorare sensazioni, sentimenti e realtà nuove.

Parlo della distrazione con cui guardiamo alla nostra vita. A quanti dettagli ci lasciamo sfuggire.

Odio scrivere queste parole. Le odio già quando le penso, prima di scriverle. Suonano come un cliché trito e ritrito. Però signori, qui c’è da togliersi per un attimo il monocolo e il cilindro e guardare la realtà per quello che è. I cliché sono tali per un motivo.

Oggi pomeriggio, per l’ennesima volta, mi sono sentito profondamente contento.

Io e Alexander abbiamo ballato su Wuthering Heights. Il salone era la nostra sala da ballo.

Wuthering Heights è un brano di Kate Bush, pubblicato nel 1978 e ispirato al romanzo Cime Tempestose. Il ritornello mi ha sempre affascinato, con la sua costruzione 4/4+4/4+2/4+4/4+4/4+2/4+4/4. Suggestionato dal romanzo, mi fa pensare alle brughiere inglesi spazzate dal vento. A un maniero che resiste solenne.

La giornata non è iniziata nei migliore dei modi. Alle 5:30 Carolien stava accudendo Alexander. Io mi sono svegliato con un mal di testa molto fastidioso. Partiva dal collo e prendeva tutto l’emisfero destro. Ho preso due compresse di paracetamolo e sono ricaduto in un sonno agitato.

Verso le 11 una vicina di casa è venuta a farci visita. Una donna molto sensibile. Posso dirlo anche senza conoscerla bene. Ha contratto una forma pesante di Covid e soffre tutt’ora gli strascichi del Long covid. Ha avuto seri problemi con il lavoro. La sua vita si è ridimensionata considerevolmente.

La ascoltavo parlare del più e del meno e non ho potuto fare a meno di notare una nota di pessimismo in tutte le vicende che raccontava. Riusciva a trovarne anche in quelle che presentavano scenari positivi.

Purtroppo è una dinamica che riconosco. Se il doom thinking fosse una disciplina olimpica, mi qualificherei ad occhi chiusi.

Il doom thinking è un errore di produzione del tronco encefalico, la parte più “antica” del nostro cervello. Questa è completamente volta alla sopravvivenza. Per fare ciò, è in costante ricerca di probabili pericoli.

Questo sistema è stato creato e settato sulle condizioni di vita di migliaia di anni fa. Vivi in una grotta, il raccolto è a rischio e un tuo amico è appena stato sbranato da un orso. Il tronco encefalico analizzerà costantemente l’ambiente circostante per intercettare possibili minacce e tenerti in vita.

Il problema subentra quando questa sistema viene utilizzato in un mondo in cui vivi dentro quattro mura, fai la spesa al supermercato e la probabilità di essere sbranato da un orso è significativamente inferiore. Il numero di impulsi e stimoli a cui siamo sottoposti è, però, infinitamente più alto. Il tronco encefalico deve fare gli straordinari per scannerizzare tutte le possibili minacce. È al lavoro 24/7. Come risposta automatica, il livello di stress sale.

Combatto costantemente con il doom thinking. È uno dei demoni più grandi che mi accompagna in questo viaggio. Sento che lentamente ma costantemente, sto imparando a conoscerlo e farmelo amico. Non vorrei scacciarlo del tutto.

Quando ero piccolo rimasi colpito da una frase del film Dragon – La storia di Bruce Lee. Il protagonista aveva un incubo ricorrente, un samurai che terrorizzava anche me. Parlando con il suo maestro, questo gli dice “Se non vincerai le tue paure di sempre, non farai altro che trasmettere quel demone ai tuoi figli”.

Mi sento esattamente così. Devo neutralizzare questo demone per non passarlo ad Alexander. È una vera e propria responsabilità che sento.

Il futuro non esiste. Le preoccupazioni servono solo a derubarmi del presente.

Ciò che esiste, invece, è la sensazione di stringere mio figlio tra le braccia. Percepire la sua cieca fiducia in me. Sentire il suo corpo rilassarsi man mano che si arrende al sonno. Il suo sguardo che mi cerca e mi illumina con uno splendido sorriso. Non ho bisogno di nient’altro. Il tempo si riduce al collo di una clessidra in cui passa un granello alla volta.

Tutto succede nel salone di casa nostra, in un normalissimo martedì pomeriggio.

È per questo che oggi abbiamo ballato su Wuthering Heights.